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Il destino dell'Iraq

di Tariq Ali* - 18/01/2006

Fonte: Nuovi Mondi Media


Nell’ultima metà del secolo scorso, il poeta iracheno Muhammad Mahdi al Jawahiri esprimeva il suo distacco dal settarismo religioso e affermava la sua fede nel nazionalismo iracheno. Da allora sembra essere passata un’eternità

Al terzo anno di occupazione dell’Iraq, per molti cittadini occidentali il fatto di vivere in un mondo soggiogato da bugie, mezze verità e fatti rimossi è diventato parte della vita quotidiana.

In Iraq una preoccupazione tra i molti cittadini della nazione – compresi quelli che inizialmente sostenevano la guerra – è quella di sapere se il loro paese sopravviverà alla ricolonizzazione occidentale o se invece questa condurrà alla disintegrazione del paese. Uno scenario hobbesiano oggi potrebbe lasciare il posto a una soluzione di divisione in tre parti domani.

Nell’ultima metà del secolo scorso, il grande poeta iracheno Muhammad Mahdi al Jawahiri – egli stesso figlio di un membro del clero sciita e nato nella città santa di Najaf – esprimeva il suo distacco dal settarismo religioso e affermava la sua fede nel nazionalismo iracheno: "Ana al Iraqu, lisani qalbuhu, wa dami furatuhu, wa kiyani minh ashtaru" ( Io sono l’Iraq, il suo cuore è la mia lingua, il mio sangue il suo Eufrate, il mio intero essere è nato dalle sue ramificazioni). Da allora sembra essere passata un’eternità.

Cosa dobbiamo aspettarci oggi? L’occupazione statunitense è profondamente dipendente dal supporto de facto dei gruppi sciiti, specialmente dello Sciri (il consiglio supremo per la rivoluzione irachena), lo strumento di Teheran in Iraq. L'Ayatollah Sistani subito dopo la caduta di Baghdad disse a tutti gli iracheni che auspicava un Iraq unito e indipendente. Magari poteva davvero volerlo allora, ma oggi le cose sono cambiate. Quando Sistani impedì ai gruppi sciiti di combattere la loro battaglia e persuase Moqtada al Sadr di far cessare la resistenza, stava anche intaccando l’unità della nazione. Una resistenza unita che combatteva su due fronti avrebbe potuto portare a un governo unito in un secondo momento. Sorprendentemente, Thomas Friedman, del New York Times, ha chiesto che Sistani fosse ricompensato con il premio Nobel per la pace.

Se i gruppi sciiti avessero deciso di resistere all’occupazione, essa sarebbe finita molto tempo fa, o addirittura non si sarebbe mai verificata. I gruppi clericali al potere in Iran resero chiaro a Washington che non si sarebbero opposti alla caduta di Saddam Hussein o a quella dei Talebani. Lo fecero, evidentemente, perché era nei loro interessi e per motivazioni tutte loro, ma il loro è stato un gioco pericoloso. Se i sunniti e i nazionalisti non avessero resistito, negando a Bush e a Blair la gloria nella quale speravano, e creando una crisi di fiducia nei confronti di Washington e Londra, il cambio di regime a Teheran sarebbe rimasto in agenda, nonostante il sostegno iraniano agli Usa.

Abbastanza ironicamente, è stata la resistenza in Iraq che ha reso questa ulteriore avventura impossibile nel medio termine. L’alto comando dell’esercito americano, in grosse difficoltà in Iraq, è seriamente diviso sulla guerra, e ci sono pochi dubbi sul fatto che alcune importanti figure al Pentagono siano a favore di un rapido ritiro per pure ragioni militari. Potrebbe l’Impero, in una tale crisi militare, riuscire a strappare un trionfo politico? Una svendita dell’Iraq, che assieme alla Siria era il solo paese a resistere alla dominazione americana, sarebbe stata una vittoria. Non c’era alcun dubbio su questo risultato.

Il gruppo iracheno che ha beneficiato di più dall’occupazione è la leadership dei curdi. I curdi hanno ricevuto fondi in grande quantità per i dodici anni precedenti alla guerra, le agenzie di intelligence hanno sfruttato la regione come base per penetrare nel resto della nazione. Oggi i curdi dominano le marionette dell’esercito e della polizia, hanno definito il carattere ultrafederale della costituzione, e non è un segreto che gradirebbero una pulizia etnica nella zona del Kirkuk che escluda gli arabi e tutti gli altri non curdi, compresi quelli nati nella città. Una minorità oppressa in un’epoca può rapidamente diventare un oppressore in un’altra, come Israele continua a dimostrare al mondo. I leader curdi, dopo avere ottenuto il Kirkuk, sono felici di essere diventati un protettorato occidentale.

Se l’unità dei gruppi sciiti dovesse collassare, e potrebbe farlo qualora negasse la lussuria delle truppe americane e il supporto aereo, un nuovo patto potrebbe essere possibile per prevenire la balcanizzazione dell’Iraq. Lo stesso potrebbe avvenire se Teheran decidesse che un Iraq indipendente è negli interessi della regione, ma il calcolo razionale non è mai stata prerogativa dei mullah. Un finale felice sembra comunque lontano.

E il petrolio? Il modello preparato al momento costerà all’Iraq miliardi in termini di guadagni persi, mentre le multinazionali globali raccoglieranno il bottino. I contratti preparati provvederebbero loro guadagni del 42% o del 62%, in un settore dove i guadagni minimi della regione sono del 12%. Mentre il petrolio resterà proprietà dello Stato in termini legali, gli accordi di condivisione della produzione faranno concessioni ad agenzie private. Anche questo consisterà in una vittoria sia di gruppi come Halliburton sia di quella dei suoi padroni politici. Fino a quando il governo iracheno appoggerà i PSA (gli accordi di condivisione della produzione petrolifera, NdT), le truppe britanniche e americane potranno ritirare le loro truppe e dichiarare vittoria. Il trionfo della libertà si rifletterà nell’accordo per il petrolio. Del resto, poco altro conta.

Ma questo accordo può durare indefinitamente senza la presenza delle truppe imperiali? Probabilmente no. Il petrolio nel passato ha fatto risorgere movimenti nazionalisti e ha trasformato la politica dell’Iran e dell’Iraq. I tempi sono cambiati oggi, ma i problemi di base restano, e la guerra per il petrolio potrebbe non finire così presto.

*Guardian

 

Fonte: http://www.guardian.co.uk/comment/story/0,,1687114,00.html
Tradotto da Alessandro Siclari per Nuovi Mondi Media