È questo la "immunity boosting". Che promette, dopo le ripetute bocciature dei preparati multi o monovitaminici come possibili ausili per il mantenimento di un buono stato di salute, di essere la nuova scienza dell'elisir di lunga vita. E il mercato ha già recepito la tendenza: si moltiplicano le offerte dei cosiddetti probiotici, dei prebiotici e dei pre-pro, così come iniziano a comparire campagne incentrate su derivati da alimenti interi come l'aglio o il mirtillo, che stanno soppiantando quelle sui supplementi vitaminici. Tutto è iniziato con un doppio, radicale cambiamento di paradigma che si è andato affermando sempre più tra gli esperti negli ultimi anni: da una parte, infatti, il sistema immunitario non è più visto come una centrale che fabbrica molecole in una sede principale (che comprende il midollo osseo e la milza), e che delega a piccole sedi periferiche come le ghiandole ruoli di importanza trascurabile, ma come un immenso unicum che ha nell'intestino una delle sue realizzazioni più complete.
Dall'altra, si ritiene ormai che l'intervento giusto per potenziare le difese debba essere sempre supportato da alimenti completi e non da singole molecole e, soprattutto, si pensa che sia possibile e utile agire molto più a monte rispetto al passato, e cioè non tentare di rimediare ai guasti fatti da un'alimentazione scorretta, ma introdurre, nei pasti, alimenti che correggano le caratteristiche negative di altri cibi e mantengano o potenzino le funzioni difensive dell'organismo. È dunque realmente possibile intervenire sulle difese dell'organismo attraverso la dieta? In che modo? Risponde Elena Mengheri, ricercatrice dell'Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione (Inran) di Roma: «Il fatto che la microflora intestinale abbia continui scambi con il sistema immunitario locale è stato accertato al di là di ogni dubbio, così come è chiaro che la modulazione della composizione della stessa flora ha conseguenze sulla sintesi e sul rilascio di molecole coinvolte nell'infiammazione e nelle difese, nonché nell'induzione delle allergie.
I dati sugli animali sono abbondanti e chiari, quelli sull'uomo meno numerosi, ma dello stesso segno. Non solo: la comprensione della centralità del sistema intestinale sta indirizzando la ricerca verso l'analisi di tutte le specie batteriche presenti (molte delle quali ancora poco studiate) e verso una più dettagliata descrizione dei meccanismi coinvolti. In questo quadro è emerso che alcune specie batteriche agiscono in senso positivo sulle difese immunitarie e sulle allergie». A patto, però, di rispettare alcune semplici condizioni. Innanzitutto è necessario distinguere tra prebiotici, preparati a base di fibre e altre sostanze alimentari non digeribili che forniscono ai batteri intestinali tutto quanto occorre loro per prosperare, e i probiotici, popolazioni selezionate di batteri che favoriscono lo sviluppo di una microflora specifica.
Non solo, aggiunge Andrea Poli, direttore scientifico della Nutrition Foundation of Italy, un istituto di ricerca non profit: «Iniziano a essere disponibili anche i cosiddetti pre-pro, cioè prodotti simbiotici nei quali sono presenti entrambi. Per capire che cosa si sta consumando è importante leggere le indicazioni presenti sulle confezioni, che purtroppo non sono ancora obbligatorie, e verificare che le specie indicate siano presenti in alte concentrazioni». Oltre alla quantità, è necessario che i batteri assunti siano vivi: Come accade per lo yogurt, che è altrettanto valido, bisogna verificare attentamente la scadenza, perché se si è andati oltre i batteri non sono più vitali e l'efficacia può essere nulla», sottolinea ancora Mengheri. Nutrizionisti e immunologi si stanno muovendo anche in altre direzioni: non passa mese senza che sia pubblicato qualche studio sulle virtù antinfiammatorie, antiossidanti o antibatteriche degli alimenti più svariati oltre a quelli classici come l'arancia, che protegge dalle malattie dell'apparato respiratorio o la cipolla, nota per le sue qualità diuretiche e antinfiammatorie.
E poi: principio attivo del pomplemo, la naringenina, agendo sulla composizione dei grassi del sangue, rallenta il rilascio dei virus dell'epatite C dalle cellule già infettate, contribuendo a tenere a bada l'epatite cronica. L'elenco potrebbe continuare, ma il messaggio è chiaro: molte molecole contenute in alimenti comuni aiutano le difese a contrastare le aggressioni esterne. Non solo. L'obiettivo si sta spostando verso un traguardo ancora più ambizioso: vanificare i danni al sistema immunitario indotti da invecchiamento e stile di vita, controbilanciandoli con cibi benefici. Come spiega Mauro Serafini, anch'egli ricercatore dell'Inran: «Da qualche anno ci si è accorti che esiste un'infiammazione diversa da quella fisiologica, indotta dalla digestione, chiamata post prandiale, particolarmente accentuata in persone che hanno specifici fattori di rischio quali l'obesità o lo stato di fumatore e, naturalmente, in chi ha una dieta scorretta, troppo ricca di grassi e povera di vegetali freschi.
In pratica, ogni volta che mangiamo si attiva una cascata di eventi che determina uno stress ossidativo che ha come risultato la produzione di radicali liberi e altri composti. Alla lunga, in certe condizioni, si può instaurare un'infiammazione cronica, con gravi conseguenze». È quindi iniziato lo studio dei metodi efficaci per contrastare all'origine questi processi. «Per esempio con l'olio di oliva o con il vino rosso, che noi stessi abbiamo visto addirittura azzerare la produzione di sostanze nocive nell'uomo se usato per cuocere la carne», aggiunge Serafini. Altri studi attualmente in corso puntano l'attenzione su ulteriori possibili commensali virtuosi come succhi di frutta a composizione controllata. Tra i neutralizzatori vi sono poi, per esempio, il cioccolato, il caffè, le arance e gli agrumi, il melograno, il mirtillo e, in generale, le bacche rosse e molto altro. Questa impostazione oltre a essere nuova, ha anche un indubbio valore aggiunto: la sua praticabilità. Ancora Serafini: «I regimi dietetici ottimali, che prevedono la presenza di non meno di cinque porzioni giornaliere di frutta e verdura fresche, molto spesso risultano inapplicabili. Noi pensiamo che l'aggiunta dei neutralizzatori possa al contrario ridurre molto il rischio senza richiedere grandi sforzi».
In altri termini, se con una dieta vegetariana si verificano carenze di ferro, vitamine e così via, anche il sistema immunitario può essere influenzato negativamente. Non a caso, le persone leggermente in sovrappeso sono più protette dalla mortalità dovuta a patologie che chiamano in causa il sistema immunitario, e ciò significa che quando il corpo ha bisogno di energie, vitamine, minerali, grassi e proteine per combattere virus e batteri, è meglio che non manchi nulla. Quindi, una dieta basata su pesce, legumi, frutta resta la migliore. «Con un'accortezza: ai primi sintomi di debolezza e infezione può essere opportuna un'integrazione dietetica del ferro e delle vitamine, per aiutare il sistema immunitario », aggiunge Longo. L'Immunity boosting è la nuova passione degli scienziati, ma anche del mercato. Negli Stati Uniti, oltre alla commercializzazione di prodotti come il caffè rinforzato con echinacea ed estratto di spine di rosa o di intere linee come la Immunity Boost dei surgelati Green Giant, molti ristoranti puntano su menù dedicati.
__img__In prima fila vi sono i vegetariani e i vegani, il cui numero a Los Angeles ha raggiunto quello dei fast food. E molti etnici: sempre a Los Angeles, molti indiani e vietnamiti propongono cibi addizionati con alcuni funghi ad alto contenuto di zinco e vitamina C o cocomero, ricco in vitamina C e A e folati. Si stratta solo di trovate pubblicitarie prive di fondamento scientifico? La risposta definitiva la scienza non ce l'ha ancora. Ma è certo che un nuovo grande e promettente filone di studi ha preso il via. Uno di quelli in cui, più si fatica a vedere il confine tra il marketing e la medicina