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Farmers' Market autarchici

di Fabrizio Bottini - 17/04/2008





 

Milano, epoca post-assegnazione dell'Expo, una livida mattina di sabato dell'aprile 2008. Per la prima volta si tiene nel capoluogo il periodico “mercato contadino” che ha già preso piede in altri centri della padania, e la novità si guadagna un bell'angolino sulla stampa. Visto che siamo nella capitale delle griffe e la puzza di letame ormai viene sostituita da lustri con altri effluvi, anche il nome si adatta, e diventa all'americana Farmers' Market, ma la proposta del mercato contadino in fondo c'è ancora tutta: prodotti tipici, biologici, offerti in passaggio diretto dal produttore al consumatore, quindi con un rapporto prezzo-qualità molto conveniente. Anche l'ambiente, se si elimina qualche dettaglio secondario, si presta abbastanza: una piazzetta davanti a una chiesa, e le due file di bancarelle molto colorate, traboccanti di formaggi, salumi e compagnia bella.

Il luogo scelto è piazza San Nazaro in Brolo, all'interno della cerchia dei Navigli, nel cuore di quello che appunto negli altri centri padani in cui si tiene questo tipo di mercato è il nucleo storico tradizionale. Ma qui, c'è qualcosa che non va.

Intendiamoci: benissimo l'iniziativa, benissimo i prezzi che ci spiegano sono del 20-30% inferiori a quelli dei medesimi prodotti comprati altrove, con in più la garanzia di sostenere direttamente una elevata qualità di processo, e di rapporto col territorio … e qui casca l'asino, o almeno inizia a inciampare.

Osservava, uno degli articoli di giornale, che “ chiunque potrà andare comodamente ( senza tirar fuori dal box l'auto ) a far la spesa ”. Chiunque abiti da quelle parti, naturalmente, ovvero quasi nessuno visto che il centro di Milano non è esattamente traboccante di abitazioni. Ma anche senza andare così per il sottile, c'è un'altra cosa su cui la stampa sorvola quasi del tutto, ovvero il fatto che l'iniziativa sostenuta dalla Coldiretti si chiama “mercato chilometro zero”. L'informazione viene riportata così, come un marchio qualunque, mentre invece dovrebbe essere l'oggetto centrale dell'attenzione, che invece balza dalle minuziose tabelle coi prezzi agli aspetti più strapaesani dei sentori di cacio mescolati all'aria meneghina un po' più pulita del solito (grazie alla giornata piovosa).

Quel “chilometro zero” evoca, più direttamente dell'anglismo “Farmers' Market”, la cultura che ha generato questo genere di offerta, e che qui da noi è sostenuta ad esempio da molti anni da Slow Food: distanza fisica e psicologica zero fra produzione e consumo, vale a dire rapporto costante e diretto col territorio locale. Nel nord America questa cosa si chiama “dieta delle cento miglia”, ed è un movimento in rapidissima crescita dopo lo straordinario successo del libro e del blog di una coppia di giornalisti canadesi che l'ha sperimentata scientificamente per un anno, adottandola poi in forma definitiva anche se non rigida. Vuol dire mangiare tutto, ma proprio tutto, di produzione locale, a partire da ingredienti locali (per intenderci, il pane del fornaio all'angolo fatto col grano, il lievito, l'acqua e il sale di alcuni angoli più in là, ma non troppi, eccetera). Tutto coerente col tema dell'Expo 2015, ma resta aperta la questione: è coerente, la città di Milano e la padania in generale, con questi assunti?

Ovviamente no: nel merito e nel metodo come si suol dire in certe riunioni. Nel merito perché la metropoli è naturalmente, come tante sue colleghe, cresciuta molto e male negli ultimi decenni, ingollando a gran sorsi gran parte della campagna circostante, e indirettamente facendola ingollare dai comuni di tutta la regione metropolitana, gonfiati prima dall'immigrazione e poi dalla pressione di chi era scacciato dal capoluogo, invaso da uffici, banchieri e fotomodelle. Nel metodo, perché quasi a tutti i livelli sembra si voglia non solo continuare di questo passo, ma accelerarlo proprio in vista dell'Expo: cemento dappertutto, griffatissimo, magari anche avvolto formalmente di verzura come il surreale “bosco verticale” (ha ribattezzato così un condominio di lusso, un architetto assai abile nella comunicazione), ma tanto, tanto cemento.

Per due volte a cavallo dell'inverno 2007-2008, l'assessore regionale lombardo leghista ha cercato di modificare la legge regionale urbanistica in modo da rendere più facile costruire nei parchi. Il comune di Milano ha insistito in ogni modo fino a coinvolgere anche la Provincia (amministrata dal centrosinistra) nell'edificazione di una grande zona agricola a sud, e trasformare seicento e passa ettari da campi a Centro di ricerche biomediche, fortemente voluto da Umberto Veronesi, e fortemente voluto proprio lì. In tutta la regione metropolitana e oltre, non si contano più i casi di espansioni urbane grandi e piccole che ritagliano campi e prati, trasformando la campagna in una città diffusa dove si riescono ad allevare e coltivare solo cani da guardia e qualche pianta di basilico sul davanzale.

Sempre più ricerche avvertono: oltre il 50% della superficie urbanizzata significa ambiente “morto”, ovvero non in grado di rigenerarsi da solo. E nella regione urbana centropadana che vuole farsi simbolo dell'alimentazione mondiale, in parecchi casi si va oltre il 70-80%, ovvero non si coltiva né si può coltivare nulla. E ad esempio non si può virtuosamente riciclare localmente in agricoltura la frazione umida della raccolta differenziata praticata da tanti comuni: anziché “km zero”, si trasportano magari per centinaia di chilometri anche le bucce di patata, consumando combustibili fossili, e chiedendo magari nuove strade e parcheggi …

E senza farla troppo lunga, è il caso di chiedersi: cosa significa in questo contesto, il mercato contadino di piazza San Nazaro in Brolo, o Farmers' Market che dir si voglia?
Molto, se sta a segnalare una inversione di tendenza nel modello di sviluppo socioeconomico e urbanistico metropolitano, con maggiore attenzione ai temi della sostenibilità locale, del consumo di suolo, del respiro naturale della città. Poco o nulla, se dietro le bancarelle del mercatino biologico continua il mercato delle vacche immobiliare sulla pelle del territorio, arricchito da idee strampalate come quella di aumentare la popolazione del capoluogo di 700.000 (settecentomila) abitanti! E farlo non certo riconvertendo ad abitazioni i milioni e milioni di metri cubi esistenti che ora sono occupati dagli uffici e misteriosi workshops cresciuti nei lustri della terziarizzazione strisciante. No: le nuove case, si presume rigorosamente di lusso visti i precedenti, andranno a occupare i pochi fazzoletti di spazi aperti rimasti dentro il cerchio delle tangenziali.

Forse, sarebbe il caso di ricordare, magari a chi ha un recente passato fascista, che “chilometro zero” è un modo postmoderno di formulare il concetto di “autarchia”?
Ricordiamoglielo, va!

Nota: per la dieta delle cento miglia faccio riferimento alla mai recensione di Plenty (f.b.)