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Agrocarburanti, la questione che scotta

di Marina Forti - 17/04/2008

 

Da ieri, tutta la benzina e il diesel venduti nel Regno unito devono contenere almeno il 2,5% di carburante di origine agricola, o agrocarburante. Secondo il governo britannico è una delle misure chiave di una politica ambientale che ha l'obiettivo di rendere meno inquinante il traffico di veicoli (in effetti si chiama Renewable Transport Fuel Obligation, cioè punta sull'idea di un carburante «rinnovabile»), e in particolare tagliare le emissioni di gas di serra. E' anche un primo passo per adeguarsi alla politica dell'Unione europea, che nel 2006 si è data l'obiettivo di avere almeno il 10% di agrocarburante nel mix di carburanti per i trasporti messo sul mercato entro il 2020.
La corsa agli agrocarburanti però è contestata. In Gran Bretagna un'ampia coalizione di gruppi ambientalisti definisce «disastrosa» l'ordinanza che impone una quota minima di carburanti di origine agricola - senza però alcuna norma che richieda ai produttori di garantire che il medesimo agrocarburante non sia il prodotto di pratiche agricole che distruggono le foreste e altri ecosistemi, non contribuiscano a far salire il prezzo delle derrate alimentari, e così via. Ieri dunque erano annunciate diverse manifestazioni di ambientalisti (il quotidiano The Independent ieri dedicava la sua prima pagina al tema, con il titolo «la questione bruciante» sulla foto di una foresta in fiamme...).
Per la verità non sono solo attivisti ambientali a mettere in discussione gli agrocarburanti. Almeno due organismi scientifici europei hanno espresso dubbi e consigliato all'Unione europea di abbandonare il suo obiettivo. L'ultimo è stato, pochi giorni fa, il comitato scientifico della European Environment Agency - Agenzia europea per l'ambiente, che definisce «troppo ambizioso» l'obiettivo del 10% entro il 2020, e raccomanda di sospenderlo almeno fino a quando sara completato uno studio più completo sui pro e i contro degli agrocarburanti.
Nel loro documento, gli scienziati dell'Agenzia europea fanno notare che per raggiungere il suo obiettivo l'Europa avrà bisogno di importare quantità massicce di agrocarburanti da paesi terzi (in effetti ha già avviato accordi con il Brasile e con alcuni paesi africani, o con l'Indonesia). Aggiunge che la produzione crescente di «biodiesel» dall'olio di palma , ad esempio, sta già accelerando la deforestazione in molti paesi, e che è assai difficile garantire che le derrate agricole destinate alla trasformazione in carburante per i veicoli europei siano coltivate in modo «sostenibile». Non solo. Fanno notare che la produzione e l'uso di agrocarburanti non garantiscono affatto un taglio delle emissioni di anidride, il principale dei gas «di serra», rispetto alla benzina o il diesel tradizionali, mentre l'aumento della produzione di derrate a scopo di trasformazione in carburante porrà una pressione insopportabile sulle terre, le risorse idriche, la flora e la fauna. (Si potrebbe aggiungere l'aumento dei prezzi: dalla Fao alla Banca Mondiale, molti ormai ammettono che la domanda di agrocarburanti contribuisce all'aumento dei prezzi e quindi a una crisi alimentare nondiale, dato che parti sempre più rilevanti dei raccolti mondiali di mais o soja sono tolte alla produzione alimentare).
In gennaio un altro documento scientifico aveva sollevato problemi analoghi: il Joint Research Centre (centro di ricerca congiunto) della Commissione europea diceva che se l'Europa dovesse rispettare l'obiettivo del 10% di agrocarburanti entro il 2020 «quasi certamente il costo sarà superiore ai benefici». Diceva anche che puntare tutto sui trasporti è un errore, e che meglio sarebbe usare le risorse agricole per generale elettricità, invece che come carburante.
Come risponde la Commissione europea? per il momento il presidente José Manuel Barroso difende a spada tratta l'obiettivo degli agrocarburanti. Altri sono meno convinti. C'è da sperare che la discussione si riapra.