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Filma il colpo che lo uccide

di Marco Cedolin - 18/04/2008

 

 

 

In questa società profondamente disumanizzata, dove l’informazione costituisce un conglomerato di messaggi urlati che corrono in superficie senza mai approfondire nulla, dove notizie e spettacolo s’intrecciano fra loro in una cacofonia di stimoli sensoriali che addormentano le coscienze ed abituano alla violenza, al dolore e alla sopraffazione, rendendoli parte di un universo onirico nel quale tutto, anche la morte e le carni straziate diventano rappresentazione filmica, Fadel Shana verrà probabilmente ricordato solamente per avere filmato la propria morte, racchiusa nella sua fissità in un video fra i più visti sul web.

 

Fadel Shana, operatore della Reuters di 23 anni, compariva ieri sul sito web di Repubblica in un articolo dal titolo “Filma il colpo che lo uccide” all’interno del quale era contenuto un breve filmato di 46 secondi, la prima parte del quale (che riprendeva il colpo mortale sparato da un carro armato israeliano) girata da Fadel stesso e la seconda costituita invece dalle immagini del fuoristrada della troupe devastato dall’esplosione e dal concitato via vai di ambulanze che tentavano di prestare soccorso. A contornare il filmato un trafiletto di 4 righe nel quale si potevano leggere il nome e l’età del giovane operatore Reuters e apprendere che con lui erano stati ammazzati anche due civili dei quali non veniva resa nota neppure l’identità, né esplicitato il fatto che probabilmente si trattava dei suoi collaboratori.

 

La morte di Fadel Shana ha dunque “bucato” i grandi media dell’informazione solo in virtù dell’anomalia determinata dall’essere stata filmata da lui stesso, diventando in questo modo una notizia originale e appetibile, funzionale ad attrarre l’attenzione dei lettori, interessati solamente “all’anomalia” e indotti a concentrarsi esclusivamente su di essa dalla totale mancanza di ulteriori informazioni concernenti il contesto e le dinamiche dell’accaduto.

La morte di tre persone che sono state ammazzate come cani mentre stavano facendo il proprio lavoro, in quella striscia di Gaza dove i civili inermi vengono uccisi praticamente ogni giorno dall’esercito israeliano, non sarebbe stata probabilmente neppure menzionata se uno strano scherzo del destino non li avesse resi una notizia che stupisce. Lo “stupore” nell’informazione di oggi è costituito dall’operatore che filma il colpo che lo uccide, spettacolo macabro in grado di creare interesse, scorrendo sulle coscienze ormai pietrificate. La morte e la vita esaurita la loro componente cinematografica non meritano approfondimenti, perché sarebbe troppo complicato entrare nel merito della vicenda e fare vero giornalismo, domandandosi perché simili atrocità continuino ad accadere con l’acquiescenza di organismi internazionali come l’ONU il cui sguardo è perennemente voltato in altre direzioni.

In fondo palestinesi e giornalisti ammazzati nella striscia di Gaza, iracheni che saltano in aria nei mercati di Bagdad, talebani sterminati dalle truppe “alleate” in Afghanistan, fanno parte del tran tran di tutti i giorni, quella routine che ormai non genera più emozioni, non fa spettacolo e di conseguenza neppure merita di essere raccontata.