Nella scadenza elettorale appena conclusa con la vittoria del centro-destra MDF non ha preso posizione. Non ha appoggiato nessuno degli schieramenti in lizza e non ha nemmeno consigliato di non votare o votare scheda bianca o nulla. Del resto nessuna delle forze politiche ci ha chiesto un confronto.

La ragione di questo distacco di MDF dalle elezioni non è dipesa soltanto dalla consapevolezza di influire in misura irrisoria sugli orientamenti dell’elettorato, ma fondamentalmente dal fatto che PD e PdL avevano come primo punto del programma la crescita economica e una serie di scelte coerenti con essa: inceneritori, gassificatori, ritorno al nucleare, grandi opere infrastrutturali, mentre SA non ha mai esplicitato chiaramente una posizione contraria alla crescita economica, ha tenuto posizioni ambigue sull’incenerimento dei rifiuti e ha formulato proposte nell’ottica dello sviluppo sostenibile. Oltre a ciò, si è presentata senza un progetto comune, come un cartello elettorale obbligato dalla necessità di superare gli sbarramenti, dove prevalevano le esigenze di auto perpetuazione di un ceto politico con carriere pluriennali sempre più staccato dalla società civile. In questo quadro, non avendo potuto contribuire alla formazione di alcun programma e sostenendo la concezione della politica come servizio pro tempore (massimo 2 mandati), non ci siamo riconosciuti in nessuna delle coalizioni presenti e abbiamo evitato di prendere posizione. Non ci esimiamo però di fare alcune valutazioni sull’esito della consultazione elettorale e sulle prospettive che apre.

La netta vittoria del centro-destra non si è realizzata con una crescita significativa di consensi, ma con una diminuzione limitata dei consensi al centro sinistra e con una forte diminuzione dei consensi alla Sinistra radicale. La somma dei voti ottenuti dai partiti di centro destra non varia molto da quelli della precedente scadenza elettorale, anche se mutano i rapporti di forza interni. Pdl (Forza Italia e Alleanza Nazionale) e UDC cedono una quota dei loro voti alla Lega, che li aumenta molto. Il PD alla Camera perde 400 mila voti rispetto alla somma dei voti ottenuti da DS e Margherita e al Senato ne guadagna 800 mila da SA (conseguenza della campagna sul voto utile). Ma SA scende da quasi 4 milioni a poco più di un milione di voti. Complessivamente al Senato i partiti di centro destra guadagnano circa 500 mila voti. I partiti di sinistra ne perdono più di 2 milioni e 500 mila. Il travaso di voti dalla sinistra alla destra è stato minimo. I voti persi dalla sinistra si sono trasferiti al non voto: astensionismo, schede bianche e schede nulle. Rispetto al 2006, al Senato la percentuale dei votanti è passata dall’83,5 all’80,4 per cento, le schede bianche e nulle sono salite da 1 milione e 100 mila a 1 milione e 300 mila. Il 23,1 per cento degli aventi diritto non ha votato nessun partito.

Ci sembra che la spiegazione di quanto è avvenuto si possa riassumere con un concetto semplice. Se il centro destra sostiene un programma politico di destra fondato su una cultura di destra (mercificazione crescita economica, globalizzazione, consumismo) risponde alle aspettative politiche dei suoi elettori. Se il centro sinistra sostiene gli stessi punti programmatici della destra (gassificatori, inceneritori, grandi opere) fondati sulla stessa cultura (che differenza c’è tra la Coop e gli altri ipermercati?) non guadagna elettori a destra e ne perde tra coloro che non si riconoscono in quel programma e in quella cultura. Se la Sinistra radicale non mette in discussione quella cultura e si limita a ostacolare la realizzazione dei punti programmatici con cui si realizza, muovendosi nella stessa logica di politica politicante e di mestiere superprivilegiato, accettando compromessi al ribasso pur di non perdere il posto all’interno dello stesso gioco, viene abbandonata da chi aveva creduto nella sua alterità rispetto agli altri partiti. Se si disaggrega in frammenti dove gli aspetti personalistici fanno perdere di vista gli obbiettivi di fondo e i reali rapporti di forza; se si frantuma nell’esegesi maniacale di criteri interpretativi della realtà che non sono più in grado di comprendere i mutamenti economici sociali e ambientali in corso; se si riaggrega come somma di sigle e non come sforzo convergente nell’elaborazione di modelli interpretativi adeguati alla comprensione di questi cambiamenti, perde ogni credibilità.

MDF ha rifiutato di inserirsi in queste dinamiche, in cui non vedeva nulla di buono per la collettività e ha preferito lavorare alla definizione di un progetto che abbia al centro l’elaborazione di una cultura diversa da quella che conforma i paesi occidentali dalla seconda metà dell’ottocento, capace di indicare prospettive diverse all’economia, alla tecnologia, agli stili di vita, alla gestione della cosa pubblica, a partire da una valutazione dei danni ambientali, sociali e culturali causati dalla crescita economia e dall’analisi delle prospettive positive insite nella decrescita. A quella parte degli astenuti e di chi ha votato scheda bianca o nulla come scelta politica consapevole, offriamo una prospettiva di lavoro, di riflessione e di impegno perché il loro rifiuto possa trasformarsi in proposte che nel loro insieme disegnano una concezione della politica, della socialità, della presenza degli esseri umani nel mondo diversa da quella che unifica, oltre le divergenze settoriali sempre meno marcate, le coalizioni di partiti che si accingono a ricoprire gli stessi ruoli di sempre nel nuovo teatrino parlamentare che sta per schiudere il sipario. Siamo convinti che nel quinquennio che si apre verranno a maturazione una serie di problemi sempre più gravi: dall’arrivo a ondate successive delle conseguenze della crisi economica e finanziaria americana, agli effetti dei cambiamenti climatici in corso, alle crescenti difficoltà di approvvigionamento e agli aumenti di prezzo delle fonti fossili, al peggioramento del problema dei rifiuti, all’aumento delle migrazioni, all’accentuarsi del decadimento della scuola, all’estendersi della precarietà del lavoro e della povertà, alla crisi idrica, all’aggravarsi dell’insicurezza sociale, alle congestioni delle aree urbane. Nessuno dei partiti che si sono presentati alle elezioni li ha messi nel debito conto. Nessuno di loro ha strumenti adeguati per affrontarli. Se almeno in parte il non voto rispecchia, sebbene a un livello ancora non sufficiente di consapevolezza, l’esigenza di porli al centro della politica intesa nel senso nobile del termine, se almeno in parte rispecchia il rifiuto dei tentativi di risposta fino ad ora abbozzati dalle forze politiche esistenti, questo è il nostro interlocutore sociale perché noi stessi ne siamo parte.