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Nucleare italiano e certe ambizioni politiche

di Simone Colzani - 19/04/2008

       
  
 Domenica notte, mentre tornavo da una piacevole serata trascorsa in quel di Biella, non potevo non ricordare come il Piemonte, a cavallo degli anni '70-'80, avesse rappresentato la punta di diamante della grandeur atomica italiana. Infatti negli anni d'oro ben tre impianti sorgevano nella terra dei Savoia: Bosco Marengo (produzione combustibile nucleare), Trino Vercellese (centrale a fissione) e Saluggia (ritrattamento combustibile esausto).

Questo ricordo potrebbe sembrare un refolo di malinconia, ma se in una giornata tersa si transita sulla Milano-Torino, guardando verso sud (all'altezza dello svincolo con l'A26) non si possono non notare le monumentali torri di raffreddamento di Trino: archeologia industriale allo stato puro, e pure un grosso monito alle future generazioni.

Non finisce qui, purtroppo... 
Per la solita sincronicità che mi perseguita (preferisco i Police a C.G. Jung), lunedì mattina un titolo allarmante campeggiava sulla prima pagina del Corriere Economia: l'Enel (con l'implicito avallo di Confindustria) chiede fondi allo Stato per costruire nuove centrali nucleari.
Mentre negli altri Paesi c'è una moratoria sull'utilizzo dell'atomo (per la fissione), in Italia ci sono rimpianti per il referendum del 1987, che sancì di fatto la fine dell'uso dell'atomo. A dispetto di ciò, da qualche anno esiste una lobby trasversale che si insinua in entrambi gli schieramenti politici per saltare a pie' pari la volontà popolare. Ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere.

Ai sostenitori del nucleare vorrei porre qualche domanda sparsa:
 
1) Il rendimento del reattore a fissione arriva al massimo all'1%. E' così basso in genere che neanche le 4 centrali per le metropoli italiane (Trino per Torino, Caorso per Milano, Latina per Roma e Garigliano per Napoli) coprirono più del 20% del fabbisogno energetico delle predette città.
2) L'inquinamento da trizio. Nella reazione di fissione dell'uranio viene prodotto un radioisotopo dell'idrogeno, che tende a sostituire l'elemento originale con sommi danni per ambiente e esseri umani. In tal senso si segnalano le ricerche del dr. Marco Marotta e della d.ssa Helen Caldicott.
3) Le scorie. Già questo argomento (lasciato appositamente in fondo) dovrebbe chiudere ogni discussione, visto che, a meno di non prendere un bel reattore di Santilli (senza garanzie sul suo funzionamento), non esiste sistema per abbattere la radioattività se non il fattore tempo (di decadimento). Ergo anni, anni e anni ancora.

Pertanto, il proclama, pardon, l'ultimatum del Corriere ("nucleare o morte energetica") equivale ad un'estorsione. Non importa che si tiri fuori il solito vecchio argomento (la vicinanza con altri Paesi dotati di impianti atomici): l'uranio ha costi primari sempre crescenti perché l'estrazione è limitata (un po' come accade per il petrolio), anche per tenerne alto il prezzo. Per non parlare dei costi secondari (lo smaltimento, questo sconosciuto), che saranno sostenuti dalla paterna mano statale, secondo il notorio detto "privatizzare gli utili e socializzare le perdite", vero faro dei neoliberisti de' noantri. Se è andato bene per gli anni d'oro della FIAT, perché non deve funzionare per le "grandi opere" che tanto successo riscuotono nei meandri del Governo? Dalla TAV (che ha trasformato la Milano-Torino in uno slalom unico) al Ponte sullo Stretto, mi sembra di sentire le parole di Johnny Stecchino ("qui è tutto un magna magna generale"). Con qualsiasi colore a Palazzo Chigi la variante in corso d'opera rimarrà la prima voce dell'economia italiana.