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Gente di Dublino

di Stefano Montanari - 19/04/2008

     
   

 L’Irlanda, Dublino in particolare, la città dove mi trovo in attesa dell’aereo che mi riporterà a casa, è una delle terre promesse per i ragazzi italiani. Come il Canada, come l’Australia, come la Nuova Zelanda e, perfino, come la molto più “casalinga” Spagna.  

Qui come là, nelle altre terre promesse, si respira ottimismo, o, almeno, a noi italiani pare così. Checché ne dica il nostro presidente della repubblica, smorto e stucchevolmente rituale difensore d’ufficio di quella che sta diventando una nazione da vivere al presente, un presente che è una diligenza da assaltare per l’ennesima volta per quanto ancora di bottino questa diligenza possa contenere, il nostro sarà un futuro non certo roseo e noi siamo una nazione triste. Le elezioni appena celebrate rappresentano un altro chiodo piantato sulla bara, se mi si passa l’espressione inglese, elezioni con le quali abbiamo dato ancora una volta ampia dimostrazione della nostra immaturità democratica, della nostra miopia e di quanto poco c’interessino i nostri figli. 

E, allora, per chi non si rassegni alla disperazione personale, sia l’Irlanda. 

Ma nemmeno qui è tutto oro. Nel bene e nel male, in questo inizio di millennio gli Stati Uniti restano la nazione più forte del mondo e, come da lungo tempo è loro costume, quelli non esitano a far valere la posizione di preminenza.

Nel caso specifico, ciò di cui mi sto occupando, il campo d’applicazione è quello tecnologico e, ancor più nello specifico, quello del trattamento dei rifiuti.  È noto come negli USA esistano città virtuose, San Francisco per tutte, che hanno compreso come la strategia “Rifiuti Zero” paghi in termini di salute, di ambiente e di economia. Dunque, laggiù non si parla nemmeno d’inceneritori, visto che questi sono la palese negazione dei tre termini di cui sopra.

Del resto, gli americani avranno pure tanti difetti, ma i conti li sanno fare e, a conti fatti, da oltre una dozzina d’anni d’inceneritori non ne fanno più e, anzi, quelli che ci sono vengono via via accantonati. Non ne fanno più a casa loro, ma le vecchie aziende che su questa ingenuità del fuoco purificatore basata su concetti smentiti dalla scienza ben oltre due secoli fa hanno prosperato non hanno alcuna intenzione di chiudere bottega. Dunque, visto che non si riesce più a tirare il pacco in patria, lo si tiri altrove. Se l’Italia, grazie ai nostri “ladri di Pisa”, quelli che di giorno bisticciano e di notte vanno a rubare insieme, è diventata il paese di bengodi per gl’inceneritori (da noi hanno perfino cambiato nome come le donne in menopausa cambiano chirurgicamente un viso cascante), resta, tuttavia, un mercato che si saturerà, dato che nemmeno Veltrusconi potrà esagerare e più di tanta spazzatura non ce la faremo proprio a produrla nonostante i nostri eroici sforzi.

Così, agli americani che avevano fatto della piromania un’industria non resta che cominciare a cercar fortuna altrove, e fortuna si può trovare in Irlanda, dove qualche quattrino c’è e dove l’immondizia comincia a farsi vedere. È vero che qui non esiste un genio come l’enciclopedico professore catodico pronto a farsi garante presso il popolo circa la salubrità dei gas e delle polveri prodotti da milioni di tonnellate di porcheria data al falò, ma è altrettanto vero che l’irlandese non è mai stato coinvolto nel problema e, per questo, si trastulla nella sua non conoscenza, fidandosi più o meno ciecamente di quanto chi lo governa propone. E il governo di Dublino, sensibile alle sollecitazioni di una ditta americana d’inceneritori, propone un bell’impianto da 600.000 tonnellate l’anno. Non come il nostro miracolo di Brescia, ma non poi lontanissimo. 

Una follia, non ci sono dubbi, ma questi non hanno idea dei guai in cui si stanno per ficcare né sanno di tutte le alternative, ognuna indistintamente più vantaggiosa da ogni prospettiva la si valuti, disponibili e ampiamente sperimentate per trattare i rifiuti.

Però l’Irlanda è un paese democratico, ed è così che da giorni va avanti un’audizione pubblica, una sorta di processo, in cui l’EPA, l’ente di protezione ambientale, quello che deve rilasciare la licenza di costruzione del giocattolo, sente varie campane. Ed è pure così che una delle campane è quella dei ragazzi del meetup locale di Beppe Grillo che si è unito ad un’associazione chiamata CRAI, e questa campana è del tutto dissonante rispetto a quella dei venditori americani presenti qui e a quella della municipalità di Dublino che delle sirene che cantano di là dell’Atlantico subisce il fascino. Invitato dai ragazzi di Grillo e dal CRAI, alla presenza di esponenti politici irlandesi, ieri pomeriggio è stato il mio turno di spiegare che il Medio Evo è finito da un pezzo e di rispondere alle domande, tra l’indispettito, l’ingenuo e lo smarrito, di chi già era convinto di fare il mega-business. Quasi un paio d’ore, faticose sì, ma che valevano la pena di essere sostenute. Già mia moglie aveva dato tempo fa un bel colpo ad un inceneritore che si minacciava di costruire in un’isola al largo dell’Inghilterra, e io non voglio essere da meno in famiglia. 

Naturalmente non ho idea di come andrà a finire la faccenda e saranno Marco, Simone, Francesco e gli altri italiani di Dublino a tenercene al corrente, ma ho la presunzione di credere che da ieri i piazzisti USA si sentiranno molto meno sicuri e che non sarà più così a cuor leggero che l’EPA penserà di concedere il permesso di costruire quella mostruosità.