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Tremonti, l'eretico ortodosso. (Global o no global?)

di Luigi De Marchi - 19/04/2008

Fonte: luigidemarchi



Tutto il nostro piccolo mondo antico della politica e della cultura ha celebrato l'ultimo libro di Giulio Tremonti "La paura e la speranza" come
l'evento dell'anno o addirittura del decennio anche perché, in queste celebrazioni, il buon Tremonti ha avuto cura di presentarsi come l'unico
profeta delle sventure che incombono sul nostro paese e su tutto l'Occidente in seguito alla globalizzazione selvaggia attuata negli ultimi dieci anni
dai liberisti duri e puri di Washington e Bruxelles.
Placata la buriana delle celebrazioni vorrei, come dice Woody Allen,interporre qualche rilievo alle pretese di Tremonti. Anzitutto, stando alla
sua bibliografia pubblicata da Wikipedia, l'unica sua opera che attacca frontalmente la globalizzazione è quella pubblicata nel marzo di quest'anno.
Certo, Tremonti ha scritto articoli o relazioni via via più critiche della globalizzazione anche negli anni precedenti ma, fino a prova contraria, egli
è stato anche Ministro dell'Economia e Vice-Premier nei Governi Berlusconi del 2001-2006, che non mi risulta abbiano mai assunto posizioni combattive
ed eroiche nel campo della globalizzazione (come, del resto, in ogni altro campo).

Ma, se parliamo di articoli, allora vorrei ricordare a Tremonti che, per parte mia, già nel 1998 e nel 1999 trasmisi proprio da Radio Radicale una
serie di editoriali (poi continuata fino ai giorni scorsi) sui disastri economici e politici della globalizzazione selvaggia promossa in Europa -
dicevo - "dal liberismo astratto degli accademici e dall'ottuso conformismo delle burocrazie nazionali e sopranazionali".

E soprattutto, quando Tremonti vanta di essere stato il primo e unico economista e politico che, in tutto l'Occidente, si è opposto alla
globalizzazione selvaggia, vorrei consigliargli di rinunciare a questa sua opera d'infondato autoincensamento perché il vero iniziatore della battaglia
contro la globalizzazione e il vero profeta (purtroppo inascoltato) dei danni rovinosi che essa avrebbe inflitto all'economia dell'Occidente e alle
storiche conquiste della sua classe lavoratrice fu James Goldsmith, un economista franco-americano proveniente non a caso dal mondo imprenditoriale
e non da quello accademico, che già nei primi anni '90, nella sua qualità  di
deputato francese al Parlamento europeo, aveva cercato di segnalare
all'opinione pubblica i pericoli della globalizzazione e che già nel 1993
aveva pubblicato in Francia un libro "La piege" ("La trappola") ripubblicato
nel '94 in edizione inglese, ove attaccava frontalmente per 170 pagine i
liberisti duri e puri e denunciava i disastri preparati per l'Occidente e le
sue masse lavoratrici dalla globalizzazione selvaggia ormai imminente,
proponendo al suo posto l'alternativa (naturalmente ignorata dai cosiddetti
grandi del G8) di una globalizzazione graduale in due tempi: un primo tempo
destinato a realizzare una totale liberalizzazione degli scambi solo
all'interno di alcune grande aree economicamente e socialmente più omogenee
(l'area euro-americana, quella africana, quella latino-americana e quella
asiatica): e un secondo tempo (da iniziare solo quando le liberalizzazioni
regionali fossero state completate) destinato a realizzare la
liberalizzazione globale con molta cautela e gradualità.

Magari gli appelli di Goldsmith e i miei fossero stati ascoltati! Oggi non
ci troveremmo sull'orlo della crisi catastrofica che tutti fingono di non
vedere e che può approdare alla terza guerra mondiale. Ecco dunque chi fu il
vero pioniere (oggi purtroppo scomparso) della lotta alla follia
globalizzatrice, che per parte mia, come ben sanno gli ascoltatori di questa
mia rubrica, da dieci anni ormai ricordo e onoro costantemente, rinnovandone
e aggiornandone i moniti nel silenzio assordante della grande stampa e dei
grandi economisti alla Tremonti.

Ma il peggio è che Tremonti non si limita a farsi bello con le penne altrui.
Il peggio è che egli lancia, sia pure da buon secondo o terzo, la sua giusta
sfida di economista e politico nascondendola (la prudenza non è mai troppa)
dietro lo scudo potente di nostra Santa Madre Chiesa. E così associa la
lotta contro la globalizzazione ad un rilancio appassionato dei grandi
valori morali dell'Occidente che egli (vedi caso!) identifica con le
cosiddette radici giudaico-cristiane dell'Europa tanto care al Vaticano.

E qui casca l'asino che, paradossalmente, è un primo della classe come
Tremonti. Perché identificare i valori di libertà dell'Europa e
dell'Occidente intero con le radici giudaico-cristiane mi sembra non solo
storicamente arbitrario, ma anche politicamente sbagliato.

E' storicamente arbitrario perché tutti sappiamo quanto accanitamente la
Chiesa cattolica e le altre chiese cristiane abbiano osteggiato la libertà
di pensiero e di azione sia nel loro clero che nella società in generale. Le
idee basilari di libertà del pensiero e dell'azione sociale sono state date
all'Europa dalla cultura classica greco-romana e si sono sviluppate in
Europa coll'Illuminismo e col pensiero liberale, tenacemente combattuti
dalle gerarchie ecclesiastiche. Ed è politicamente sbagliatissimo perché
fondare il messaggio di libertà dell'Occidente sulle cosiddette radici
giudaico-cristiane significa identificarlo con una religione dogmatica in un
momento in cui altri dogmatismi religiosi e politici tentano d'imporsi nel
mondo: significa insomma promuovere un nuovo scontro di civiltà. Viceversa
la carta vincente dell'Occidente sta proprio nel suo pensiero e
nell'organizzazione liberale delle sue società, che affascinano
irresistibilmente le masse oppresse del mondo intero.

Insomma, vorrei dire a Tremonti: "Ben venga la tua polemica
antiglobalistica. Ma, per favore, non pretendere d'esserne il primo ed il
solo campione e, soprattutto, non presentarla con una maschera confessionale
che può solo renderla sgradevole a chi vive al di fuori del nostro piccolo
mondo antico".