Dalla controcultura alla cultura eXtrema?
di Antonello Colimberti - 19/01/2006
Fonte: Antonello Colimberti
Massimo Canevacci
Culture eXtreme. Mutazioni giovanili tra i corpi delle metropoli.
Meltemi, Roma 1999, pp. 212, lire 32.000.
L’ultimo lavoro dell’antropologo Massimo Canevacci è un ulteriore tassello di un mosaico di lavori dedicati al tema cultura e comunicazione. Dopo aver esplorato in altrettanti volumi la comunicazione teatrale[1], la comunicazione urbana[2] e la comunicazione visuale[3], l’autore si sofferma più diffusamente su quella comunicazione giovanile, già argomento di provocatori saggi precedenti.[4]
Utilizzando quel metodo ‘polifonico’ ampiamente descritto nel suo manifesto teorico sul sincretismo[5], Canevacci articola il testo in tre parti, su ciascuna delle quali conviene innanzitutto riportare le sue stesse parole.
“La prima parte cerca di ridefinire gli scenari multipli dentro i quali si collocano i frammenti giovanili contemporanei; contro ogni tradizione continuista, vengono intessuti i fili che aboliscono ogni residuo concettuale di subcultura o di controcultura e si propone lo scenario multiplo delle culture sterminate. O meglio, eXterminate: condizioni giovanili e produzioni cultural-comunicative non sono terminabili. Per questo sono sterminate, senza termine, sconfinate, senza confini. Ma non tutte le culture giovanili sono eXtreme. Anzi, vorrei precisare subito le differenze tra una visione dell’estremo come tutta interna ai luoghi del consumo e della sua riproduzione territorializzata, e i visori dell’eXtremo che producono temporanee de-territorializzazioni”(p.9).
Alla luce di tale assunto, Canevacci, trent’anni dopo il famoso testo di Theodore Roszack,[6] non esita a celebrare la ‘morte della controcultura’: ”Non esiste più una controcultura perché è morta la politica come utopia che trasforma il mondo impegnando il futuro prossimo. Non c’è più controcultura perché non c’è più il contro. La fine dell’egemonia, la fine dell’ideologia e la fine della politica hanno prosciugato il contro (p.15).
Ma non basta. Alla morte della controcultura va affiancata la ‘fine delle subculture’, ovvero quel residuo di un concetto di cultura generalista e omogeneizzante, che la nuova antropologia, in particolare quella americana diffusa in Italia dall’autore[7], sta finalmente mettendo da parte: ”Non vi è più una categoria generale che possa inglobarne una particolare lungo segmenti omogenei (il carattere nazionale). Per questo sono morte le subculture. Non c’è più (se pur ci sarà mai stato) un “sopra”, ma un attraverso- anzi, molti “attraversi”: attraversare segmenti, le parzialità, i frammenti dell’io e dell’altro. Transitare tra gli “ii” e gli altri. Specie per le pluralità degli universi giovanili che non sono richiudibili dentro le gabbie delle subculture. Sono pluriversi.”(p.19).
Se la scuola (di massa), i media e la metropoli sono i tre assi portanti per la costituzione moderna del giovane come categoria sociale, il nuovo ‘giovane sterminato’ caro all’autore si caratterizza attraverso “il dilatarsi dell’autopercezione in quanto giovane senza precisi o oggettivi limiti di età, dissolvendo le tradizionali barriere tanto sociologiche quanto biologiche. Muoiono le classi di età, muore il lavoro, muore il corpo naturale, crolla la demografia, si moltiplicano le identità mobili e nomadiche. E nasce l’antropologia della gioventù.”(p.29).
Infine, il giovane sterminato si qualifica come ‘entity’: ”Entità sta oltre ogni possibile classe di età, oltre i dualismi maschio-femmina, giovane-vecchio, pubblico-privato, individuale-collettivo, stato-società. Entità diluisce come potenza dello spettro-visore le fissazioni binarie fino a dissolverle nell’aria , anzi nello spazio: nel cyberspace. Entità e l’oltre organico-inorganico. Svincolato da ogni residuo mistico-arcaico, ora entità si configura e configura nuove spazialità post-corporee che comunicano e quindi esistono tramite canali pervasivi. Con entità è del tutto inutile domandarsi se quello che era un soggetto ora sia un sito, un gruppo amicale, una sezione di un individuo, un collettivo studentesco, una tribù metropolitana, una multinazionale glocal. Se si entra nell’entità, essa/o/i/e se la ride di chi continua a utilizzare distinzioni utili nel passato, anche se di un passato tutto sommato recente, del passato industrialista: non c’è niente di naturale nel modo di essere, sentirsi, classificarsi “giovane”. Chi è entrato dentro l’entità ha capito che è solo artificiale, è una autocostruzione relazionale e ibrida. Contro gli omologatori dei segni (Baudrillard) o i timorosi della velocità (Virilio), le nuove forme di auto-percezione e di multi-comunicazione liberano dalle oppressioni moderniste basate sulla divisione di lavoro, sesso, età, razza e anche di spazio-tempo: insomma, del politico.”(p.39).
La riproduzione di questo lungo passo non soltanto offre ulteriore materiali di discussione, ma rende esplicito uno degli obiettivi polemici del volume: la sfera pubblica della polis. In consonanza con i lavori di Massimo Ilardi[8], Canevacci dichiara che “tra gli spazi della metropoli si produce l’impolitico metropolitano (o il post-politico): qualcosa che non può appartenere nemmeno etimologicamente alla sfera della polis. L’impolitico metropolitano è un concetto- assemblaggio che manifesta tensioni paradossali verso soluzioni impensate, verso definizioni impossibili secondo la logica tradizionale, verso istanze esplorative per logiche anti-identitarie, per concetti disordinati. Per concetti sterminati.”(p.50).
Per comprendere quali e cosa siano i ‘concetti sterminati’ (o ‘concetti liquidi’) conviene saltare alla terza parte del testo, così descritta dallo stesso autore: “Nella terza parte avrei potuto scegliere di trovare connessioni, fare comparazioni, genealogie e tipologie tra le culture eXtreme; invece la mia scelta è stata differente: o meglio, tutto il testo si basa su un’accentuazione delle differenze. Di conseguenza, ho pensato di sviluppare quest’ultima parte in modo stridente con le precedenti attraverso l’emergere di concetti liquidi: tensioni che connettono le interzone eXtreme (le correnti tra loro differenziate delle culture sterminate) e alcuni esploratori di senso (artisti diasporici, architetti dissonanti, ricercatrici post-coloniali, etnografi anomici, filosofi fuoriusciti ecc.).(p.10).
I concetti elencati sono tredici: aporia, anomia, amnesia-skullpture, liquid days, mediascape, polEitics-inconcrete, flame/wing- diaspora, nonorder, e-space, x-scape.
“Sono tredici concetti liquidi che scorrono su territori diversi: territori ridefinitori, incroci testuali artistico-comunicativi. Concetti che si immergono nel liquido multi-narrativo e ne emergono come sterminati. I primi tre ripensano le definizioni date legate al trio logica-legge-memoria; i secondi quattro riplasmano i sensi di sculture-musiche-arti media; poi ci sono due attraversamenti lungo nuove architetture inconcrete-infiammate; infine le ultime quattro esplorano dimensioni immateriali sospese tra traslochi-confini-spazi-fughe. Tutti saltano tra montaggi labirintici di metropoli-comunicazione-identità. Ognuno può farsi cut-up dell’altro o degli altri”. (p.193).
Nelle pagine finali del libro il pensiero filosofico ed estetico di Canevacci, che più ci interessa in questa sede, si rende esplicito. Fuori di ogni derivazione kantiana o hegeliana, l’autore sembrerebbe mostrare la propria vicinanza a quella estetica del ‘sentire’ e della ‘differenza’, delineata nella sua genealogia da Mario Perniola, e la cui estrema (o estrema?) ‘svolta fisiologica’ porta i nomi di Gilles Deleuze e Felix Guattari.[9]: “È il “godimento della differenza” che si pone come nuovo elemento concettuale. La differenza si oppone alla contraddizione dialettica . Tramite il godimento delle differenze si perviene ai concetti liquidi. La contraddizione è storicista, evoluzionista sia nella sua versione uni che multi-lineare, è intrinsecamente dualista e, in quanto tale, appartiene ad un ordine logico abbandonato, affine, coevo alle archeologie industriali e linguistiche. La differenza è nomade, cimarron, anomica, diasporica.”(p.196).
Eppure, proprio alla luce delle considerazione esposta, da noi sottoscritta in toto, torniamo alla seconda parte del testo, di cui rileviamo profondi limiti.
“La seconda parte è un excursus multi-narrativo tra un defluire di 23 interzone dove si sperimenta l’eXtremo sterminato. Molte di queste zone sono da me frequentate da anni - in primo luogo per il mio piacere. Forse per la parte sterminata della mia condizione/percezione giovanile. Mi è stata data una straordinaria possibilità di incontrare e dialogare, ascoltare e guardare molti giovani studenti che hanno costituito le basi mobili da cui imparare e dissetare una mia curiosità eccessiva, forse troppo entusiasta, sempre parziale. Il meno possibile istituzionale. Mai e poi mai “scientifica”, strumento per avere finanziamenti, fare carriera, parlare “a nome di”. Ad un tratto mi sono trovato di fronte ad una mole enorme di racconti, saperi, flyers, musiche, emozioni, comunicazioni fluide. E ho deciso di tentare di narrare alcune di queste formazioni comunicative utilizzando stili differenziati e sfaccettati. Le narrazioni coinvolgono e avvolgono solo alcune entità che hanno acceso la mia passione cognitiva pur in modalità diverse, o forse con cui ho saputo o potuto relazionarmi meglio. La narrazione, infatti, dialoga con il soggetto altro, lo “sente”.(pp. 9-10).
Questa la descrizione dell’autore. Perché non ci convince, ed anzi esorteremmo Canevacci a fare ancora uno sforzo , e ad andare oltre Canevacci? Perché, oltre a sbarazzarsi dei residui del pensiero operaista e dei suoi profeti, non fa altrettanto con gli altrettanto patetici residui del pensiero negativo e dei suoi seguaci.
Sul primo (pensiero operaista) basti segnalare la ferocia, che tocca punti esilaranti, circa il tema della ‘cittadinanza’. “Tra i custodi indistruttibili e inossidabili del sociale- santoni del pensiero immobilista, pre e post operaista (tanto non si deve mai rispondere a nessuno sulle categorie utilizzate 10, 20, 30 anni e persino pochi mesi fa: Operaio sociale come Luther Blisset: Chi l’ha visto?)- vi sono personaggi insospettabili che ritornano puntuali come le ossessioni. Non tanto i sindacati o i partiti, che pur vivono tra sopravvivenze e restauri del sociale, bensì proprio gli eredi-testamentari buoni per ogni stagione dell’operaismo autonomo. Il reddito di cittadinanza è diventato da tempo il loro slogan. Dove colpisce non tanto la richiesta di reddito statale per tutti, quanto la categoria di cittadinanza... È auspicabile che i flussi eXtremi delle culture giovanili vedano in tutto questo la risurrezione di una politica inossidabile che, invece di arrugginire in pace, cerca hegelianamente di riternarsi nei cicli postindustriali. In tali affermazioni, si coagulano gli inamovibili ritorni di leadership funeste. Mi sembra che tutto quello che sta proliferando di eXterminato stia fuori e contro le restaurazioni della cittadinanza. Toni Negri come Cobas filosofico è veramente troppo.”.(pp. 143-145).
Sono parole che hanno scandalizzato e continueranno a scandalizzare solo qualche anima bella del movimento antagonista. Al recensore di queste note , al contrario, dispiace che altrettante parole non vengano dedicate al pensiero ‘negativo’, e in particolare a quella versione ‘trasgressiva’ il cui massimo esponente è stato George Bataille.
Canevacci, per la verità, si avvicina al cuore del problema nel mostrare la differenza e il passaggio ‘dall’estremo all’eXtremo’: “Vi sono altri estremi diffusi in altri luoghi delle metropoli. Sfidare l’incrocio, violare il rosso ignorare il codice. Si vanno legittimando comportamenti (che stranieri o ingenui vedono come aggressivi) che assimilano i motorini e anche le macchine ai pedoni. Ad es., quel diritto ad andare contromano , con cui tanti giovani sterminati (qui nel senso banale che giocano con il loro e altrui sterminio) sfidano il semaforo o l’incrocio senza controllo. È un piacere del “senso vietato” esercitato contro i tanti sensi vietati possibili: voglio dire che in questi comportamenti estremi è il piacere dei sensi ad essere vietato. Ciò che si desidera e si introietta è il divieto dei sensi, la loro mutilazione. In tal modo, la strada diventa metafora distorta del corpo: poiché il loro corpo non si può distorcere, non riuscendo ad esplorare moduli infrattivi o irregolari, la strada diventa il prolungamento dell’io, diventa asfalto dell’io, un io-asfaltato. I sensi sono vietati non perché si produce una diversa mobilità eXtrema, ma al contrario perché sono proprio i sensi del corpo - sentirsi corpo-senso che si bloccano, che si vietano, che si multano. Divieto di corpo. Questa infrazione del codice stradale in realtà ne ristabilisce sempre l’autorità e la legittimazione. È in nome dell’ordine che si”passa”. Non c’è deviazione o fuga, ma blocco e stasi. Qui l’estremo è letteralmente senso unico. È produzione di un senso coatto, che si percorre sempre e solo in quella direzione per andare sempre e comunque da “quella parte”. Si incrocia per non attraversare. Nella seconda parte, vorrei narrare quei transiti comunicativi di alcune culture giovanili che scorrono dall’estremo all’eXtremo.”.(p.53)
“La strada diventa metafora distorta del corpo”, scrive Canevacci; rovesciamo l’espressione in “il corpo diventa metafora distorta della strada” e comprenderemo come le considerazioni riportate possano adattarsi facilmente a molte pratiche attuali, dalle modifiche del corpo (tatuaggi, piercing, scarnificazioni, branding) all’arte estrema, dagli sport estremi al sesso estremo. Ma, soprattutto, abbiamo trovato il filo rosso di buona parte di quelle 23 ‘interzone’ elencate, laddove non presentino residui controculturali e/o operaisti (abbastanza evidenti, lo ammette lo stesso Canevacci, in Luther Blissett e Men In Red, anche se riteniamo ingiusto da parte dell’autore tacciare questi ultimi di arretratezza e provincialismo per aver sbeffeggiato un testo sacro dell’odierna ‘trasgressione’, la nota rivista Virus, definita giustamente“freak show che porta in giro per gallerie fenomeni di baraccone come la Orlan e Franco B”). (p.111)
In altri termini, ci sembra che la fine del pensiero dialettico hegelo-marxista e la crisi di quello operaista (già imbevuto di alcuni tratti del pensiero negativo) non possa oggi lasciare in buona salute quella estrema propaggine della dialettica, che è il pensiero negativo fondato sulla trasgressione.
Per questo non perdoniamo a Canevacci la definizione di Bataille come un ‘grande anticipatore dell’eXtremo’(p.147) e gli preferiamo le parole di Deleuze: ”La ‘trasgressione’, un troppo bel concetto per i seminaristi sottomessi alla legge di un pontefice o di un curato, i truffatori. George Bataille è un autore molto francese: è riuscito a fare del piccolo segreto l’essenza della letteratura, con una madre dentro, un padre di sotto e un occhio di sopra.”.[10]
Per questo ci sembra infelice l’inclusione nel volume di tre epigrafi di Bataille, tra le quali la seguente particolarmente deprecabile: “Mi immagino un movimento e una eccitazione umani dalle possibilità senza limite: questo movimento e questa eccitazione non possono essere calmati che dalla morte.”(92), cui preferiamo un passo di Canevacci stesso: “Nello stesso tempo, i processi di rimozione della morte- del memento mori- si sono liberati da un’oppressiva presenza della morte (si pensi ai funerali pubblici che attraversavano la mia giovinezza): da una eccedenza della morte che ha oppresso e compresso ogni disordine vitalista, proclamato la saggezza del lutto espresso la vittoria della politica cadaverica. Spesso si confonde rimozione con attenuazione o liberazione da quell’eccesso di morte emanato dai simboli del dominio che paralizzavano ogni diversione o perversione. Cioè passare dalla rimozione alla coabitazione non significa indebolire la filosofia , ma esattamente il contrario: dissolvere quei caratteri mortuari presenti in tanto pensare la filosofia e la politica della modernità. Avere un buon rapporto di vicinato possibile con la morte- contro le rimozioni ma ancor di più contro le oscurantiste apologie- non deve risignificare la presenza ossessiva della morte, ma al contrario la sua presenza possibile e decentrata.”(p.36).
L’excursus sulle culture giovanili proposto da Canevacci finisce per rivelarci che è Bataille il vero Maestro occulto dei nostri tempi, molto più dei tanto amati e citati Gregory Bateson e Walter Benjamin (che non a caso amava talmente poco il pensiero di Bataille, da sottoporlo a feroce critica).
Non solo, ma uno studio più approfondito, che esula da queste brevi note di recensione, potrebbe mostrare facilmente il peso che tuttora occupa Bataille in tanti autori cari a Canevacci: non solo in Massimo Ilardi con la sua ripresa dei concetti di ‘negativo senza impiego’, della ‘sovranità’ e, più in generale, dell’ ‘impolitico’ (categoria quest’ultima che Roberto Esposito trova esemplificata al massimo proprio in Bataille[11]), ma addirittura in Mario Perniola, che non ha esitato ad includerlo fra i precursori dell’ estetica del ‘sentire’ e della ‘differenza’.[12]
A tale inclusione opponiamo un passo dello stesso Perniola, tratto da un esemplare saggio di alcuni anni fa su ‘Bataille e il negativo’: “Il tentativo fatto da Nietzsche di oltrepassare insieme il moralismo e lo storicismo, la poesia e la politica, la sovranità senza potere e il potere senza sovranità, mediante l’ipotesi di una potenza di segno opposto, di una forza reale irriducibile all’identità e inseparabilmente connessa al divenire, resta del tutto incompreso da Bataille, che lo definisce ‘un’ipertrofia dell’impossibile’. Per Bataille non si può uscire dall’opposizione contraddittoria tra sovranità e realtà, tra impossibile e possibile; egli rifiuta non solo lo sforzo di Hegel di superare la contraddizione mediante la posizione di un’identità dialettica, ma anche quello di Nietzsche, di oltrepassare la contraddizione, mediante l’intuizione di un opposto eccessivo che è al di là dell’inversione.[13]
Bataille o Nietzsche, l’estremo o l’eXtremo.
Infine, come epigrafe di ogni presente excursus sulle culture giovanili dopo il ”77, valgano le parole conclusive dello stesso saggio (datato 1977!): “Tale opposizione tra portatori del lavoro e della cultura e portatori del riso e del non sapere non è però affatto così radicale come pretende Bataille; anzi essa si rivela dal punto di vista sociale come una complementarietà caratterizzata da una netta separazione di funzioni e di compiti: ai ‘seri’ viene data la servilità e il potere, ai ‘comici’ la sovranità e l’impotenza, a entrambi la coscienza di essere i portatori della contraddizione e del negativo; né agli uni né agli altri l’effettivo oltrepassamento di una situazione che vede da un lato l’effettualità dell’economia e dall’altro l’opposizione impotente. Bataille finisce perciò col fornire agli irregolari una visione del loro stato che si basa sugli stessi presupposti filosofici su cui i regolari costruiscono il mondo del lavoro e della cultura, senza per questo integrarli nell’universo che essi detestano, anzi confinandoli in una marginalità irrimediabile, che è paradossalmente fonte di soddisfazione e di piacere infinito.”.[14]
[1] Massimo Canevacci e Alfonso De Toro (a cura di) La comunicazione teatrale, Seam, Roma 1993.
[2] Massimo Canevacci, La città polifonica. Saggio sull’antropologia della comunicazione urbana, Seam, Roma 1993.
[3] Massimo Canevacci, Antropologia della comunicazione visuale, Costa & Nolan, Genova 1995.
[4] Cfr. in particolare:
1) Massimo Canevacci, La “Nona “in curva sud. Egemonia ed entropia delle subculture, in AA.VV. Ragazzi senza tempo. Immagini, musica, conflitti delle culture giovanili, Costa & Nolan, Genova 1993, pp.121-161.
2) Massimo Canevacci, Giovani, in AA.VV. La sinistra nel labirinto, Costa & Nolan, Genova 1994, pp.65-76.
3) Massimo Canevacci, Roberto De Angelis, Francesca Mazzi (a cura di) Culture del conflitto. Giovani Metropoli Comunicazione, Costa & Nolan, Genova 1995.
[5] Cfr. Massimo Canevacci, Sincretismi. Una esplorazione sulle ibridazioni culturali, Costa & Nolan, Genova 1995.
[6] Cfr. Theodore Roszack, La Nascita di una controcultura. Riflessioni sulla società tecnocratica e sulla opposizione giovanile, Feltrinelli, Milano 1971.
[7] Cfr. Massimo Canevacci, L’autorità della scrittura , Introduzione a George. E. Marcus- Michael M.J.Fischer, Antropologia come critica culturale, Meltemi, Roma 1998, pp.11-27.
[8] Cfr. in particolare Massimo Ilardi, L’individuo in rivolta, Costa & Nolan, Genova 1995.
[9] Cfr. Mario Perniola, L’estetica del Novecento, Il Mulino, Bologna 1997, ed in particolare il capitolo V, dal titolo “Estetica e sentire”, pp. 153-187.
[10] Gilles Deleuze-Claire Parnet, Conversazioni, Feltrinelli, Milano 1980, p.56.
[11] Cfr. Roberto Esposito, Categorie dell’impolitico, Il Mulino, Bologna 1988, ed in particolare il capitolo V, dal titolo “La comunità della morte”, pp.245-312.
[12] Mario Perniola op. cit., p.176-177.
[13] Mario Perniola, Georges Bataille e il negativo, Feltrinelli, Milano 1977, pp.128-129.
[14] Ibidem, p.131.