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Il picco di Hubbert è più vicino?

di Lucia Venturi - 21/04/2008

Massimo Scalia: «ci sono stati più fattori che hanno contribuito negativamente in questi due anni all’attuale prezzo del petrolio».

Una di queste è la speculazione, ma quando la curva in crescita del grafico della domanda di petrolio incrocerà quella in discesa dell´offerta raggiungeremo il tipping point, punto di non ritorno
L’International energy forum in corso da ieri sino a domani a Roma, si trova a fare i conti con il prezzo del petrolio in continuo aumento. Con stime che lo quotano alla soglia dei 150 dollari a barile di qui a poco e che potrebbero però divenire anche 200 dollari a barile, se le rivendicazioni iraniane di maggiori guadagni per i paesi produttori rispetto alle compagnie occidentali, dovessero trovare consenso all’interno dell’Opec.

I prezzi raggiunti dal greggio non sono ancora rapportati al valore reale, sostiene infatti il presidente iraniano, colpa della svalutazione del dollaro e dell’inflazione, mentre il prezzo reale è ancora ai livelli degli anni ’80. Inflazione che durerà fino a tutto il 2008 e che dipende dall’alto prezzo raggiunto dal petrolio, sostiene l’ormai ex ministro dello Sviluppo Pierluigi Bersani, convinto che sulle quotazioni raggiunte dal greggio incidano soprattutto le speculazioni finanziarie.

Su quanto su tutto questo incida il meccanismo dell’aumento della domanda le opinioni sono discordanti: pesa molto a fronte di una offerta in diminuzione sostengono i sostenitori del raggiungimento del picco di Hubbert; grava poco, invece, secondo i fautori delle scorte ancora lontane dall’esaurimento.

Altro aspetto in gioco è il problema degli assetti geopolitici, che potranno subire cambiamenti sulla base della necessità di spostare esplorazioni ed estrazioni in aree difficili e di trasferire l’attenzione su altri fossili, quali il gas, su cui sino ad esso si è invece operativamente investito di meno.

Quale sia la principale di queste cause a determinare l’attuale situazione non è facile stabilirlo: «potremo dirla con l’espressione tipica di Ciccio Ingravallo, commissario di polizia protagonista del “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” di Gadda, ovvero che ci sono sempre più fattori concausali a determinare gli eventi» ci ha risposto Massimo Scalia, fisico e docente dell’Università La sapienza di Roma.

«Questo significa che ci sono stati più fattori che hanno contribuito negativamente in questi due anni all’attuale prezzo del petrolio che, va sottolineato, è uno dei più sensibili agli accadimenti esterni. Dopo un periodo di vacche grasse che è durato sino a 3-4 anni fa, in cui il costo del greggio stava attorno ai 10$ al barile, c’è stata una inevitabile rivalutazione con la concomitante presenza di due aspetti: il primo è che l’Opec, al di là delle dichiarazioni dell’Arabia saudita di 3 anni fa che si sarebbe impegnata per portare il greggio a 30 $ al barile e quindi che avrebbe aumentato la produzione, non l’ha poi fatto. E l’Arabia saudita con circa un quarto delle riserve operative stimate, è il massimo detentore. Il secondo aspetto è dato dal fatto che il prezzo è stato oggetto di continue operazioni speculative partite dal mercato di New York, seguito immediatamente da quello di Londra. E da queste manovre speculative è difficile ritenere estranei i vertici politici degli Stati Uniti, che sono per la gran parte rappresentanti di grandi gruppi petroliferi».

Ma il mancato impegno da parte dell’Arabia Saudita non può essere messo in relazione con il venir meno della capacità estraibile, ovvero non può essere che siamo arrivati al picco di Hubbert?
«I paesi dell’Opec ne potrebbero estrarre sicuramente di più perché ancora ce l’hanno il petrolio: su circa 1200 miliardi di barili di riserve operative accertate, loro ne detengono circa i due terzi: suddivisi tra 250-300 miliardi dell’Arabia Saudita, i 120 miliardi dell’Iran e i 120 miliardi dell’Iraq, a cui vanno aggiunti quelli degli Emirati. Il picco di Hubbert non riguarda loro ma altri paesi: i giacimenti dei mari del nord, ad esempio, sono sicuramente già nella curva discendente del picco.
C’è però il fatto che da parte dei paesi emergenti, Cina, India e le altri tigri asiatiche, che rappresentano circa un terzo della popolazione mondiale, c’è stata l’assoluta novità dell’incremento assoluto della domanda mentre da parte dei paesi dell’Opec non è stata allargata l’offerta. Quindi tutti questi fattori messi assieme, aumento della domanda, restringimento dell’offerta, compreso il riequilibrio del prezzo del petrolio su cui si sono innescati meccanismi di speculazione finanziaria, hanno determinato l’aumento dei prezzi.
Bisogna poi ricordare che il mercato mondiale continua a preferire il dollaro, ma non è lontano il futuro in cui si comincerà a pensare in euro. Se consideriamo che adesso un euro vale 1,250 dollari, quando era partito da poco sopra 0,90 e si calcola quanto ha pesato il fattore inflattivo, il prezzo del greggio risulta molto vicino a quello che aveva ai tempi dell’altro picco, quello del 1985».

Vuol dire che facendo i conti si ottiene un valore del prezzo del greggio di oggi a 117 dollari, paragonabile a quanto costava allora?
«Esatto, il petrolio tocca oggi il picco che già fu toccato nel 1985 e questo significa che i prossimi mesi dovranno servire a capire se siamo vicini al picco di Hubbert o no. Al netto delle cose dette fino ad ora, si può senz’altro sostenere che monetariamente siamo al picco dell’85, anche se, depurato dalle tensioni speculative e dalla limitata offerta dell’Opec, sarebbe sotto. Comunque siamo nelle condizioni che accrediterebbero l’idea che il picco di Hubbert non sia davvero lontano».

Dal punto di vista degli assetti geopolitici quanto potrebbe pesare questa situazione?
«Difficile valutare le conseguenze, ma se pensiamo che questo spingerà – e i segnali da parte di Eni sono già chiari- ad investire nelle esplorazioni per acquisire il gas sono abbastanza prevedibili. Del resto gli interventi in Afghanistan e in Cecenia, fatti per i grandi gasdotti, ne sono già un esempio».