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L’Elefante non supererà il veloce Dragone

di Romeo Orlandi - 22/04/2008

 

 

Il Pil cinese è tre volte più grande di quello indiano, il Dragone corre più dell’Elefante, l’Impero di Mezzo è più vasto e popoloso del subcontinente. È verosimile dunque che la distanza tra le 2 economie tenderà ad aumentare: nonostante gli spettacolari successi dell’India, la Cina appare irraggiungibile per la sua capacità di combinare sviluppo e stabilità. L’ipotesi del sorpasso è stata abbandonata la Tarun Khanna, il professore di Harvard che per primo le aveva offerto dignità scientifica con un famoso articolo nel 2003 su Foreign Policy. Nel suo ultimo libro ("Billions of entrepreneurs, How China and India are reshaping their future and yours", HBS Press), Khanna si concentra su argomenti forse meno suggestivi ma più concreti: le differenze nei percorsi di sviluppo, le possibili integrazioni dei giganti asiatici, la definizione di nuovi modelli di business per le aziende straniere.

 

In Cina la classe dirigente ha scelto la crescita economica come strategia politica. Per Khanna «lo Stato è l’imprenditore» e molte volte raggiunge alti livelli di efficienza. Sia nelle piccole unità nelle campagne che nelle grandi imprese la mano pubblica, sebbene con conduzioni private, è dominante. Non si tratta di tradizionali imprese statali ma, paradossalmente, di aziende private gestite da ex funzionari di apparato: il40% degli imprenditori cinesi è iscritto al Partito Comunista. Al contrario, in India l’amministrazione e avvertita come un fardello di inefficienza dall’imprenditoria; agli estremi appaiono il dinamismo delle aziende di successo e la mancanza di un sistema di infrastrutture. Gli investimenti dall’estero hanno privilegiato la Cina, nonostante l’opacità del proprio sistema legale rispetto a quello indiano. La diaspora cinese, the bamboo network, è stata blandita e non aveva bisogno di protezione legale per investire. Al contrario, 120 milioni di indiani all’estero, molto spesso imprenditori di successo, hanno visto chiusa la porta del ritorno da una legge demagogica che li privava della nazionalità.

 

La cooperazione tra i due Paesi appare più un auspicio che una possibilità reale. I flussi commerciali sono in crescita, ma ancora a livelli ridotti. La Cina vanta un interscambio con Giappone e Corea del Sud superiore di io e 5 volte a quello registrato con l’India. I partner tecnologici sono ancora nei Paesi industrializzati e l’integrazione tra la fabbrica e l’ufficio dei mondo, ai due versanti dell’Himalaya, appare limitata a poche aziende. Attraverso una minuziosa ricostruzione delle strategie aziendali, Khanna dimostra che progettare in India, produrre in Cina e vendere ovunque è possibile. Se il Guangdong rappresenta già la fabbrica diffusa per tutti, Bangalore può diventare «the outsourcing capital of the world». Il termine usato è "mutualismo", che esprime un’aspirazione ideale, tesa ad accantonare le rivalità tra i paesi e ad esaltarne le complementarietà economiche.

 

Se questo orizzonte è ancora lontano, le implicazioni per le aziende straniere sono invece immediate. Il modello di business tipico delle multinazionali, basato sulla combinazione di costi bassi e marketing sofisticato, potrebbe essere presto messo in discussione da una futura autosufficienza asiatica. La sfida sarà addirittura più pressante quando le industrie indiane e cinesi riusciranno, sulla base di economie di scala crescenti, a ridurre i loro costi di R&D, specializzandosi nella distribuzione, nel design, nel branding. Sarà quello il momento della possibile conquista dei mercati più sofisticati e ricchi.

 

Se la globalizzazione riuscirà a evitare tensioni politiche, assisteremo a una nuova divisione del lavoro e ad una differente catena del valore, quando «le cure per il diabete saranno sviluppate negli Usa, ma i diabetici, non solo indiani e cinesi, saranno curati in India e Cina». I Paesi già industrializzati cercheranno di mantenere la supremazia tecnologica, i giganti asiatici si avvicineranno ma rimarranno diversi e nazionalistici, confermando che Cindia non è un nuovo super-Stato ma uno stato della mente, talvolta inquietante, altre promettente.

 

 


NOTE


Osservatorio Asia