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La storia rubata dagli europei

di Dino Messina - 23/04/2008

Controversie Un antropologo contro tre mostri sacri: in Asia e Cina non regnò soltanto l'immobilismo
Jack Goody accusa: Needham, Elias e Braudel malati di etnocentrismo


Abbiamo rubato la storia. Ma il furto, il più colossale che si possa commettere, non è stato mai scoperto, anche perché a cancellare le tracce hanno contribuito i più grandi pensatori dell'Occidente. È questa la tesi che espone l'antropologo inglese Jack Goody, nel saggio appena uscito da Feltrinelli, che si intitola appunto Il furto della storia (pagine 416, e 38), in cui il professore emerito dell'Università di Cambridge cerca di smontare la presunzione etnocentrica degli europei. Perché è l'eurocentrismo, secondo Goody, la malattia cronica della nostra cultura. Un morbo che, in virtù del grado di sviluppo acquisito dal vecchio continente a partire dal Rinascimento, ci fa ridimensionare il passato delle altre civiltà, in primis quelle asiatiche. Un errore prospettico che ci porta a considerare la nostra civiltà come superiore e ci fa sottovalutare il pericolo di declino e la concreta possibilità che l'egemonia culturale ed economica del mondo possa avere un altro baricentro.
All'origine del pregiudizio moderno, troviamo una serie di grandi personalità: Johann Winckelmann, che esaltò «la tradizione artistica della Grecia come l'unica capace di esprimere il vero ideale della bellezza»; il linguista Karl Wilhelm von Humboldt, «che giudicò la lingua dei cinesi inferiore»; Georg Wilhelm Friedrich Hegel, il quale pensava «che la Cina rappresentasse il livello evolutivo più basso del mondo».
Ma la parte più stimolante del saggio è quella in cui Goody sottopone a dura critica le tesi di tre grandi storici: tre maestri del Novecento che rappresentano l'apice della cultura e del politicamente corretto. Invece, secondo l'impertinente decano dell'antropologia britannica (Goody è del 1919), anche personalità come Joseph Needham, Norbert Elias e Fernand Braudel hanno partecipato al «furto della storia» ai danni di altre civiltà in nome dell'eurocentrismo. L'unico peccato è che i tre grandi non possano rispondere, perché sono scomparsi.
Joseph Needham (1900-1995), il biologo inglese che più di ogni altro ha contribuito alla conoscenza della cultura cinese con la sua opera enciclopedica,
Scienza e civiltà in Cina, ricade tuttavia secondo Goody «nei luoghi comuni storiografici sull'unicità del Rinascimento e sulla nascita della borghesia, della modernizzazione, del capitalismo e della scienza, appunto, "moderna"». Needham è lo studioso che ci ha fatto capire, scrive Goody, quanto la Cina sia arrivata prima dell'Europa a molte scoperte tecnico-scientifiche, tuttavia condivide il pregiudizio dell'euromarxismo «sull'assenza di una borghesia in Cina» e vede «il capitalismo come un fenomeno specificamente europeo». Per Goody invece «la borghesia era un fenomeno internazionale » e la straordinarietà del Rinascimento europeo, reso possibile anche e soprattutto grazie agli scambi internazionali, non ci deve far sottovalutare le altre civiltà e la possibilità di assistere a «rinascenze» future che potrebbero sorprenderci.
Più diretto e sorprendente è l'attacco a Norbert Elias (1897-1990), il raffinato autore del Processo di civilizzazione e della Civiltà delle buone maniere. Al centro della discussione, anche in questo caso, il periodo del Rinascimento e dell'assolutismo, in cui, secondo il sociologo tedesco, accanto allo Stato sovrano, alla borghesia e all'economia di mercato si sono affermati i valori della bellezza, ma anche dell'igiene e dell'ordine. Per Goody, uno dei limiti dell'analisi di Elias sta nel non prendere in considerazione la storia di nessun'altra parte del mondo. Perché così avrebbe scoperto che alcune conquiste delle buone maniere si affermarono anche in altre parti del mondo: l'uso dei bastoncini a tavola, la cerimonia del tè, ma anche l'uso della carta per fini igienici, quando nel romanzo di Rabelais Gargantua raccontava di essersi pulito «con la salvia, il finocchio, l'aneto, la maggiorana, le rose, le foglie di zucca». Per non dire che fra il XV e il XVII secolo l'Occidente ha conosciuto anche per motivi religiosi una diminuzione dei bagni di pulizia, considerati peccaminosi. Invece, per fare un esempio, nella città persiana Isfahan alla fine del XVI secolo si contavano 273 bagni pubblici. Il furto della storia non riguarda tuttavia soltanto le società asiatiche, ma anche quelle africane, quando Elias parla di «senso di colpa» per la società borghese occidentale e di semplice «sentimento di vergogna» per le società primitive del Ghana, allo scopo di sottolineare il diverso grado di sviluppo che avrebbe ripercussioni anche sulla psiche degli individui.
Il compito più arduo Goody se lo assume nella contestazione di Fernard Braudel (1902-1985), il gigante della storiografia francese, fondatore delle Annales, che nei tre volumi del suo lavoro più importante, Civiltà materiale, economia e capitalismo, commette secondo il suo critico l'errore di annettere all'Europa il capitalismo. Intendiamoci, Goody esprime tutta la sua ammirazione per il genio di Braudel, ma non si può non notare che le sue fonti siano «inevitabilmente soprattutto europee » e portatrici di un pregiudizio eurocentrico. L'Europa viene considerata dal francese al centro di tutte le innovazioni anche quando scopriva bevande eccitanti che in realtà provenivano da altri mondi: il caffé arabo, il tè cinese, il cioccolato messicano. Un pregiudizio simile a quello di Elias si riscontra quando Braudel parla delle abitudini quotidiane, considerando per esempio il monotono abbigliamento cinese un sintomo dell'immutabilità sociale. Ancor più grave, secondo Goody, l'errore di Braudel quando questi attribuisce il capitalismo finanziario alla sola Europa, trascurando alcuni periodi della storia asiatica.
La visione antropologica è parte essenziale della critica storica di Jack Goody, che nella migliore tradizione britannica ha un grande gusto per la controversia intellettuale.