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Il tempo del disincanto

di Valerio Lo Monaco - 24/04/2008

     

 

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Scrive giustamente Mannino giorni addietro che il “partito del non voto” è il terzo partito italiano (3,2% unito al 2,5% delle nulle, più l'1,3% delle bianche, totale 7% ovvero circa 3 milioni di non voti in più rispetto al 2006). Al di là di analisi di flussi elettorali delle quali abbiamo fatto indigestione nei giorni scorsi, in realtà ci sembra che il risultato elettorale sia – almeno a noi di Movimento Zero – molto favorevole.
Mi spiego. Ci sono due dati che emergono con chiarezza e che vale la pena valutare mettendoli nella prospettiva che ci è propria. Il primo: la totale assenza di forze politiche parlamentari con la benché minima (almeno dichiarata) volontà di carattere sociale, anti-liberista e anti-economicista. Il secondo: il totale, incontrovertibile e ampiamente legittimato blocco di forze che invece vanno – e si esprimeranno – nel solco esatto del sistema attuale.
Entrambi i dati, se correlati e interpretati in chiave di lettura rivoluzionaria che ci è propria, non fanno altro che suggerire un aumento della velocità nei confronti dello schianto del nostro sistema. Che è inevitabile e, a questo punto, augurabile. Fuori i secondi insomma, prima si rompe tutto (anche nell’immaginario comune) prima ci si rende conto che si deve ricostruire in direzione diversa.
Non vi sono più forze in grado di dare alibi alle maggioranze nel ritardo alla realizzazione dei propri piani. Non vi sono più maggioranza e opposizione con visioni politiche differenti, e dunque il parlamento potrà procedere senza esitazione nella perpetuazione di quello che è il sistema più antidemocratico, anticostituzionale e antisociale che potremmo immaginare.
Dal che, evidentemente, risulterà – presto – una situazione ancora peggiore di quella attuale, il disincanto di chi ha ancora dato fiducia a una o all’altra parte sperando in un cambiamento delle cose, e si giungerà finalmente ad avere, nel nostro paese, tutta una serie di peggioramenti che auspicabilmente consentiranno di svolgere i due stadi fondamentali per il cambiamento. Il primo: prendere coscienza della realtà e decolonizzare l’immaginario. Il secondo: convincersi di dover cercare una via veramente alternativa a quella attuale.
E qui, torniamo a noi, che evidentemente tali stadi, e da tempo, abbiamo acquisito e fatti propri.
Cosa fare, nel frattempo? Né più né meno che quello che stiamo facendo da tempo, ma con maggiore vigore e con rinnovati strumenti, oltre alla convinzione che ogni giorno che passa, inevitabilmente, ci avvicina a quella che sarà una presa di coscienza sempre più diffusa, nell’opinione pubblica, di quanto andiamo dicendo da tempo.
La cosa non è di poco conto. Perché se alla base di un movimento come il nostro vi sono delle capacità culturali, degli studi, una attitudine riflessiva che ci ha portato a prendere coscienza della situazione e dunque a rendere manifesta l’essenzialità di una proposta differente rispetto al sistema attuale, è difficile (e sbagliato) sperare (solo) in un percorso culturale complessivo delle masse. Soprattutto considerando lo stato dello spazio alla cultura e all’informazione che viene tolto dalle nostre vite a vantaggio di quello lobotomizzante che ci propinano per “venderci” lo status quo.
Molto più semplice – e finalmente ci stiamo avvicinando al momento – confidare in una presa di coscienza dovuta non tanto a un processo intellettivo quanto a quello della indigenza, che quasi tutti, in un modo o nell’altro, si troveranno a dover sostenere.
Continuiamo dunque a informare, a batterci per la diffusione delle nostre idee, a non cedere un millimetro al deserto che avanza, e a “preparare” il più possibile il terreno alla comprensione diffusa di quanto sta accadendo e di come e cosa fare per trovare alternative.
Stiamo mettendo a punto altri mezzi e potenziando quelli attuali a tal fine. Il tempo della perdita del disincanto diffuso non è poi così lontano.