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Crisi alimentare, l’America costretta al razionamento

di Maurizio Molinari - 24/04/2008

 
Dal ricco Nord Est alla West Coast la contrazione dell’offerta e i prezzi alle stelle spingono la grande distribuzione a limitare la vendita di farina, riso e olio


“A causa della ridotta disponibilità, siamo costretti a limitare la vendita di riso”: il desolante avviso, scritto su un cartello a grandi caratteri, pende nel negozio sopra scaffali semivuoti.
Una scena da tempo di guerra o da paese in via di sviluppo, ma il teatro è tutt’altro: a confrontarsi con il razionamento è la ricca America, granaio del mondo ora alle prese con una crisi alimentare che vede l’offerta di generi di prima necessità contrarsi e i prezzi al consumatore volare.

Il cartello fa mostra di sè in un grande magazzino della catena Costco Wholesale a Mountain View, in California, ma il razionamento ha toccato l’intera West Coast e le aree più ricche del Nord Est, dal New England a New York: ad essere sottoposti a limitazioni di vendita sono anche la farina e l’olio, ma tra gli scaffali del negozio californiano è soprattutto del riso che si sente la mancanza, visto che la clientela è composta soprattutto da immigrati asiatici. “Dov’è il riso?”, si domanda smarrito Yajun Liu, ingegnere di Palo Alto intervistato dal New York Sun, “Tutti dovrebbero poter comprare una cosa semplice come il riso. E’ ridicolo”: sugli scaffali sono rimasti, al posto dei consueti sacchi da 20 chili, pacchi grandi meno della metà, ma con un prezzo che sfiora i 16 dollari. Nei negozi più piccoli, classici minimarket di quartiere, il costo supera anche i 30 dollari per sacchi da 10 chili e l’ordine è il medesimo: un solo pacco per cliente, perché le scorte sono ridotte all’osso.

Il fenomeno è diffuso a macchia di leopardo, ma è comunque un primo sintomo grave di quel fenomeno di iperinflazione nel settore alimentare che sta mettendo in ginocchio l’economia e minacciando la sicurezza nei paesi più poveri: l’impennata dei prezzi e la scarsità di cibo hanno causato rivolte armate ad Haiti, in Indonesia e in diversi paesi africani, mentre l’India ha bloccato le esportazioni di ogni qualità di riso, all’infuori delle più pregiate e apprezzate sui mercati esteri, e il Vietnam ha detto no alla firma di un nuovo contratto di vendita di riso proveniente dall’estero.

Ma la strategia di imporre barriere commerciali o di ricorrere a incentivi per l’importazione di beni alimentari è stata bollata come un pericolo che può “distorcere i meccanismi del commercio internazionale ed aggravare la crisi” dal segretario generale dell’Onu: durante una conferenza su commercio e sviluppo ad Accra, in Ghana, Ban Ki-Moon ha lanciato un allarme per le possibili conseguenze negative che l’aggravarsi della crisi potrebbe avere sulla sicurezza internazionale, sulla crescita economica e il progresso sociale. La Banca mondiale stima che l’aumento dei prezzi abbia sfiorato in media l’83% negli ultimi 3 anni e che la crisi alimentare, innescata da una concomitanza di fattori - dall’incremento delle richieste di cereali per la produzione di ecocombustibili all’impennata dei consumi in Cina e India -, possa condurre sotto la soglia della povertà almeno 100 milioni di persone in tempi straordinariamente brevi.