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NATO sotto i peggiori auspici

di Roberto Zavaglia - 24/04/2008

Il mantenimento dell’assoluta

supremazia mondiale, sul piano

militare, ma non solo, sarà l’obiettivo

strategico del prossimo Presidente

statunitense, chiunque egli

sia. Hillary Clinton e John Mc Cain

lo hanno più volte ribadito, mentre

Barack Obama si è espresso in modo

più sfumato, al limite della reticenza,

come ha fatto su quasi tutti gli argomenti

di politica internazionale. Non

c’è dubbio, comunque, che anche il

senatore dell’Illinois, se dovesse conquistare

la Casa Bianca, opererebbe

per evitare il rafforzamento di quelle

potenze che, in prospettiva, potrebbero

competere con Washington.

Negli Stati Uniti, infatti, nessuna

rilevante corrente di pensiero mette

in dubbio questo concetto strategico,

fondato sulla convinzione che il Paese

abbia una “missione speciale” da

compiere. Dai liberali internazionalisti

ai neoconservatori, le posizioni

mutano riguardo alle modalità con

cui mantenere il primato - passando

dalla preferenza per l’azione diplomatica

e il rafforzamento delle

alleanze alla tendenza a fare da soli,

sfruttando pure la superiorità militare

-, ma il fine ultimo rimane il medesimo.

È per sostenere questa ambizione

che il bilancio militare previsto

per l’anno 2009 supererà i 600

miliardi di dollari.

La visione messianica statunitense è

stata rafforzata dalla vittoria nella

Guerra Fredda, che, per alcuni anni,

ha liberato il campo da qualsiasi

competitore. Alla fine della Prima

Guerra del Golfo, Bush padre, avendo

trascinato con sé una vasta alleanza,

comprendente pure alcuni Stati

arabi, in un’impresa inconcepibile

solo pochi anni prima, proclamò la

nascita del Nuovo Ordine Mondiale

che, in tutta evidenza, era quello di

un mondo unipolare in cui non erano

tollerate “ribellioni”.

Da quei giorni, però, le cose sono

cambiate e, seppur nessuna altra

potenza, ancora oggi, possiede risorse

e capacità di proiezione pari a

quelle USA, ci sono, però, due grandi

Stati che non accettano di sottomettersi.

Russia e Cina, attraverso

vicende molto diverse, hanno acquisito

un immagine di se stesse come

protagoniste degli equilibri

 internazionali, a cominciare

dalle aree ritenute di interesse

vitale. Mentre la Cina,

impegnata a governare la sua

convulsa crescita economica,

coltiva per ora le proprie ambizioni

strategiche in modo “discreto”,

la Russia ha ingaggiato

già più di un duro scontro

diplomatico con Washington.

La Presidenza Putin ha ridato

al Paese l’orgoglio delle proprie

gigantesche dimensioni e

l’ambizione di confrontarsi da

pari a pari con chiunque.

La fisiologia dei rapporti internazionali

e la storia insegnano

che quando si affaccia una

nuova potenza, o una decaduta

tenta di recuperare il suo status,

i rischi di conflitto aumentano,

soprattutto se chi detiene

la supremazia non accetta di

limitare, almeno in parte, il

proprio dominio. Negli ultimi

anni, Washington ha continuato

a considerare la Russia

come quell’impero crollato,

sull’orlo di un’implosione

sociale, del primo periodo

post-sovietico. Il frettoloso

allargamento della NATO a

ex Paesi del Patto di Varsavia

è stato attuato per approfittare

dello stordimento del

“nemico” e per negargli, per

sempre, la speranza di giocare

un ruolo importante.

Le risorse, non solo energetiche,

della Russia gli hanno

però consentito di rialzarsi in

piedi e di iniziare a battersi

contro l’accerchiamento in

atto.

George W. Bush e i suoi consiglieri

non hanno preso atto della

nuova situazione, agendo

come se Mosca non dovesse

reagire di fronte ad alcuna

provocazione. All’ultimo

vertice di Bucarest,

a causa delle perplessità

degli europei,

il Presidente

USA ha dovuto

rimandare l’inizio

del processo

di

ingresso nella NATO di Ucraina

e Georgia, ma ha incassato

dagli alleati il tacito assenso

sullo Scudo antimissile da

installare nella Repubblica

Ceca e in Polonia.

Il Cremlino identifica in questa

decisione la volontà di sbilanciare

ulteriormente l’equilibrio

nucleare, minacciando la

sicurezza del Paese.

Non si vede come si

possa dare torto ai

russi quando

dicono che se il

sistema di difesa

fosse diretto davvero

contro l’Iran,

come

afferma

Washington,

allora

lo si

sarebbe dovuto installare in

Turchia, storica roccaforte della

NATO, mentre l’ipotesi di

un attacco della Corea del

Nord, con missili che viaggiano

verso gli USA attraverso

l’Europa, è contro le leggi della

balistica…

Il progetto di porre fine

all’“equilibrio del terrore”

Washington l’ha inaugurato

ufficialmente nel 2002, con la

denuncia unilaterale del “Trattato

Abm”. Gli Stati Uniti stanno

impiegando somme enormi

nel tentativo di porsi in grado

di sparare il famoso “primo

colpo” senza subire un’analoga

rappresaglia, rendendo concettualmente

plausibile, per la prima

volta, la guerra atomica.

I generali russi, però, non sono

stati con le mani in mano e

hanno provveduto a modernizzare

il proprio apparato missilistico

che, pur non essendo più

di un livello pari a quello USA,

rimane comunque di spaventosa

potenza. Certo, la Russia

non vuole commettere lo stesso

errore dell’era sovietica,

sfiancandosi in una rincorsa

militare agli Stati Uniti, ma

l’annuncio di Putin, nel dicembre

2007, di non rispettare più

il Trattato sulla limitazione delle

armi convenzionali in Europa

ha fatto ben capire che la

corda potrebbe, prima o poi,

spezzarsi.

Un eventuale scontro militare

tra Washington e Mosca si

combatterebbe, come negli

scenari bellici del periodo

bipolare, in Europa, ma sembra

che i dirigenti politici del

nostro continente non ne

abbiano consapevolezza. Invece

di denunciare i pericoli dell’espansionismo

della NATO,

il Presidente francese, Sarkozy,

ha annunciato il rientro della

Francia nel comando integrato

dell’Alleanza, dal quale l’aveva

fatta uscire de Gaulle nel

1966. Sarkozy vorrebbe creare

la difesa comune europea

ancorandola alla NATO, per

tranquillizzare gli USA. A questo

fine gli alleati che si è scelto

sono la Germania e, si pensi

un po’, la Gran Bretagna la

quale, soprattutto in ambito

militare, vede la prospettiva di

unificazione e autonomia continentale

come la peggiore delle

sciagure. Il massimo cui

potrebbe portare lo scriteriato

attivismo di Sarkozy è un più

efficace, e dispendioso, supporto

europeo alle strategie

della NATO, senza i mezzi per

tutelare autonomamente la

sicurezza e gli interessi del

continente.

La nuova NATO, decisa e forgiata

da Washington secondo i

propri interessi, è un pericolo

per la pace, soprattutto nel

nostro continente. Se, per fare

un solo esempio, l’ostinazione

USA riuscisse a portare la

Georgia nell’Alleanza, potrebbe

verificarsi il classico caso di

una crisi locale che degenera in

un conflitto generale. La

NATO, per tutelare, come da

patti, l’integrità territoriale della

nuova arrivata, forse si troverebbe

di fronte l’esercito russo

che - Mosca l’ha già lasciato

intendere - favorirebbe la definitiva

secessione delle Repubbliche

“amiche” di Ossezia del

Sud e di Abkhazia. Chissà

come farebbero, allora, Sarkozy,

Berlusconi e gli altri a

convincere i ragazzi europei ad

andare a morire per Tiblisi…