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Arte Antica. Il trapassato prossimo

di Maurizia Tazartes - 27/04/2008

 
Mantova, Rimini, Trento e Venezia dedicano interessanti mostre all’arte antica: ma quale è l’eredità dell’arte greco-romana nelle epoche storiche successive? Maurizia Tazartes ci guida in un percorso dove l’arte attraversa la storia, evidenziano gli ibridismi culturali fra la tradizione romana e il Medioevo, il cristianesimo, i barbari.
A Roma, alla sua estetica e ai suoi ideali, si rifecero molti grandi imperatori, fra i quali Federico II e Carlo Magno. L’imitazione di opere classiche o la loro trasformazione continuò nel Basso medioevo, in particolare a Pisa, fino a raggiungere il massimo dello sviluppo nel Rinascimento.


Mostre, libri, dossier: l’arte antica è di nuovo alla ribalta. Si è appena aperta a Mantova «La forza del Bello. L’arte greca conquista l’Italia», che ripercorre la presenza dell’arte greca nella penisola dal VII secolo a.C. al Settecento e oltre. Se ne è inaugurata ieri un’altra a Rimini, dal titolo «La rinascita dell’antico nell’arte italiana. Da Federico II ad Andrea Pisano». Seguirà il 4 luglio quella al Castello del Buonconsiglio di Trento: «Rinascimento e passione per l’antico: Andrea Riccio e il suo tempo». Nell’antico affondano le nostre radici, non c’è epoca della nostra storia che non abbia succhiato il latte dall’antichità, traendone i più svariati influssi. Nell’arte italiana l’antico è stato sempre presente dalla tarda romanità a oggi attraverso procedimenti formali, iconografici, tecnici e ideologici. Nel Medioevo il rapporto col mondo classico, greco e romano, è complesso, ma rivela tendenze comuni: il re-impiego di strutture e pezzi antichi, la riproduzione o imitazione di opere, la riproposta di idee e contenuti classici. Nel IV secolo, a esempio, dopo che l’editto di Costantino del 313 aveva restituito libertà di culto ai cristiani, si costruirono chiese e battisteri guardando all’edilizia romana. Non solo, si fece anche man bassa di colonne, architravi, capitelli, utilizzandoli nei nuovi edifici. Le pitture delle catacombe adattavano iconografie greche e romane al nuovo culto, come testimoniano i Tre fanciulli nella fornace o il Buon Pastore dipinti nel III secolo nel cimitero romano di Priscilla sulla via Salaria. Volti di imperatori e di matrone diventavano quelli di santi e madonne. Anche i barbari erano patiti della romanità. L’ideale classico di bellezza finiva con l’intrecciarsi ai nuovi linguaggi artistici, a volte rozzi, ma vivaci e fantasiosi, con esiti di grande fascino in miniature, oreficerie (come quelle esposte alla rassegna veneziana di Palazzo Grassi «Roma e i barbari») e i cicli pittorici del VII-VIII secolo. Molti gli esempi. Tra i più curiosi una miniatura del manoscritto sull’arte di cacciare con gli uccelli dove l’imperatore Federico II di Svevia è rappresentato come un antico Cesare. Federico II, Carlo Magno, Roberto il Guiscardo adottarono tutti i simboli della romanità.
Tra le città più appassionate di classicità ci fu Pisa, che nell’XI secolo costruiva il suo celebre Duomo con lastre pavimentali, urne, cippi, sarcofagi, importati come trofei dalle flotte pisane. Li possiamo vedere ancora oggi inseriti nei muri, con iscrizioni latine. Altri esempi? Il fonte battesimale della basilica di San Frediano di Lucca, realizzato nell’XI secolo da un Maestro Roberto con rilievi di chiara derivazione classica.
Ma è nel Rinascimento il vero boom dell’antico. Il Medioevo, con le sue contaminazioni barbariche, aveva finito col far dimenticare gli ideali di proporzione classica. Gli artisti della nuova epoca vogliono tornare a quella «sacrosanta antichità», ai suoi equilibri e alla sua armonia. E inventano mille modi per ritrovarla: la grandiosità delle statue antiche entra negli affreschi di Masaccio, mentre in Mantegna gli interessi antiquari si esprimono nella ieraticità dei personaggi, nei dettagli ornamentali, nelle architetture dipinte. Nelle botteghe di pittura circolano album di disegni con modelli antichi, su cui si formano generazioni di artisti. Nascono statue e gruppi equestri ispirati alla classicità, come il Bartolomeo Colleoni di Verrocchio. [...]
Ma c’è anche un altro modo per rendere omaggio all’antichità: farsi ritrarre con celebri statue in mano o sul tavolo, ostentare monete e collane antiche. [...] E il Seicento? Ecco subito Velázquez giocare con il mito nel suo ironico e spregiudicato Bacco, che trionfa tra poveracci e contadini. O El Greco che rammollisce il celebre Laocoonte e figli, rappresentandoli stravaccati di fronte a Toledo nel capolavoro della National Gallery di Washington. Tra serio e faceto l’antico giunge sino a noi. Ma è un discorso ancora lungo.