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Iraq, Sadr City è un campo di battaglia

di Ornella Sangiovanni - 30/04/2008


Si continua a combattere – e a morire – a Sadr City, l’enorme slum a grande maggioranza sciita situato nella parte est di Baghdad, che le forze Usa e quelle irachene hanno ormai isolato dal resto della città.

Secondo alcuni parlamentari del gruppo che fa riferimento a Muqtada al Sadr, il leader sciita di cui il quartiere è considerato una roccaforte, sarebbero oltre 500 le persone rimaste uccise – e 2.100 quelle ferite - da quando sono scoppiati i combattimenti, a fine marzo, in concomitanza con l’attacco deciso dal premier Nuri al Maliki contro Bassora.

Il conteggio di ieri è di almeno 50 morti, scrive il Washington Post, sulla base delle informazioni avute dai residenti.

"Adesso Sadr City è come una città di fantasmi", dice al telefono al quotidiano statunitense Abu Haider al-Bahadili, un combattente dell’Esercito del Mahdi, la milizia fedele a Sadr. "Si è trasformata da una città in un campo di battaglia”, aggiunge, mentre in sottofondo si sente il rumore delle sparatorie.

Per quanto riguarda i combattimenti di ieri, la versione dei residenti, riportata dal giornale americano, è diversa rispetto a quella delle forze Usa, che dicono di avere ucciso 28 “combattenti”, dopo che i loro uomini erano stati attaccati - con bombe collocate sul ciglio della strada, lanciagranate, e armi leggere - mentre stavano cercando di evacuare un soldato ferito.

La gente del posto dice che sono state uccise almeno 50 persone e 130 ferite, molte delle quali donne e bambini.

Secondo Falah Shanshal, un deputato ‘sadrista’, l’attacco aereo Usa avrebbe demolito almeno cinque case, uccidendo 29 persone. Intere famiglie sarebbero rimaste sotto le macerie, e quando è arrivato un bulldozer per rimuoverle, l’autista sarebbe stato colpito da un cecchino.

E in effetti, una foto della Associated Press mostra un bambino che viene tirato fuori dalle macerie. Ali Hussein, che aveva 2 anni, è morto in ospedale, riferisce l’agenzia.

"Sadr City è sotto il martello americano, e nessuno la sta monitorando", dice al Washington Post Liwa Smeisim, capo dell’ufficio politico del movimento di Sadr. "L’80% delle operazioni militari stanno prendendo di mira innocenti, perché gli americani vogliono fare in modo che la gente si ribelli contro l’Esercito del Mahdi, per poter entrare in città e controllarla. A Sadr City nessuno è al sicuro, né le donne né i bambini".

La BBC riferisce che i due ospedali principali di Sadr City – il “Sadr General Hospital” e l’ “Imam Ali” – non ce la fanno più a far fronte al gran numero di vittime che continuano ad arrivare. I medici parlano di oltre 400 morti e quasi 2.500 feriti da quando sono iniziati i combattimenti, e sono preoccupati perché comincia a mancare l’acqua e non ci sono abbastanza specialisti in traumi gravi per curare tutti coloro che ne hanno bisogno.

Nei prossimi giorni una delegazione di leader ‘sadristi’ dovrebbe incontrare il premier Nuri al Maliki per cercare di negoziare una fine alle violenze, ma entrambe le parti sembrano lontane da una intesa, dato che il Primo Ministro iracheno pretende che Sadr sciolga l’Esercito del Mahdi.

Dalle forze Usa arriva la solita versione: ieri gli americani hanno risposto solo dopo essere stati attaccati, e se ci sono state vittime civili la colpa è dei miliziani sciiti.

“L’unico onere della responsabilità è sulle spalle dei miliziani ai quali non importa nulla degli iracheni”, questa la risposta che il Washington Post ha ricevuto per e-mail dal tenente Steve Stover, un portavoce militare.

Ma in gran parte dell’Iraq sta crescendo la preoccupazione che l’escalation di Sadr City possa scatenare una rivolta su vasta scala da parte del movimento di Sadr, anche se il leader sciita finora ha invitato i suoi a rispettare la tregua da lui proclamata a fine agosto 2007 e prorogata di altri sei mesi in febbraio.

Ed effettivamente alcuni segnali che arrivano non sono tranquillizzanti.

Molti sostenitori di Sadr, infatti, stanno diventando sempre più impazienti, e reclamano il diritto all’autodifesa.

“Siamo molto vicini all’Ora Zero”, dice al Washington Post dalla città santa sciita di Najaf, Ala'a Abd, un giovane di 30 anni che fa parte dell’Esercito del Mahdi, utilizzando una espressione che in arabo significa che il tempo è scaduto. “Tutti devono rendersene conto”.


Fonti: Washington Post, Associated Press, BBC News