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Lavoratori...tiè!

di Alberto Cossu - Nicola Granella - 02/05/2008

     

 

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Se come Nietzsche scrisse "i tre quarti della vita di un uomo non sono liberi dal lavoro, quell’uomo è uno schiavo", ergo oggi dovremmo dedurne che la schiavitù del lavoro si è diffusa a macchia d’olio, dal bracciante agricolo calabrese al “cummenda” milanese.
Tutto ciò grazie al modello paranoico della crescita esponenziale, che si legittima con il mito del Lavoro, di derivazione tanto liberale quanto marxista-sindacalista. Un valore assunto in modo acritico da tutti. 
E' talmente pervasivo che l’attività lavorativa diventa il perno non solo dell’economia ma dell’intera esistenza degli individui. Il lavaggio del cervello parte fin dalla giovane età nelle scuole e università, con la strumentalizzazione della cultura a fini propedeutici all’ingresso nel gregge dei produttori-consumatori. 
Già tempo addietro questi paradossi erano chiari ad alcuni critici, ma la risposta si indirizzò non verso un capovolgimento radicale bensì verso un re-indirizzamento ideologico che mantenendo il mito del lavoro lo usasse in chiave di lotta di classe, eludendo il problema centrale: il lavoro così come concepito da dopo la rivoluzione industriale altro non è se non una schiavitù, perchè ci priva della vera ricchezza della vita: il tempo.
Oggi in occasione della retorica celebrazione del Primo Maggio ci chiediamo: cadute le vestuste ideologie del secolo scorso, ha ancora senso questa festa? Questa ricorrenza nata dalle lotte operaie ottocentesche poteva, infatti, avere un senso in passato, in quanto si opponeva a un certo modello di sfruttamento. Ma oggi questo modello è profondamente cambiato e le ideologie che erano alla base di quelle lotte sono tramontate.
Quello che servirebbe oggi non è una festa del lavoro ma una festa di liberazione dal lavoro. Liberazione dal lavoro parcellizzato e alienante dei call-center; liberazione dal lavoro pesante e mal pagato cui son sottoposti decine di migliaia d’immigrati ed emigrati italiani dal sud; liberazione dall’obbligo del lavoro fino a età improbabili come quelle proposte dalle nuove riforme pensionistiche. 
Questo Primo Maggio potrebbe servirci come stimolo per ripensare davvero in maniera critica i fondamenti del nostro vivere, ma sappiamo bene che questo non avverrà e saremmo soffocati un'altra volta dalle canzonette retoriche e dalle barzellette della kermesse del concerto romano. E intanto la pernacchia di felliniana memoria continua a rimbombare nelle orecchie dei lavoratori.