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Sei gradi possono cambiare il mondo

di Riccardo Mostardini - 03/05/2008

Se quantificare la crescita delle temperature future in conseguenza del surriscaldamento è cosa difficile e lascia ampi margini di errore, elaborare scenari conseguenti è cimento ancora più complicato. Le uniche certezze che abbiamo sono la crescita della temperatura (circa 0,8° dall’inizio dell’era industriale), e il fatto che le emissioni umane dirette e indirette hanno un ruolo attivo e quantificabile (anche se ancora non con precisione) sui mutamenti climatici in corso. Il quarto rapporto Ipcc ha raccolto e sintetizzato, tra tutti gli scenari che sono stati elaborati per il clima futuro, quelli che hanno una probabilità di verificarsi che va dal 5 al 95%, ottenendo la forchetta rappresentata nell’immagine che prevede un possibile riscaldamento entro il 2100 da 1,1 a 6,4 gradi celsius. Sono valori che, come li definisce Giampiero Maracchi nell’intervista odierna, hanno carattere «aleatorio», poichè le dinamiche del clima sono molteplici, complesse, e non calcolabili tramite il ricorso a sistemi lineari.

E’ comunque molto utile cercare di capire a quali conseguenze possono portare questi scenari, poichè il fatto che essi non siano sicuri, e talvolta nemmeno probabili, non significa che il verificarsi di essi sia cosa impossibile. Ci viene in aiuto l’interessante Dvd edito dal National Geographic che elenca sei possibili scenari concreti per sei possibili gradi di aumento delle temperature medie, fornendo anche molti chiarimenti sulle effettive dinamiche che gli ecosistemi terrestri e marini attuano in conseguenza dei mutamenti climatici.

La ricerca è stata coordinata da Mark Lynas, esperto di cambio climatico del National Geographic, col contributo di James Hansen , direttore del centro studi climatici Goddard della Nasa. Il presupposto di base è che ogni grado di aumento della temperatura, che porta effetti tutto sommato limitati a livello locale, sia in realtà critico a livello globale, in conseguenza dei delicati equilibri che vengono messi in discussione. E lo scopo è «fare capire all’uomo comune come le emissioni della sua automobile possano contribuire alla scomparsa dei ghiacci dell’Himalaya tra 50 anni».

Con 1 grado di aumento delle temperature medie rispetto ai livelli attuali si avrebbero generali mutamenti dei sistemi agronomici e forestali: in particolare i suoli di gran parte degli stati uniti occidentali (che poggiano su un terreno in gran parte desertico fino ad alcuni millenni fa) potrebbero essere resi sterili da forti siccità, che porterebbero alla superficie l’antico deserto, attualmente nascosto da una sottile coltre di suolo vegetale. Ma si tratterebbe di cambiamenti ancora graduali.

Dai 2 gradi di aumento in poi, invece, i mutamenti non sarebbero più graduali. La scomparsa di gran parte dei ghiacci polari causerebbe la probabile estinzione degli orsi bianchi. Più a sud, invece, la tundra canadese scomparirebbe e si trasformerebbe in taiga (foresta nordica di conifere) e in generale si avrebbe uno spostamento verso nord di tutte le fasce botaniche, e faunistiche: il problema fondamentale sarebbe che il ritmo di spostamento non sarebbe parallelo, e popolazioni di insetti arboricoli passerebbero ad attaccare specie “nuove”, come i pini più caldofili, che non avrebbero avuto tempo sufficiente per l’adattamento. 2 gradi di aumento della temperatura sono, secondo molti scienziati, corrispondenti al famoso valore-soglia di 450 ppm di CO2 equivalente nell’atmosfera, valore oltre il quale l’effetto serra non sarebbe più controllabile con politiche di riduzione delle emissioni. Attualmente siamo a circa 384 ppm. Secondo Lynas, comunque, i problemi più gravi si avrebbero negli ambienti marini: i coralli, oltre i 30°, espellono le alghe con cui vivono in simbiosi, sbiancandosi. La catena alimentare marina ne sarebbe devastata. Altro problema grave, già oggi in corso, è l’acidificazione degli oceani, principali depositi di stoccaggio del carbonio nel mondo, che causa problemi alla formazione del guscio carbonatico dei foraminiferi, organismi alla base della catena alimentare marina.

Con 3 gradi di aumento scomparirebbero i ghiacci artici marini estivi e gran parte dei ghiacciai alpini. Fenomeni meteorologici estremi analoghi a quelli causati dal Nino diventerebbero la norma, in particolare le ondate di calore estivo come quella del 2003. E a questa temperatura si innescherebbe probabilmente il fenomeno più temibile: la trasformazione della foresta amazzonica (che produce il 20% dell’ossigeno del mondo, e dove è conservato il 50% della biodiversità) in una savana, con ulteriori effetti feed-back sul clima locale e globale a causa della scomparsa di una così grande massa arborea, e dell’aumento del numero di incendi.

Con 4 gradi di aumento si avrebbe, secondo Lynas, «un mondo irriconoscibile. Alcuni grandi fiumi della terra, come il Gange, si seccherebbero. E ciò potrebbe avvenire, al ritmo attuale di emissioni, entro 40 anni. La battaglia principale del GW si combatte proprio sui ghiacciai Himalayani, che sono dopo le calotte polari la più grande riserva d’acqua dolce del pianeta. Essi si stanno ritirando ad una velocità maggiore di tutti gli altri ghiacciai montani del pianeta». E il problema sarebbe ben più ampio: 4 gradi di aumento è la temperatura con cui ci giocheremmo Venezia, con cui il Bangladesh scomparirebbe, e con cui l’Egitto sarebbe sommerso in buona parte. Ciò a causa dello scioglimento dei ghiacciai antartici situati nella parte occidentale del continente (va detto che le previsioni di crescita del livello del mare in conseguenza del GW sono tra le più inaffidabili, comunque: nel quarto rapporto la crescita possibile del livello del mare va da 0,18 a 0,59 metri di crescita entro il 2100, valori ben più bassi di quelli prospettati nei tre precedenti rapporti Ipcc). Il nord del Canada diventerebbe una fertile terra coltivabile, e «una spiaggia in Scandinavia sarebbe la nuova Saint-tropez».

Dai 5 gradi di aumento in su «entriamo nella grande zona oscura dei cambiamenti climatici»: due enormi fasce inabitabili al posto delle due fasce temperate, falde acquifere esaurite in città come Los Angeles, il Cairo, Bombay, Lima. Milioni di rifugiati climatici. Il commento di Lynas: «ho il dubbio che la civiltà umana non sopravviverebbe». Con 6 gradi, invece, «i deserti avanzerebbero per i continenti come eserciti invasori. Gli oceani diventerebbero ambienti acquatici desolati. I disastri naturali sarebbero all’ordine del giorno, alcune grandi città sarebbero sommerse e abbandonate. Si avrebbero devastanti estinzioni di massa» e, anche se non è sicuro che l’uomo si estinguerebbe, «la nostra vita non sarebbe più la stessa».

In conclusione: gli scenari Ipcc non sono da prendere come oro colato, e hanno il difetto di dare una importanza al ruolo antropogenico di cui ancora non c’è la certezza (anche se molte evidenze sembrano dirigerci in tal senso). Dopo la descrizione dei possibili scenari, il documentario del National Geographic avverte che «possiamo ancora svegliarci dall’incubo, anche perchè per ora l’aumento della temperatura è contenuto. Dobbiamo arrestare la crescita delle emissioni entro il 2015, rivoluzionando il rifornimento energetico dell’umanità in meno di un decennio. E sono i paesi ricchi a dover dare l’esempio, in modo da permettere lo sviluppo delle nazioni più disagiate. Per mantenere il GW sotto i 2 gradi di aumento, occorre ridurre di 7 miliardi di tonnellate la quantità di gas serra emessa annualmente. Ora che lo sappiamo, cosa faremo? Anche lo scenario peggiore non estinguerebbe la vita sulla terra, ma sarebbe un mondo estremamente diverso. Con quali conseguenze? Gli scienziati concordano su due cose: non lo sanno, e sperano di non saperlo mai».