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L’euforia moderna non spiega la nostra vita

di Raimon Panikkar - 03/05/2008



La vita umana è ciò che unisce tutti gli uomini, ma anche li distingue. Fino al secolo scorso l´umanità credette empiricamente alla generazione spontanea; che la vita, cioè, non fosse solo quello che unisce e distingue gli uomini, ma che fosse il trascendentale assoluto dell´Essere, ciò che unisce e distingue tutto ciò che in qualche modo è. Vita ed Essere erano sinonimi - benché la Vita, come l´Essere, «si dica» in molti modi. Nel XIX secolo, con il raffinarsi dell´empeiria si credette di «dimostrare» che la vita era privilegio solo di alcuni esseri

«Omne vivum ex vivo» («Tutto ciò che vive proviene da un altro essere vivo») nacque quindi come un nuovo dogma ai tempi di Pasteur. La vita passò dunque a essere una specialità di quegli esseri definiti precisamente come vivi. La riproduzione fu considerata la caratteristica distintiva della vita e la riproduzione più palese era quella biologica, che reca con sé la morte. La grande divisione tra materia inerte ed esseri vivi ricevette un riconoscimento «scientifico». Ogni altro concetto era catalogato come magia e pensiero «primitivo». La «fisica», nonostante il suo nome, si ridusse alla materia inerte, e la vita di Dio risultava problematica, a meno che non fosse lui pure disposto a morire come ogni altro essere vivo - benché alcuni teologi si difendessero con la distinzione tra zoe e bios. Essere è un concetto astratto, vita è una nozione immediata. Questa intuizione va nella stessa direzione della credenza tradizionale nell´anima mundi tanto di frequente mal interpretata.
Siamo ben lontani dal mythos del secolo scorso, di cui potremmo assumere come simboli le due grandi figure di Sigmund Freud e Romain Rolland (oltre a molti altri): il primo vedeva nella mistica un fenomeno psicologico di evasione e il secondo un attributo antropologico di «sentimento oceanico». In ambedue i casi, tuttavia, la mistica si assimilava al primitivo ed estraneo al mondano. Comunque stiano le cose, ci si trova di fronte a un´esperienza della Vita circoscritta a qualcosa di specificamente umano, dato che parliamo dell´esperienza (umana) della Vita. Questa esperienza completa della Vita sarebbe l´esperienza mistica nel suo aspetto più generico. Per questo la mistica è gioiosa, stando al detto secondo il quale un mistico triste è un triste mistico.
Abbiamo scritto Vita con la maiuscola per non escludere a priori che la vita può avere altre dimensioni oltre a quelle inerenti ai suoi aspetti fisiologici e psichici. Esiste anche una vita spirituale: esiste la Vita dell´Essere e quindi, paradossalmente, anche la Vita della materia. In accordo a quanto detto, intendiamo per mistica questa esperienza integrale della Vita. Usiamo la parola «vita» invece di «realtà» perché più vicina a esperienza. In fondo vogliamo dire la stessa cosa, però, mentre la «realtà» è un concetto che deve essere spiegato, la vita è qualcosa che sperimentiamo direttamente; siamo esseri vivi, partecipiamo alla Vita anche se la riflessione poi ci dice che siamo esseri (viventi) che partecipano all´Essere. La nostra è l´esperienza della Vita. Pensiamo l´Essere, lo deduciamo o induciamo - al massimo lo intuiamo. La Vita la viviamo e ne siamo coscienti. Ogni uomo è cosciente di vivere e del fatto che la Vita rappresenta il suo massimo valore. Tutto il resto ne dipende; per meglio dire, le è legato. La conservazione della vita è il primo istinto umano.

Questa esperienza basilare può attingere diversi livelli di profondità - che sono inscindibili. Alcuni si sentono vivi perché sentono il sangue pulsare nelle vene - in tutta la ricchezza di questa metafora che abbraccia la passione e il sentimento. Alcuni si sentono vivere appieno quando pensano; quando, cioè, si rendono conto di essere dotati di una meravigliosa capacità di sentire il polso della realtà - c´è un´esperienza intellettuale della Vita. Ci sono, inoltre, alcuni che si rendono conto, con un´intensità ancora maggiore, che la Vita li trascende, che è stata data loro, che è un dono, una grazia anche se talvolta ad alcuni sembra una dis-grazia. Le tre esperienze procedono unite e talvolta prevale l´una, talvolta l´altra. Parliamo dell´esperienza del corpo, dell´anima, dello spirito - attenendoci alla antropologia tradizionale tripartita. Quando dico esperienza della Vita non intendo l´esperienza della mia vita, ma della Vita, quella vita che non è mia benché sia in me; quella vita che, come dicono i Veda, non muore, che è infinita, che alcuni definirebbero divina: Vita, tuttavia, che si «sente» palpitare, o, per meglio dire, semplicemente vivere in noi. Le interpretazioni che se ne danno naturalmente spaziano da ciò che è definito sentimento oceanico fino alla sensazione biologica di vivere, passando attraverso l´esperienza di Dio, di Cristo, dell´Amore o anche dell´Essere. Diciamo esperienza della Vita, ma non dobbiamo confonderla con nessuna delle funzioni del nostro essere.
Vivere la Vita non è pensarla, non è sentirla, non è farla, come non è neanche disprezzarla o «volere» porle fine. Non abbiamo un´altra parola. La Vita si vive. La mistica è questa esperienza di Vita anche se, mentre ne parliamo, già la traduciamo in linguaggio, il quale richiede una interpretazione. Diciamo esperienza della Vita e non esperienza della durata della vita; breve o lunga che sia. L´esperienza della Vita non è la coscienza del passare del tempo. Ciò di cui si fa esperienza è l´istante della tempiternità. L´esperienza non si misura col tempo.
È necessario inserire a questo punto una riflessione interculturale. L´esperienza della Vita ci riscatta dal dominio, per non dire dalla tirannia, della ragione dialettica, dato che non possiamo pensare alla sua negazione: non possiamo pensare alla morte, ci dicono, perché la identifichiamo con la non-vita. Possiamo pensare con maggiore o minore profondità alla vita ed esserne coscienti, ma non possiamo essere coscienti della morte.
Ogni cosa ha una possibile contraddizione: l´albero il non- albero, il Bene il non-Bene, e così pure l´Essere il non-Essere, anche se questo pensiero è un pensiero astratto e probabilmente vuoto. Non possiamo però fare esperienza della non-vita in quanto il soggetto (vivo) pensante non esiste più. Posso pensare la morte di un altro, non fare la sua esperienza, né tanto meno la mia. Si può fare esperienza della Vita, ma non si può fare l´esperienza della morte. Non si può certo «sperimentare» la non-vita, ma solo il pensiero dialettico identifica la non-vita con la morte. La morte non è la vita; ne è distinta e anche opposta, ma vita e morte non si contraddicono - se non nel pensiero dialettico. Non possiamo fare l´esperienza della morte, anche se possiamo meditare su di essa e questo pensiero (astratto) ci illumina sulla vita.

Inoltre, l´esperienza della Vita è l´esperienza del mistero, è la coscienza che si sta sperimentando un qualcosa che non può essere pensato. È proprio per questo che, da Socrate ai nostri giorni la filosofia è stata interpretata come una «meditatio mortis». V´è però dell´altro: l´esperienza della vita porta, a volte, con sé anche l´esperienza del morire. Non è un´esperienza gradevole, ma non deve neanche essere identificata con l´angoscia della morte, che dipende da altri fattori più animici e fisiologici che spirituali. È comunque un´esperienza nella quale anche il corpo è presente, in un aspetto più spirituale quale è la respirazione. Qualsivoglia descrizione implica di per sé una interpretazione. Io la chiamerei una esperienza della contingenza umana, dato che la vita non è nostra, dato che non si regge da sola, ma si sostiene proprio sulla Vita. Se all´inizio della mia esistenza era la Vita (anche se non mia), alla sua fine essa torna alla Vita. Se dovessi abbozzare con le mie parole questa esperienza integrale della Vita, direi che è l´esperienza completa tanto del corpo, che si sente vivere con palpiti di piacere o dolore, quanto dell´anima, con le sue intuizioni di verità seppure con i suoi rischi di errore, insieme alle folgorazioni dello spirito che vibra con amore o repulsione. L´esperienza della Vita non è solo la sensazione fisiologica di un corpo vivo, né è esclusivamente l´euforia della conoscenza che deriva dal contatto con la realtà, né l´effluvio dell´amore che nasce dalla partecipazione al dinamismo che muove il mondo.
L´esperienza della Vita è l´unione più o meno armonica della tre coscienze prima che l´intelletto le distingua. Questa esperienza sembra mostrare una complessità speciale - che chiamerei trinitaria. Non è né un semplice piacere sensibile o una pura esperienza intellettuale, né tanto meno una mera estasi incosciente. «La condizione umana», che è la condizione della realtà, ci accompagna sempre.
© 2008 Raimon Panikkar; Editoriale Jaca Book per l´edizione italiana (traduzione di Milena Carrara Pavan)