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Iraq, Senato Usa verso il blocco dei fondi per la ricostruzione

di Ornella Sangiovanni - 06/05/2008



Cominciare a presentare il conto all’Iraq. E non sono quello della “ricostruzione”.
Va in questo senso il provvedimento approvato pochi giorni fa dalla Commissione Forze armate del Senato Usa, che contiene una disposizione che vieta al Dipartimento alla Difesa di finanziare progetti di ricostruzione in Iraq se il loro valore supera i 2 milioni di dollari.

La cosa era nell’aria da tempo.

Di fronte a una opposizione sempre più diffusa alla guerra in Iraq nell’opinione pubblica statunitense, nel Congresso è andato emergendo un consenso bipartisan, che unisce Democratici e Repubblicani nella richiesta che il governo iracheno, che sta vedendo una enorme crescita delle sue entrate, grazie all’aumento dei prezzi del petrolio, spenda dalle sue tasche per finanziare non solo la ricostruzione del Paese, ma anche parte dei costi della presenza delle forze di occupazione.

“Vogliamo inviare un messaggio molto potente agli iracheni e all’Amministrazione in merito al costo di questa guerra e all’assurdità che un Paese che sta esportando 2 milioni di barili al giorno di petrolio, per il quale noi ora stiamo pagando 3 dollari e 50 al gallone quando arriva al distributore”, non paghi interamente i costi della sua ricostruzione, ha detto qualche giorno fa il senatore Carl Levin, presidente della Commissione Forze armate e Democratico eletto in Michigan, nel corso di una conferenza stampa.

E’ un ritornello che va avanti da un po’. Basta far pagare ai contribuenti Usa i costi della ricostruzione (nonché della presenza statunitense) di un Iraq che sta incassando un sacco di soldi dalla vendita del petrolio, e che non riesce a spendere quanto previsto dal suo budget, dicono sia Democratici che Repubblicani nel Congresso. Gli americani finora hanno pagato anche troppo. Adesso basta.

Un po’ di numeri. Secondo un rapporto dell’Ispettore Speciale per la ricostruzione dell’Iraq (SIGIR), negli ultimi cinque anni, dall’invasione guidata dagli Usa del marzo 2003, in Iraq sono stati spesi circa 100 miliardi di dollari – con poco o nessun beneficio per i servizi e le condizioni di vita della popolazione, che anzi, vanno peggiorando.

Di questa cifra, 46,7 miliardi di dollari provengono dai contribuenti Usa e 50,3 miliardi dai proventi del petrolio iracheno (compresi 23 miliardi di dollari spesi fra il maggio 2003 e il giugno 2004 dalla Coalition Provisional Authority – l’amministrazione civile di occupazione guidata da Paul Bremer).

A fronte di questa spesa, ci sono ben pochi risultati da mostrare, ma non è questo che interessa ai membri del Congresso. Loro puntano il dito contro il fatto che il governo di Baghdad non starebbe spendendo i soldi del cosiddetto “capital investment” – la parte del budget annuale destinata ai progetti di ricostruzione.

Le prove delle accuse? Ancora una volta le cifre pubblicate nei rapporti del SIGIR, che dicono che nel 2006 l’Iraq ha speso solo il 23% del budget (6,2 miliardi di dollari) destinato alla ricostruzione, e nel 2007 poco più della metà dei 10 miliardi di dollari messi in bilancio.

E, anche se l'Ispettore Speciale per la ricostruzione, nell’ultimo rapporto, uscito da pochi giorni, dice chiaramente che ora è l’Iraq a pagare per la maggior parte delle spese – non solo quelle per la ricostruzione, ma anche quelle relative alle sue forze di sicurezza – i parlamentari Usa non sono soddisfatti.

Baghdad spenda i soldi del suo petrolio

I forti aumenti dei prezzi del petrolio – dicono - significano che nelle casse del governo di Baghdad quest’anno entrerà molto di più dei 48 miliardi di dollari della finanziaria 2008 – dai 60 a i 70 miliardi. Dunque: perché a pagare il conto deve essere il contribuente americano?

“E’ irragionevole, è imperdonabile, non ha alcun senso per un Paese che ha questo genere di ricchezza e questo tipo di eccedenza surplus, nelle nostre banche e nelle sue banche, mandarci il conto - ovvero che siamo noi a pagare il conto delle infrastrutture e di alcuni dei costi di addestramento che stiamo pagando ora”, ha detto Levin.

Entro questo mese la misura approvata in Commissione Forze armate andrà alla discussione dell’intero Senato. Se dovesse avere via libera, però, le sue conseguenze si faranno sentire solo sulle spese per il 2009 del Dipartimento alla Difesa: 612,5 miliardi di dollari - 542,5 miliardi più 70 miliardi per le guerre in Iraq e in Afghanistan. E non è chiaro quanto di questa cifra potrebbe venire utilizzata per la ricostruzione.

Per i senatori Usa si tratta di un primo passo. Una volta che il provvedimento passerà al Senato – dice Levin – si tenterà di allargare il divieto di finanziare con i soldi dei contribuenti americani qualunque progetto che superi i 2 milioni di dollari anche al Dipartimento di Stato – che gestisce il grosso della ricostruzione in Iraq.

“L’intenzione è quella di mettere fine ai finanziamenti per le infrastrutture da parte di qualunque dipartimento”, sono le parole del senatore Democratico.

E non è tutto. Il provvedimento approvato chiede inoltre all’amministrazione Bush di iniziare negoziati con Baghdad su un accordo più ampio, che preveda la ripartizione dei costi delle “operazioni di combattimento” in Iraq. Che tradotto significa: gli iracheni paghino per l’occupazione del loro Paese.

Richiesta "immorale"

Da Baghdad arrivano reazioni sconcertate.

Una richiesta “immorale”. Non usa mezzi termini Abdul Basit, presidente del Board of Supreme Audit [l'organismo centrale di revisione dei conti NdR]. “L’America ha iniziato a malapena a ripagare il suo debito verso l’Iraq”, dice al Chicago Tribune, sottolineando che “non siamo stati noi a chiedere [agli americani] di venire in Iraq, e prima che venissero, nel 2003, non avevamo tutte queste necessità”.

Il ministro delle Finanze, Bayan Jabr, dopo aver puntualizzato che il governo di Baghdad sta spendendo soldi dalle proprie casse, sia per la ricostruzione che per le sue forze armate, dice che l’Iraq non ha chiesto altri aiuti, e che è in grado di provvedere con i suoi fondi.

Jabr ci tiene tuttavia a sottolineare che, anche se l’aumento dei prezzi del petrolio farà sì che ai 13,3 miliardi di dollari assegnati ai progetti di ricostruzione nel budget 2008 si aggiungano altri 5-7 miliardi (oltre ai 10 miliardi non spesi negli anni precedenti che si trovano nel conto presso la Federal Reserve Bank di New York, secondo quanto previsto dalle risoluzioni delle Nazioni Unite), queste cifre sono ben poca cosa in confronto alle necessità dell’Iraq.

Necessità che sono enormi.

Nel 2005, il governo di Baghdad aveva stimato il costo totale della ricostruzione dell’Iraq in 200 miliardi di dollari – una cifra che da allora probabilmente è aumentata. Stime indipendenti sulle esigenze complessivi non ce ne sono, ma, secondo i rapporti del SIGIR, solo per il settore dell’elettricità servirebbero 25 miliardi di dollari, e 100 miliardi di investimenti per quello petrolifero.

Non solo. I funzionari iracheni avvertono che fare pressioni perché il governo spenda velocemente più soldi dei suoi proventi petroliferi potrebbe avere effetti negativi – ovvero far sì che i soldi vengano spesi male.

“Non mi importa del perché l'America è arrabbiata”, dice Basit, il revisore dei conti, al Chicago Tribune. “Mi importa di come ricostruiamo l’Iraq, e ho paura che questa controversia negli Stati Uniti possa avere come risultato uno spreco di denaro iracheno, solo per rispondere a questo chiasso sul fatto che non abbiamo speso i soldi”.

“In questi anni, ci serviranno molti miliardi”, prosegue, “e dobbiamo spenderli correttamente, non buttarli via e basta”.

Corruzione e sprechi

C’è chi dice che in Iraq un sacco di soldi vanno persi a causa della corruzione.

Qui cifre certe, ovviamente, non ce ne sono. A marzo, Radhi al Radhi, l’ex presidente della Commissione di Pubblica Integrità, un organismo di monitoraggio indipendente, in una testimonianza davanti al Congresso Usa, ha parlato di 18 miliardi di dollari.

Secondo un rapporto del Government Accountability Office, il braccio investigativo del Congresso, pubblicato l’anno scorso, ogni giorno l'Iraq potrebbe perdere fino a 15 milioni di dollari in proventi petroliferi, a causa del contrabbando di greggio.

Basit le definisce esagerazioni. E poi, qualunque siano le somme appropriate indebitamente dagli iracheni, dice, sono insignificanti in confronto agli 8,8 miliardi di dollari di proventi petroliferi dell'Iraq spesi da Paul Bremer, e che ancora non si sa dove siano andati a finire. Come si legge nei rapporti del SIGIR.

“Sono sicuro che le somme sprecate sotto Bremer superano quelle sprecate da allora in poi”, afferma il revisore dei conti. “Tutti i soldi spesi in Iraq necessitano di una verifica contabile molto accurata, ma per i soldi spesi dagli americani serve un'ulteriore verifica speciale”.

L'Iraq paghi per la sua occupazione

Quanto all’idea che il governo di Baghdad contribuisca di tasca propria a coprire i costi della presenza militare Usa in Iraq, la reazione irachena è ancora più dura.

“E’ illogica, illegale, e immorale”, dice Dhafir al Ani, un deputato sunnita, riferendosi alla proposta statunitense che sia l’Iraq a pagare per il carburante utilizzato dai veicoli militari americani.

Non sono le sole spese che il Congresso Usa vuole accollare a Baghdad.

Se il provvedimento approvato in commissione avrà l'OK del Senato, l’amministrazione Bush dovrà “intraprendere azioni per garantire che vengano utilizzati fondi iracheni” anche per coprire i costi delle forze di sicurezza governative.
Compresi gli stipendi che attualmente gli americani pagano ai cosiddetti “Figli dell’Iraq” – le milizie sunnite per lo più su base tribale che stanno combattendo al Qaeda, alleate (temporaneamente) con le forze Usa. E che il governo del premier Nuri al Maliki vede come il fumo negli occhi.

In attesa che un accordo “più ampio” fra Washington e Baghdad ripartisca anche le spese delle “operazioni di combattimento”.


Fonti: Associated Press, Chicago Tribune, Agence France Presse