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Strategia della tensione

di Andrea Marcon - 08/05/2008

     

 

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Secondo il Rapporto sulla Criminalità in Italia del Ministero dell’Interno, che riporta dati riferiti al periodo dal 1992 al 2006, nel nostro Paese ci sono stati ogni anno oltre 100 (per l’esattezza 106,9) omicidi per “lite-rissa-futili motivi”. Il dato si riferisce peraltro ai soli omicidi volontari e quindi non a quelli preterintenzionali, quale al momento è rubricato quello del povero Nicola Tommasoli avvenuto a Verona nei giorni scorsi.
Eppure intorno al caso si è scatenato un polverone mediatico e politico di proporzioni colossali, come se si trattasse di un episodio straordinario e del tutto inusuale. E sebbene la polizia abbia chiarito fin da subito che le motivazioni di questo brutale e assurdo omicidio non siano in alcun modo di matrice politica, i collegamenti degli assassini con ambienti della destra radicale sono bastati a generare il consueto squallido teatrino di strumentalizzazione politica della vicenda e a paventare da parte dei media una nuova stagione di violenze politiche sulla falsariga di quelle vissute negli anni ’60 e ’70. A tali rilievi gli ambienti di destra, più o meno “estrema”, hanno replicato accusando la sinistra di non voler accettare la sconfitta politica e di inventare pericoli inesistenti per delegittimare e criminalizzare i propri avversari.
Cercando di superare la nausea che ci provocano queste vuote chiacchiere fatte sul cadavere ancora caldo di un innocente, a noi sembra che – anche questa volta – il punto della questione vada ben oltre la strumentalizzazione dell’episodio nell’ottica dell’ammuffita contrapposizione “destra-sinistra”. La campagna mediatica sollevata intorno al caso Tommasoli non gioverà a qualche fazione politica, ma solo al sistema nel suo complesso.
Dopo anni di chiacchiere sulla necessità di eliminare le ali estreme dello schieramento politico, accusate di provocare l’ingovernabilità del Paese e di propugnare tesi politiche vetuste ed inaccettabili, siamo reduci da elezioni che hanno sancito la fine della rappresentanza parlamentare di tali forze (che poi in realtà esse fossero antagoniste solo a parole, questo è un altro discorso). L’americanizzazione del sistema politico italiano si è così quasi completata, sancendo la presenza esclusiva di due schieramenti diversi soltanto nell’etichetta ma identici nella sostanza, rappresentativi del pensiero unico liberal/liberista e di una fetta minoritaria della popolazione.
Di fronte al dubbio, da più parti sollevato, che questo non sia un sistema che garantisce effettiva democraticità, il sistema stesso ha risposto da par suo. Non vi piace la palude conformista veltron/berlusconiana? Guardate quali sono le alternative: pericolosi estremismi forieri di violenza. Non stare con noi nella grande casa del pensiero unico significa essere dei qualunquisti, dei fautori dell’antipolitica, addirittura degli eversivi. Insomma: o noi o il baratro.
In un passato neppure troppo lontano il Potere dovette ricorrere alla cosiddetta strategia della tensione per tutelarsi da pericolose spinte centrifughe. Per ora non siamo ancora arrivati a quei livelli, ma episodi come il clamore sollevato intorno al caso di Verona potrebbero essere solo l’antipasto di quello che verrà, un tentativo più soft di fermare con gli strumenti mediatici le richieste di cambiamento creando contrapposizioni fittizie ed inventandosi rischi che non esistono. Qualcuno ha visto nel caso Tommasoli il segnale di un nuovo pericolo fascista, noi invece crediamo che la sua enfatizzazione e strumentalizzazione nasconda invece manovre autoritarie ben più subdole e attuali: non la tirannia del manganello, ma quella dell’omologazione.