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Il “maggio egiziano”. Il calvario di un popolo ridotto alla fame

di Michaela De Marco - 08/05/2008



Per gli egiziani, la speranza di una vita migliore sembra un miraggio. Il Paese, centro nevralgico del mondo arabo-musulmano, tra Maghreb e Mashreq, e chiave di volta delle comunicazioni tra Mediterraneo e Oceano Indiano, soffre di una crisi politica ed economica gravissima che tocca la maggioranza della popolazione. Lo sciopero è, finora, l’arma più incisiva in mano alle opposizioni, le quali però non trovano una piattaforma politica unificante e devono fare i conti con la repressione di un regime definito “moderato” (v. “amico dell’Occidente”).


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Un’ennesima dimostrazione di protesta, il 4 maggio, era stata organizzata nel tentativo di scuotere l'Egitto, ormai sprofondato in una crisi politica ed economica insopportabile. "Il governo ci sta strozzando...!"… si sente spesso per le strade del Cairo.

Corruzione, doppio o, addirittura, triplo lavoro e intenso sfruttamento del lavoro minorile, sono tutti espedienti a cui ricorre spesso la maggior parte delle famiglie egiziane, che vive in abitazioni diroccate a ridosso dei quartieri più ricchi. Molti giovani, se hanno qualche fortunato contatto, partono alla volta del Golfo, o si recano a lavorare in Israele. Molti altri si avventurano per il Mar Mediterraneo inseguendo i miraggi europei.

Una famiglia di cinque persone ha bisogno di circa 100 euro al mese (900 L.E) per mangiare. Alle spese alimentari si aggiungono l'affitto, la scuola e le lezioni private, che costano ad ogni famiglia 1,5 euro l'ora, e sono necessarie visto il basso livello qualitativo dell'istruzione in Egitto. Un medico chiede, per una visita, 8 euro circa, anche se molti si offrono di visitare gratuitamente le famiglie più povere. Il costo della vita è insostenibile se si considerano i salari della stragrande maggioranza della popolazione, che oscillano tra i 50 e i 100 euro mensili.

Sono otto milioni i giovani che in Egitto sono disperatamente alla ricerca di lavoro. Dodici milioni di persone, dinanzi ai prezzi degli affitti, hanno deciso di andare a vivere nelle tombe. Molti ragazzi temono di diventar vecchi in attesa del matrimonio, visti i costi degli appartamenti e della vita. Nader Fergani, editore del Global Human Development Report, dichiara che "tra il Dicembre del 2007 e il Marzo del 2008, il prezzo degli alimentari è aumentato di circa il 100%". Nel 2007 il prezzo del tè egiziano Arusa (La Sposa) è aumentato del 50%, quello della farina dell' 84%, e quello delle lenticchie del 100%. Il World Food Programme delle Nazioni Unite lancia l'allarme: il 20% della popolazione, circa 14.2 milioni di persone, vive sotto il livello della povertà, con meno di 80 centesimi al giorno.

In realtà queste cifre sono state contestate da molti egiziani: la percentuale di persone che vivono in condizioni a dir poco disastrose è molto più alta.

"I giovani stanno iniziando a perdere la speranza", ha dichiarato uno psichiatra del Cairo, Muhammad al-Maidi, in un'intervista rilasciata al sito del canale panarabo Al-Jazeera: "La lealtà verso il loro Paese inizia a vacillare, non hanno alcuna garanzia su quelle che saranno le eventuali ripercussioni delle loro lotte sul loro futuro. Non sanno se troveranno un lavoro, se riusciranno a sopravvivere, o a guadagnare qualcosa che dia loro la possibilità di sposarsi e acquistare un appartamento".

I militanti anonimi che hanno organizzato la manifestazione del 4 maggio servendosi di internet avrebbero desiderato che le urla disperate degli egiziani ridotti sul lastrico si propagassero per le strade cairote "a ritmo di blues", per "festeggiare" l'ottantesimo compleanno del presidente Muhammad Hosni Mubarak, ormai al potere da 27 anni.

Ma gli oscuri artefici hanno tenuto conto del timore della gente ad avventurarsi per le strade gremite di poliziotti in tenuta antisommossa. S'è optato quindi per lo sciopero senza piazza. "Khalliki bil-Bet". Restate a casa, non andate a lavorare oggi, svuotate le strade: questo è stato lo slogan lanciato dagli organizzatori e dall'organizzazione islamista moderata egiziana dei Fratelli Musulmani, unico autentico movimento di massa del Paese, rimasta fuori dall'iniziativa del 6 aprile, ma che ha poi, alla fine, deciso di aderire a quella del 4 maggio. Tuttavia, la partecipazione è stata bassa.

Le strade dell'immensa Cairo, il 4 maggio, erano follemente in preda al traffico e al rumore come sempre, deludendo gli artefici dell'iniziativa. Forse gli orrori della manifestazione del 6 aprile hanno sconvolto il pubblico, riducendolo nuovamente al silenzio più cupo. La repressione governativa in quell'occasione è infatti stata spietata. Lo sciopero e le dimostrazioni del 6 aprile, sono state organizzate dalla coalizione "secolarista" (il partito al-Wasat e l' "aspirante partito" Al-Karama), assieme all'Associazione dei Giudici e ai movimenti Kifaya e 9Marzo (per l'autonomia universitaria), contro la corruzione, il nepotismo, l'inflazione, le torture, la povertà e la brutalità delle Forze di Sicurezza. Lo sciopero, che ormai tutti riconoscono essere il più efficace strumento di protesta in Egitto, visti i risultati ottenuti negli ultimi due anni dagli operai, rientra dunque nelle strategie messe in atto dai "secolaristi", nel tentativo di cooptare le masse cavalcando il malessere diffuso.

Ma il divario tra loro e gli islamisti è lungi dall'essere emarginato. I "secolaristi" non dispongono oggi dei mezzi, della piattaforma politica e della capacità organizzativa di cui invece godono i Fratelli Musulmani. Ma, soprattutto, si sono finora dimostrati incapaci di superare quelle divergenze ideologiche che li condannano a sterili contrapposizioni, riducendosi all'isolamento. La manifestazione è poi degenerata nel consueto scontro tra manifestanti e polizia: non sono mancati i sanguinosi pestaggi perpetrati dalle Forze di Sicurezza contro i manifestanti disarmati, non sono mancate le violenze sulle donne ivi presenti, sessantotto persone sono state arrestate, e tre sono rimaste uccise sul "campo di battaglia". Lo scenario delle dimostrazioni del 6 aprile è stato, ancora una volta, l'impianto tessile egiziano al-Mahalla, che impiega al suo interno circa 27 mila operai, ed è ormai noto per il suo accento militante: negli ultimi due anni, le adesioni agli scioperi, piuttosto frequenti, hanno spesso superato il 90%. Al-Mahalla è ancora oggi l'impresa tessile più ampia in Egitto, responsabile di un quarto della produzione complessiva. Le scandalose vicende a cui gli egiziani hanno dovuto assistere durante la manifestazione del 6 aprile, si sono inoltre accavallate a quelle delle elezioni municipali che si sono tenute due giorni dopo: durante la campagna elettorale, diverse centinaia di Fratelli musulmani, potenziali candidati alle elezioni, sono stati presi dalle Forze di Sicurezza. Gli arresti non hanno coinvolto solo attivisti, ma anche professori universitari, giornalisti, medici, uomini d'affari e tre ex-deputati (Sayyed Hazzin, Saber Abdelsadeq e Sayyed Abdelhamid).

Il 15 aprile è stata emessa la sentenza definitiva del tribunale militare (a cui si è ricorso nonostante gli imputati fossero civili) che ha condannato figure chiave all'interno della Fratellanza a tre/dieci anni di reclusione. Queste vicende hanno probabilmente avuto un impatto sul "cambiamento d'opinione" della Fratellanza riguardo agli scioperi contro il degrado politico ed economico. Secondo un analista del giornale panarabo edito a Londra al-Hayat, Muhammad Salah, i Fratelli avevano deciso di boicottare lo sciopero del 6 aprile, nella speranza che il governo concedesse loro un "favore" riguardo i Fratelli in carcere. Dopo le "disastrose" sentenze del 15 aprile, la Fratellanza, delusa, ha deciso di partecipare alla protesta, manifestando il suo sostegno allo sciopero del 4 maggio, "il cui appello non era poi per nulla diverso da quello dello sciopero precedente che i Fratelli avevano invece boicottato". Ma non solo la Fratellanza s'è ritrovata nel mirino del governo nel corso della campagna elettorale: a partire dal Settembre del 2007 infatti, undici giornalisti egiziani son finiti dietro le sbarre con l'accusa di aver "attentato alla sicurezza della Stato", diffondendo "false voci". Accuse considerate "infondate" da diverse organizzazioni per i diritti umani, inclusa Amnesty International. In un rapporto, il Consiglio Nazionale per i Diritti Umani egiziano, i cui membri sono oltretutto nominati dal governo, ha accusato il regime di aver commesso gravi violazioni: torture e assassini nelle stazioni di polizia, detenzioni illecite e assenza di tribunali imparziali. Queste pesanti accuse hanno ulteriormente messo in evidenza le fratture all'interno del partito di Mubarak, il Partito Nazional-Democratico (PND), emerse in particolar modo durante gli incontri del 23-28 febbraio del 2008, in occasione della compilazione della lista dei candidati per le elezioni municipali. L'invito alla dimostrazione del 4 maggio è stato trasmesso, come quello per la manifestazione del 6 aprile, mediante sms, blog in rete e Facebook, un noto sito di socializzazione telematica molto popolare in Egitto come in Europa. Internet, negli ultimi anni, è diventato infatti il principale veicolo di comunicazione e mobilitazione tra i giovani egiziani. Di blog egiziani ce ne sono ormai diverse centinaia in rete, e molti di questi si son dimostrati apertamente critici nei confronti del regime. Il risultato è che i principali blogger sono finiti in cella, rei di aver infranto quella red line, che il governo continua ad imporre mediante l'applicazione della Legge d'Emergenza, atta a proteggere gli egiziani dal pericolo terroristico", ma che in realtà altro non è che uno strumento di cui il regime si serve per conservare il suo potere.

Dalla crisi alla mobilitazione operaia.


Lo sciopero del dicembre del 2006, organizzato nel complesso Al-Mahalla, scatenato in seguito al non pagamento di un bouns agli operai, è stato il primo di una lunga serie.
"Negli ultimi due anni, le battaglie dei lavoratori egiziani hanno cambiato la mappa politica del paese. Per la prima volta dopo circa 50 anni, il governo si trova nelle condizioni di dover accogliere le richieste dei lavoratori", ha dichiarato Muhammad Al-Attar, uno dei leader dello sciopero e operaio veterano del Misr Spinning e del Weaving Company a nord della città industriale di Mahalla al-Kubra.

Infatti, il primo ministro Ahmed Nazif, il Ministro del Lavoro e dell'immigrazione Aisha Abdel-Hadi, il Ministro degli Investimenti Mahmud Muhieddin, il Ministro della Salute Hatem El-Ghabali e il capo della Federazione Egiziana dei sindacati Hussein Mugawe, in seguito agli scioperi del 6 aprile hanno fatto visita nelle statali Misr Spinning e Weaving Company per discutere con i lavoratori delle loro condizioni di vita. Durante la visita, i ministri hanno elargito promesse di diverso tipo (equipaggiamenti adeguati e moderni per gli ospedali, infrastrutture, miglioramento nei trasporti, bonus per gli operai) a cui gli egiziani fanno ancora fatica a credere.
Il presidente Mubarak, inoltre, nel tentativo di prevenire lo sciopero del 4 maggio, ha annunciato il primo maggio un aumento del 30% dei salari nel settore pubblico, ha promesso progressi nella gestione della crisi del pane, e il rilascio di un certo numero di manifestanti caduti nella rete repressiva, durante le elezioni e le manifestazioni di aprile. Muhammad Al-Betagi, Segretario Generale del blocco parlamentare dei Fratelli Musulmani, in un articolo pubblicato sul sito della Fratellanza Ikhwanweb.com il 4 maggio, ha criticato l'aumento dei salari dichiarato dal governo: una percentuale di tutto rispetto, ma insufficiente nello specifico contesto egiziano, dove - sostiene Al-Betagi - "le statistiche riportano la necessità di un aumento del 400% affinché gli egiziani superino il livello di povertà (1,5 euro al giorno)". Si tratta, in poche parole, dell'ennesima operazione cosmetica tesa a placare gli animi. E "dopo il bastone, la carota". Una manovra, quella dell'aumento del 30% dei salari, simile a quella dell'emendamento dell'articolo 76 della Costituzione nel 2005, in occasione delle elezioni presidenziali, e simile a quella dell'emendamento costituzionale del 2007, ancora più subdolo.
In altre parole, si tratta dell'ennesima misura demagogica, che cambia la forma lasciando inalterata la sostanza.


* Michaela De Marco, studiosa di politica egiziana, frequenta la Facoltà di Studi arabo-islamici dell'Università "L’Orientale" di Napoli. Collabora a "Incontro" (rivista egiziana in lingua italiana) e a “PeaceReporter”.