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L'etica del Bushido

di Umberto Bianchi - 09/05/2008

 

L'etica del Bushido



Il Primo di Maggio mi trovavo in quel dell’Umbria, nella splendida Foligno. Una corsa in moto, una visita in città in un assolato primo pomeriggio. Un manifesto lì sul muro, ad annunciare una conferenza che di lì a poco si sarebbe svolta presso un locale centro culturale cittadino.
Il tema trattato non era, apparentemente, uno dei più appropriati all’occasione: l’etica del Bushido, il codice d’onore dei samurai nipponici che tante gesta, romanzi e film ha ispirato nel corso degli anni, accompagnato alla proiezione di un film di qualche anno fa con l’immarcescente Tom Cruise, nella parte di uno yankee convertito ai rigori dell’etica marziale nel Giappone del 19°secolo. A presentare il tutto un pluridiplomato istruttore di arti marziali, che ha dimostrato in questa occasione una preparazione sull’argomento veramente fuori dal comune. Il contenuto del Bushido risente delle principali correnti doi pensiero religioso presenti in Giappone: si va dallo Zen al Buddhismo Nichiren, sino allo Shinto ed ad una più lontana influenza taoista cinese. Il Bushido è riportato in iscritto nell’Hagakuren, una raccolta di testi che raccolgono le tematiche via via trattate nel corso di un lungo arco di secoli, che va dal nostro Evo Medio agli sgoccioli del 19°secolo. Alla base del Bushido quel lungo e travagliato percorso che porterà il Buddhismo ad espandersi dall’India settentrionale sino al Giappone, passando attraverso la Cina e le regioni dell’intero estremo oriente. Nato inizialmente nel nord dell’India nella regione tra il Nepale l’antica Pataliputra (oggi Bodhgaya), il Buddhismo inizialmente si presenta come una forma di rigida etica religiosa più attaccata ai contenuti che non ad una vera e propria sistematizzazione teologica, visto che Buddha nasce nell’ambito religioso hindu. E’ il Buddhismo Therawada oggi unicamente presente in Thailandia, India (unicamente nella regione di Bodhgaya), Sri Lanka e Cambogia. Nel suo espandersi il Buddhismo subirà una vera e propria “contaminazione” ad opera delle altre tradizioni religiose che ne porterà ad adottare, rielaborandole, miti e divinità, dando così luogo al Mahayana, oggidì praticato in un’infinità di versioni nella maggior parte dell’Oriente Estremo, con l’eccezione del Tibet ove ne viene praticata una particolare versione, influenzata dalle tematiche dell’antica tradizione lamaista. In Giappone, paese politeista ed enoteista per eccellenza (ovvero in grado di credere a più religioni allo stesso tempo, alla faccia dell’occidentale intolleranza religiosa, sic!), esistono varie scuole di questa fede, tra cui la Nichhiren e la Zen sono le più famose. Alla base del Buddhismo lo sviluppo di quelle tematiche che sono alla base dell’Arya Dharma, scuola di pensiero che accomuna Induismo, Buddhismo, Jainismo e Sikkhismo. Un elemento divino uno e molteplice al contempo, sovrasta indifferente un mondo destinato a nascere, crescere, morire e rinascere senza soluzione di continuità. In tale contesto, l’uomo è sottoposto a quel ciclo che accomuna tutte le cose del mondo e di cui deve tener conto, se non desidera ritornare a nascere ogni volta reincarnato in forme di vita che, via via, si faranno sempre più infime o andranno ripetendo il kharma di sofferenza a cui l’intero esser delle cose è sottoposto. Unica soluzione per uscire da tale stato di cose, è il “moksha” o “nirvana” / “annullamento” con cui l’uomo può rompere l’infinito ciclo continuo delle rinascite. Presupposto necessario per raggiungere tale stato è il distacco dalle cose materiali, da perseguirsi attraverso varie vie. Il Buddhismo rappresenta un’ulteriore innovazione rispetto all’Hinduismo. Al pari del Cristianesimo sorge in un periodo di forte crisi sprituale, facendosi quindi portatore di un messaggio di speranza non più riservato alle caste superiori, ma a tutte le caste della variegata società hindu, anche i “sudra” e gli intoccabili, dall’Hinduismo chiaramente esclusi dalla possibilità di una migliore rinascita. Qualunque tipo di azione o pratica umana dovrà quindi essere compiuto all’insegna di un distacco e di una perfezione tali da riflettere in Terra la dimensione trascendente. Dall’arte di servire un tè a tavola, al giardinaggio, arrivando al combattimento, tutto deve seguire un “modus agendi” improntato alla quiete di una perfezione che impronterà di sé qualunque atto.
E così se l’arte del combattimento dovrà conoscere la rigorosa armonia e perfezione dei movimenti, è altrettanto vero che essa si dovrà nutrire di un atteggiamento interiore improntato alla calma ed all’indifferenza anche di fronte al più grande e temibile dei misteri umani: la morte, con cui il praticante di Bushido dovrà imparare a convivere, pronto ad immolarsi in ogni momento sia in guerra che suicidandosi in caso di sconfitta attraverso il “sheppuku”.
Dagli antichi samurai, ai kamikaze dell’ultimo conflitto mondiale, passando attraverso l’esempio di Mishima, l’etica del Bushido sembra tuttora informare di sé il Giappone. Ogni tanto capita di leggere che, a seguito di qualche scandalo finanziario, dei politici locali si siano suicidati, riconfermando così una mai sopita mentalità, ahimè assente da noi dove, probabilmente, i tre quarti della classe politica avrebbe buoni motivi per suicidarsi. A sovrastare il tutto, il fiore di ciliegio, simbolo di caducità e di rinascita. Certo, un’etica del genere applicata coerentemente anche al mondo concreto delle relazioni economiche, porterebbe sicuramente ad un’altra società, più giusta, informata di uno spirito di abnegazione e fedeltà, fatta di diritti e doveri, in cui un popolo procederebbe compatto alla realizzazione di sé stesso, senza dover assistere all’indegno sfruttamento delle persone, alla precarizzazione delle loro esistenze, alla loro mercificazione, alla morte senza dignità e giustizia perché gli “altri” se ne fregano. Al di là di belle, ma oramai logore e consunte ricorrenze, forse servono davvero esempi ispirati ad un codice di comportamento sicuramente più vicino a quello degli antichi maestri nipponici, che non a quello vermiforme imposto dai vari “grandi fratelli” dei nostrani canali televisivi.