Cara Delfina,

ho sempre provato una grande ammirazione per la confidenza con cui tratti gli animali. Mi piacerebbe essere capace di fare altrettanto, ma purtroppo sono cresciuto in città e non riesco a non rimanere un po’ guardingo nei loro confronti. Eppure razionalmente concordo con te che con nessuno di loro occorre stare sulla difensiva come con gli appartenenti alla nostra specie.

Ricordo quando siamo andati a trovare quella signora francese che si è trasferita nella tua valle, dove ha rimesso a posto una cascina abbandonata da anni e alleva asine per fare cosmetici col loro latte. Ti sei avvicinata subito al recinto dove le asine pascolavano coi loro piccoli e hai allungato la mano per accarezzarle sul muso. Io ti guardavo un po’ invidioso, incapace di fare altrettanto. Non sono eleganti come i cavalli, ma i loro movimenti pacati trasmettono serenità.

Qualche mese dopo sono andato in Sicilia, in un paese delle Madonie dove le asine sono utilizzate per fare la raccolta differenziata dei rifiuti nelle ripide stradine acciottolate che si arrampicano tra le case. Vanno su lente e pazienti, ma a fare il lavoro con loro ci vuole meno tempo di quanto ce ne vorrebbe a farlo con i più maneggevoli mezzi a motore. E non consumano benzina, non producono anidride carbonica, non richiedono manutenzioni. Si accontentano di pascolare in un prato alla fine del turno. Inoltre si riproducono, così, una volta comprate le prime, non solo non occorre comprarne altre, ma si possono sostituire progressivamente i mezzi meccanici, riducendo ulteriormente i consumi di benzina, le emissioni di anidride carbonica, i costi di manutenzione. Gratis.

C’è più futuro, Delfina, nella ripresa di questa scelta arcaica, o nella modernità dei mezzi a motore? C’è più pienezza di vita nei prati in cui si alimentano le asine o nell’asfalto che soffoca la vegetazione per far viaggiare gli automezzi? C’è meno entropia nella trasformazione in humus delle deiezioni asinine o nella combustione dei carburanti fossili? Le falde idriche si alimentano di più con la scelta arcaica di lasciare i terreni a pascolo o con la scelta moderna di impermeabilizzarli? Con quale dei due sistemi non si risente l’aumento dei prezzi del petrolio? Gli esseri umani sono più aggressivi se collaborano con un animale o se si siedono alla guida di un’automobile? Se devono contendersi una risorsa limitata o se usano risorse riproducibili? Si ammalano di mali incurabili se respirano qualche scorreggia asinina o i gas di scarico e le nano polveri prodotte dai mezzi a motore?

Pensa la canea che si solleverebbe nei miei confronti se queste domande invece di scriverle in una lettera privata le formulassi pubblicamente! La sento già l’indignazione. Indietro non si torna! Non si ferma il progresso! Dobbiamo modernizzare il paese! Riusciresti a distinguere se queste frasi arrivano da sinistra o da destra? Dai colti o dagli incolti? Dai giovani o dai vecchi? Dai religiosi o dai laici? So bene che si tratta, come c’insegnavano un tempo a scuola, di domande che rientrano nel periodo ipotetico di terzo tipo: dell’irrealtà. La modernità e il progresso non consentono che si esprimano dubbi sulla loro bontà. E non tollerano che permangano sacche di resistenza per nessuna ragione. Avanzano coi lanciafiamme facendo terra bruciata al loro passaggio.

Le macchine devono sostituire gli animali. Chi non si adegua, perché non vuole o perché non può, viene spazzato via con la forza. Il progresso e la modernità non devono trovare ostacoli. La loro velocità non è compatibile con la lentezza dei carri trascinati dai cavalli, che per di più intralciano la corsa dei camion e delle automobili. In Romania ce n’erano più di un milione prima dell’ingresso nell’Unione europea. Si poteva tollerare una situazione così arcaica? No che non si poteva. La modernità ha pronunciato il suo verdetto mediante una direttiva comunitaria che ha vietato l’uso dei cavalli come mezzi di locomozione. Il motivo? Provocano troppi incidenti stradali. Quanti? Secondo stime contestate, il 10 per cento dei più gravi, che nel 2007 sono stati 8.400. Quindi, anche se in matematica ero una frana, penso di poter dedurre che il 90 per cento sono stati causati da scontri tra automezzi. Quando l’ho raccontato a Teresa, Gennarino stava leggendo, ma non perdeva una battuta di quello che dicevamo. Senza alzare gli occhi dal libro ha detto semplicemente: «Ohi pà, ma questi europei sono scimuniti? Per ridurre gli incidenti davvero avrebbero dovuto vietare la circolazione di automobili e camion!».

Ma non è finita qui. Siccome mantenere un cavallo in Romania costa 120 euro al mese e i redditi in campagna non arrivano a 100, i contadini sono stati costretti ad abbandonarli. I cavalli randagi affamati e morenti in mezzo alla neve sono stati mostrati dalla televisione. Allora il governo ha emanato in fretta e furia una legge per punire chi li abbandonava e i proprietari non hanno potuto far altro che ucciderli clandestinamente. Adesso per effettuare i loro trasporti saranno costretti a indebitarsi per comprare dei mezzi a motore, oppure abbandoneranno la campagna per trasferirsi a fare gli operai, oppure, come è più probabile, emigreranno e finiranno in qualche baraccopoli ai margini delle nostre città accrescendo la nostra insicurezza. Tutti staremo peggio, ma il processo di modernizzazione avrà un grande impulso, il pil crescerà e l’effetto serra pure. La chiamano civiltà delle macchine. Poi si domandano come mai non ci sia più voglia di futuro. Forse tornerebbe se tornasse la civiltà degli animali. Ma credo che anche questo sia un periodo ipotetico dell’irrealtà. Indietro, lo sappiamo bene, non si torna.

Ciao, Delfina, la prossima volta proverò anche io a fare una carezza sul muso di un asina.

tuo Totò

Questa lettera ha tratto spunto dall’articolo di Matteo Nucci, Romania: non si uccidono così neanche i cavalli, Il Venerdì di Repubblica, 18 aprile 2008, pag. 55