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L’economia americana in crisi e l’effetto domino

di Alessandra Colla - 12/05/2008

Fonte: alessandracolla

 

 

 

«È venuto il momento di dire la verità agli italiani, una verità che non è solo economica, ma generale: il Paese va ricostruito».

Se Luca Cordero di Montezemolo, presidente della Fiat e della Confindustria, l’avesse detto oggi, sarei più sollevata: avrei pensato a un pesce d’aprile. Invece l’ha detto ieri. E non c’è nulla da scherzare. Anche perché Montezemolo ha aggiunto: «(ANSA) - TORINO, 31 MAR - “L’Italia non attira soldi stranieri e rischia che non ci siano le condizioni per investimenti delle nostre industrie. Troppi anni di non-scelte ci stanno penalizzando in modo enorme. Il problema è il funzionamento dello Stato nel suo complesso: abbiamo tempi della giustizia che non hanno eguali, una spesa pubblica che non ha eguali, burocrazie e lungaggini procedurali. È una situazione molto grave”».

L’ammissione fa il paio, a distanza di qualche settimana, con quella — stupefacente — di George W. Bush, che il 7 marzo ha dichiarato: «(AGI) - Washington, 7 mar. - L’economia statunitense è “chiaramente” rallentata ma l’azione della Fed avrà un impatto positivo. Lo ha detto il presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, commentando i deludenti dati sul mercato del lavoro Usa». Poche parole, ma più illuminanti di chissà quale lungo discorso: perché un presidente americano che in un’occasione pubblica ammette il rallentamento dell’economia statunitense è un evento più unico che raro.

Tanto più che l’attuale amministrazione americana muore dalla voglia di potersi vantare del fatto che in due mandati consecutivi affidati a Dubya Bush, o nonostante questo, l’economia Usa sembra aver conosciuto soltanto trend positivi, riuscendo ad evitare la recessione perfino all’indomani dell’11 settembre (si potrebbe obiettare che l’economia americana non è mai tanto prospera come quando è un’economia di guerra, ma il discorso ci porterebbe lontano).

In ogni caso, al di là delle ammissioni presidenziali è sotto gli occhi di tutti che l’attuale situazione economica statunitense non è affatto rosea: che poi si voglia giocare sui termini — rallentamento, frenata o recessione* — o sul modo di leggere i dati, la sostanza dei fatti non muta. I tecnici, onestissimi, snocciolano cifre, e dicono che nel corso dell’ultimo trimestre 2007 il PIL Usa è cresciuto dello 0,6%: bene!, concludono. Mica tanto, invece: perché le attese erano orientate verso una crescita di qualcosina più che l’1%. Allo stesso tempo, dichiarano che nello stesso periodo l’investimento interno lordo è sceso del 12,5%: così così, ammettono. Malissimo, invece: le previsioni erano attestate su valori non superiori al -10%.

In estrema sintesi, si può dire con buona approssimazione che l’economia statunitense si sopravvaluta, e parecchio. Ma questa falla nel senso di realtà dell’apparatnik a stelle e strisce comporta un rischio incalcolabile per ogni economia collegata a quella americana — che è come dire tutte le economie del pianeta, quale più quale meno, ma tutte ineluttabilmente connesse come tessere di un domino o tasselli di un puzzle: l’errata percezione dello stato reale dell’economia americana può infatti indurre valutazioni inadeguate in merito, col risultato di non prendere i provvedimenti necessari al superamento delle difficoltà attuali e, cosa forse peggiore, di non preoccuparsi debitamente di quanto potrebbe accadere in futuro.

Ma lasciamo stare le parole, e guardiamo invece i fatti: che, come si ripete spesso senza soffermarsi troppo a meditare sulla profonda verità dei modi di dire, parlano da soli.

- 8 marzo: la già prestigiosa banca Bear Stearns di New York prima denuncia una gravissima crisi di liquidità e poi crolla gettando nel panico la Borsa americana (esattamente una settimana dopo, il 15 marzo, il “New York Times” definirà la Bear Stearns «il simbolo del sistema finanziario degli ultimi vent’anni», alludendo esplicitamente a quella sorta di deregulation selvaggia che a partire dagli anni Ottanta sembra essere stata la cifra dell’economia rampante di Wall Street — l’omonimo film di Oliver Stone, del 1987, ne offre uno spaccato assai interessante).

- 11 marzo: un rapporto del Dipartimento di Stato americano dichiara (senza fornire spiegazioni) che la Cina non figura più nella lista nera Usa dei dieci paesi che violano i diritti umani.

- 12 marzo: Eliot Spitzer, il governatore dello Stato di New York coinvolto in un clamoroso scandalo a luci rosse, si dimette (ovvero è costretto a farlo). Nell’entusiasmo del momento (si ha notizia di brindisi e festeggiamenti seguiti alla mesta conferenza stampa di Spitzer) nessuno ricorda che meno di un mese prima, il 14 febbraio, il “Washington Post” aveva pubblicato un articolo a firma dello stesso Spitzer, nel quale il futuro ex governatore denunciava senza troppi giri di parole lo scandalo dei famigerati mutui subprime, stigmatizzando l’incompetenza dell’amministrazione Bush nella malaccorta gestione di questa tragedia sociale oltre che economica.

- 14 marzo: in un articolo apparso sul quotidiano economico cinese “Asia Times”, si dà rilievo al fatto che dopo un anno di pausa i mercati cinesi aprono finalmente, di nuovo e in modo massiccio, alla penetrazione dei capitali esteri.

- 17 marzo: la banca JP Morgan acquisisce la Bear Stearns, praticamente fallita e ridotta a svendersi (2 dollari per azione) per scongiurare il peggio; l’operazione, unitamente all’intervento a sorpresa della Federal Reserve (che ha tagliato i tassi di sconto senza preavviso) fa tremare i mercati e induce le borse europee a chiudere ai minimi storici da due anni e mezzo a questa parte.

- 19 marzo: l’FBI annuncia ufficialmente la sua decisione di indagare su 17 compagnie bancarie coinvolte nel collasso dei mutui ipotecari. Figurano tra queste le principali banche del Paese, 14 delle quali — si apprende — sarebbero sotto osservazione già dall’inizio dell’anno (il povero Spitzer, insomma, si era limitato a mettere nero su bianco quello che ai vertici dell’amministrazione americana già si sapeva o si sospettava): in pratica, sostengono gli osservatori, l’intera finanza del paese è sotto inchiesta ai massimi livelli.

Questi giorni e i prossimi porteranno prevedibilmente altri fatti. Ci attendono tempi interessanti.

* Negli Usa, l’accezione corrente di “recessione” è «una riduzione del PIL che avviene per due trimestri consecutivi».