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André Dupeyrat: un intervento miracoloso nella foresta (II parte)

di Francesco Lamendola - 13/05/2008

 

  

 

Specialmente dopo aver lanciato una vera e propria sfida agli stregoni pauani (della quale parleremo in altra occasione), ma anche in circostanze "normali" e pur sempre difficili, quali erano quelle che i missionari cattolici dovevano affrontare nella prima metà del secolo tra le foreste inesplorate della Nuova Guinea, André Dupeyrat ebbe modo di convincersi che esistevano due forme di intervento soprannaturale a protezione dei sacerdoti. Una era quella degli Angeli, di cui aveva avuto tante e tali prove, da non dubitarne affatto; l'altra, un influsso capace di cambiare e, se necessario, capovolgere il corso degli eventi: la  Comunione dei Santi. Si tratta, cioè, dell'azione a distanza delle preghiere intense e devote, capace di esplicarsi non solo sul piano spitituale ma anche, in taluni casi, sul piano della materia fisica e delle vicende "esteriori". Nessuna meraviglia, per il credente: non ha assicurato Gesù i suoi apostoli che "tutto quello che domanderete con fede per mezzo della preghiera, voi l'otterrete?" (Matteo, XXI, 22). Esperimenti rigorosamente controllati nell'ambito della parapsicologia, dei quali riferisce anche lo studioso cattolico Leo Talamonti (1), non hanno fatto altro che confermare tale efficacia, che appare semplicemente inspiegabile entro i ristretti schemi della logica "razionale" (ma è davvero razionale questa separazione della mente individuale rispetto alla Mente divina?); così come - per altro verso - l'efficacia della preghiera "a rovescio" ovvero del desiderio intenso di nuocere a qualcuno. Da qualche anno anche gli autori New Age si sono accorti di queste antichissime verità e ne hanno fatto grande strepito, come se avessero scoperto l'acqua calda; qualcuno ha pensato di dar loro anche un nome "in codice"ed è nata così l'espressione effetto Isaia, che è anche il titolo di un libro piuttosto noto. (2)

Ecco dunque il racconto di un fatto accaduto a padre Dupeyrat, unico bianco nel folto della foresta equatoriale papuana, negli anni precedenti la seconda guerra mondiale, da lui interpretato come una prova evidente di ciò che la Chiesa cattolica definisce "la comunione dei santi".

      "Nel 1935, al tempo del mio primo ritorno in Euopa, , durante un soggiorno a Issoudun, luogo d'origine della mia Congregazione religiosa [i missionati del Sacro Cuore, n. d. r.], avevo stretto amicizia con un professore della città.  Era un artista nell'animo e dotato d'uno spirito limpido e prudente. In un elogio postumo si disse di lui: '…il professor Romain Guignard era un umanista, nel pieno significato della parola… un saggio… Per lui, prima di tutto,  esisteva lo spirito e il mondo esterno non aveva importanza…'. La sua casa mi fu affettuosamente aperta come il suo cuore.

     "Un giorno mi condusse a Reully, un paesino  non lontano da Issoudun.

     "- Andiamo a fare un'opera di misericordia, mi disse, a visitare un'ammalata… ma vedrete che ammalata! Giovanna Thibault è a letto da più di 30 anni e offre tutte le sue sofferenze per gli altri. Io stimo moltissimo questa donna meravigliosa e la considero il tipo perfetto della 'malata cristiana', indispensabile alla nostra povera umanità… Vedrete.

      "E vidi, quando entrai nella cameretta, linda e ordinata, di una piccola casa di campagna, una donna allungata, inerte, in un bianco letto. Avrà avuto una cinquantina d'anni, ma sembrava più giovane, malgrado il pallore del viso e la magrezza, accentuata da un naso affilato e da una bocca sottile e larga. Mi colpì lo splendore dei suoi occhi, colmi di pace e di gioia e il suo sereno sorriso…

      "Ora, questa donna era paralizzata da più di 30 anni. Poteva appena muovere gli avambracci e le mani. Per scrivere, dovevano metterle un lapis tra le mani… I medici l'avevano abbandonata da molto tempo, perché non c'era più nulla da fare. Ogni giorno e ogni notte erano sofferenze fisiche intollerabili e il suo stato di assoluta impotenza la metteva, come una povera cosa, fra le mani di persone caritatevoli, che cercavano di sollevarla. E tutto questo da 30 anni.

      "Tuttavia, nella sua conversazione, semplice e gioconda, nei suoi tratti affinati dal dolore, brillava una gioia inspiegabile.

      "- È  inchiodata in croce con Gesù, m'aveva detto il mio amico, e ci resta amorevolmente, per salvare, in unione con Lui, le anime…

      "Quando ci congedammo, quella donna mi disse:

      "- Padre, io penso spesso alle missioni della Papuasia e prego per tutti i missionari. Vi prometto che d'ora in poi avrò un ricordo speciale per voi…

      "La ringraziai con sincera effusione e ne tornai con l'amico a Issoudun.

      "In seguito, la viva impressione di quella visita mi si affievolì e la promessa di preghiere e sacrifici si confuse nel ricco tesoro dei numerosi 'pregherò per lei' che avevo raccolto un po' dovunque…

      "Tre anni dopo, io ritornavo da una spedizione intorno al massiccio di Yule, che innalza una vetta tronca, simile ad una cattedrale in rovina, in mezzo alle catene centrali della Papuasia, all'ovest della regione del Fuiughé. Scendevo lungo i fianchi del Karuama, verso Yule, centro della missione, che si trovava a circa otto giornate di marcia. È una regione particolarmente difficile. Là comincia - o finisce? - la famosa 'Barriera Calcarea' che s'eleva, lungo le alte montagne della Pauasia, fino all'estremo ovest, verso le vicine sorgenti del Fly e del Sepik, proprio nel cuore della Nuova Guinea.

      "Questa barriera è tanto estesa, alta, desertica e scoscesa, da escludere a priori  la possibilità della presenza di esseri umani fra quelle cime lunari. Invece, grazie all'audacia e alla resistenza di quattro ufficiali del Governo [australiano, n. d. r.], che riuscirono a superarla, si scoprirono grandi popolazioni sulle alte praterie, limitate dalla formidabile 'Limestone Barrier'.

      "Da quattro giorni ero immobilizzato da un tempo orribile, a più di 2.500 metri di altezza, ai piedi della piramide del monte Yule, invisibile tra le nuvole nere, ma incombente sul nostro piccolo accampamento, battuto da una pioggia feroce e da un vento scatenato.

      "Finalmente, il tempo si rimise al bello e così fu possibile partire. Ecco che cosa scrissi sul mio diario di viaggio, in data 24 febbraio 1938.

      "<Ieri, grazie a Dio, bel tempo.  Mi alzo alle sei. Non ho inteso la sveglia, perché avevo lavorato al vocabolario [della lingua papuana, n. d. r.] una buona parte della notte. Senza Messa.

      "Discesa su Rlorlove che passiamo alle  alle 8,10, su un ponte di rami.  Il torrente è largo non più di quattro o cinque metri, ma è precipitoso. Si direbbe che l'acqua venga rovesciata  da enormi secchi, contro scogli giganteschi…Si risale lungo il fianco della catena, che va direttamente fino alla confluenza del precipitoso Tapala con il non meno violento Karuama.

      "Alle 9,30 passiamo una specie di colle, in cima ad un contrafforte, che si avanza sul Tapala e sul quale c'è un villaggio, Kutupolo.

      " Di là si ha tutto il panorama della regione costiera: l'isola di Yule, azzurrina in distanza,  la Baia di Hall-Sound e i diversi promontori.  Ma, a destra, si innalza a picco una ripida  catena, della quale si vedono le rocce nude, in molte parti, e i bianchi crepacci. È ricoperta da cespugli e non dalla foresta densa. È uno degli ultimi contrafforti orientali della terribile  'Barriera Calcarea'. Ai piedi di questa catena, scorre il Karuama, alimentato da molti piccoli  torrenti che, tutti in cascata, precipitano nel letto del fratello maggiore…

      "Alle 9,50 arrivo al villaggio di Guari, di otto capanne. Gli indigeni ci ricevono, offrendoci delle ottime canne da zucchero…

      "Interrompo qui la trascrizione del mio diario, per insistere sul fatto che non cambio una parla del testo, scritto o la sera stessa o l'indomani del giorno datato, su osservazioni appuntate durante il cammmino. Riprendo a citare il diario a paroletta:

      " Partenza alle 10,20. La cresta che seguiamo in vetta , da ieri, stretta ora fra il Tapala e il Karuama, s'assottiglia sempre più, senza perdere quota, e, facendo un'ampia curva,va a finire alla confluenza dei due corsi d'acqua. Anzi, la cresta s'innalza, attraverso due sommità a gobba di cammello, sulle quali passa la strada.  I fianchi hanno pendenze troppo ripide  perché vi si possa pensare una strada. Il passaggio si restringe sempre più fino a non essere più largo del piede che vi poggia, di guisa che noi siamo come sospesi in aria, su un pinnacolo. A destra e a sinistra, due nastri di schiume, che si svolgono a quasi 1.000 metri più in giù e che noi dominiamo quasi verticalmente. La vista è splendida. Ma per poco non mi costa la vita. Proprio prima di intraprendere la salita del primo colle, avevo sbattuto violentemente il ginocchio contro un ceppo, dissimulato dall'erba, e mi ero procurato una piaga e una contusione. Camminavo male. In cima alla prima gobba, fui talmente preso dalla bellezza del paesaggio che, col naso in aria, non mi accorsi di una svolta della cresta. Misi il piede nel vuoto… Una forza misteriosa mi respinse di lato.

      "Scivolando lungo il canalone arrivammo alle undici nel villaggio di Kobatsika, di sette capanne. Noto la piccola corte davanti alla porta d'ingresso della capanne e i teschi e le ossa umane appese dietro le capanne. Le ossa non sono in una rete (come avviene altrove). Le sostituisce uno strato di foglie di pandanus. Senza fermarci, continuammo a scendere a picco, fino ad un grazioso spiazzo erboso… Qui, evidentemente dovrà essere costruita la nostra prima stazione…

      "Ho citato apposta quasi per intero la pagina del mio diario, che riguarda il mercoledì 23 febbraio 1938, per mostrare che l'incidente, che poteva costarmi la vita, non fu per me un episodio diverso dagli altri. 'Una forza misteriosa mi respinse di lato.' Tutto qui.

      "Ora, appena tornato a Yule, ricevetti una lettera del mio amico d'Issoudun. Era datata 19 maggio 1938. Egli aveva saputo del mio viaggio di esplorazione e me ne domandava notizie. 'Dite, che cosa avete visto?'.

      "Subito dopo, scriveva queste parole che cito alla lettera:

      "< Un giorno, a Reully, ho trovato la nostra santa amica terribilmernte affranta, dopo settimane di dolori atroci. Poteva appena parlare. Le dissi che voi eravate in viaggio di esplorazione e in quali condizioni, domandandole un aumento di preghiera per le missioni di Papuasia. Mi rispose semplicemente, con un fil di voce appena percettibile: 'La mia giornata di giovedì scorso forse gli ho salvato la vita.' Doveva essere il giovedì 24 febbraio.>

     "Qualche tempo dopo, ebbi notizia che Giovanna Thibault era morta il 24 maggio 1938.

      "Si confrontino ora le date del mio incidente sulla cresta a fil di rasoio e del giorno in cui la 'malata cristiana' pronunciò impercettibilmente le parole che rivelavano il valore delle sue sofferenze; sofferenze che erano state più atroci proprio durante il periodo di quella esplorazione, nella quale, più di una volta, sfuggii alla morte. La coincidenza è troppo straordinaria, per essere casuale…

     "Io credo nella Comunione dei Santi." (3)

In questo racconto vi sono alcuni elementi che meritano di essere sottolineati:

a)       L'apparente sfasamento temporale fra la "visione" di Jeanne Thibault e la forza misteriosa sperimentata da Dupeyrat si spiega con la differenza di longitudine. La Nuova Guinea non è oltre la linea del cambiamento di data, ma abbastanza lontana dalla Francia (circa 13.000 chilometri) perché, quando nella prima è mercoledì, nella seconda è già giovedì: dunque, il 23 febbraio dell'incidente sui monti della Pauasia corrisponde esattamente al 24 febbraio del villaggio francese di Reully, presso Issoudun (dipartimento dell'Indre, nella Francia centrale).

b)       Erano passati tre anni dal primo e unico incontro fra il missionario e Jeanne Thibault ed egli non vi pensava più; lei, invece, lo tenne costantemente presente nelle sue preghiere, ed ebbe la certezza immediata d'avergli salvato la vita, in quel particolare giorno; il che significa, molto probabilmente, che ebbe una premonizione del pericolo incombente sul sacerdote, nonché una sorta di "visione" del suo salvataggio in extremis (ciò che nel linguaggio della parapsicologia si chiama "chiaroveggenza", ossia visione di cose lontane nello spazio; da  non confondersi con la "precognizione" (conoscenza del futuro) o con la "retrocognizione" (conoscenza del passato).

c)       I dolori strazianti che di lì a tre mesi giusti, il 24 maggio (nel mese della Madonna…) l'avrebbero condotta alla fine della sua esistenza terrena, non ostacolarono affatto la capacità della Thibault di "mettersi in sintonia" con coloro per i quali rivolgevaa Dio le sue preghiere, anzi si direbbe che - identificandosi ella con le sofferenze di Cristo sulla croce - fungessero in qualche modo da catalizzatore, se così è lecito esprimersi, delle sue energie psichiche, acutizzadone i sensi nonché conferendole una forma di conoscenza e una capacità di azione che si collocano, evidentemente, al di là della sfera sensibile.

d)       André Dupeyrat non pensava alla Thibault in quel particolare momento in cu stava per precipitare nel vuoto, da un dirupo alto più di 1.000 metri sul fiume spumeggiante, né forse vi aveva pensato altre volte in quei tre anni, dopo il breve periodo di soggiorno in Francia; era però rimasto fortemente colpito dalla spiritualità della povera malata e nuutriva la convinzione che la comunione dei santi esiste, ossia che le preghiere dei credenti sono efficaci ovunque, anche nella sfera del mondo sensibile. Era quindi in uno stato d'animo di apertura e di ricettività, ovvero in quello che i mistici dell'India definiscono uno stato di espansione coscienziale, caratterizzato dall'indebolirsi delle barriere dell'Ego razionale che separano l'individuo dal Tutto.

e)       Non esistono spiegazioni di tipo razionale per rendere ragione di quella "spinta" che il missionario percepì come una vera e propria forza materiale, tale da riportarlo sul sentiero quando già aveva messo il piede nel vuoto senz'accorgersene. Per sua esplicita ammissione, egli in quel momento era distratto dalla grandiosità del panorama sottostante; pertanto non fu un "normale" sesto senso quello che gli salvò la vita; non fu la percezone, o sia pure l'inconscia intuizione, del pericolo. Al contrario, l'istinto lo aveva abbandonato e non fu una facoltà mentale ovvero una reazione del sistema nervoso a salvarlo, ma qualche cosa d'altro, elusivo rispetto a qualsivoglia spiegazione di tipo scientifico.

f)         Egli non fu indotto a fermarsi un istante prima di spingersi nel vuoto, bensì fu riportato sul sentiero quando già si era inoltrato nel vuoto. In altre parole, non venne salvato da un arresto del suo cammino, brusco e "inspiegabile", sull'orlo del precipizio, bensì da una forma di energia sconosciuta che lo gettò indietro - anzi, di lato - contro la legge di gravità e contro ogni altra legge fisica da noi conosciuta.

Se fenomeni come quello descritto non possono essere "spiegati" scientifiamente, è tuttavia possibile formulare delle ipotesi di tipo filosofico. Esse tendono a confermare l'esistenza di una mente non localizzata (non circoscritta, cioè, al nostro cervello e al nostro corpo), così come suggeriscono varie esperienze di pre-morte, in cui il soggetto è stato in grado, al risveglio, di descrivere minutamente ciò che accadeva intorno a lui e anche in altri ambienti; e ciò perfino da parte di un soggetto cieco dalla nascita. (4) Più in generale, ne uscirebbe confermata la teoria fondamentale del filosofo greco Parmenide, secondo il quale tutto permane (e di Emanuele Severino, secondo il quale "qualsiasi stato del mondo è eterno"), nonché quella del fisico inglese Julian Barbour, secondo il quale i movimenti delle cose sono illusori, poiché "non vediamo le cose come sono, ma come le interpretiamo", ossia sotto forma di sequenze o "capsule temporali", mentre la realtà non è che un eterno presente. (5) Se tutto è contemporaneamente presente, esiste in teoria la possibilità di accedere a questa conoscenza onnicomprensiva, dice Dante, rivolgendo la mente a quel punto ove non esiste distinzione fra passato, presentee futuro, cioè Dio: "La contingenza, che fuor del quaderno/ della vostra matera non si stende,/ tutta è dipinta nel cospetto etterno:/ necessità però quindi non prende/ se non come dal viso in che si specchia/ nave che per corrente giù discende./ Da indi sì come viene ad orecchia/ dolce armonia da organo, mi viene/ a vista il tempo che ti s'apparecchia." (6)

I mistici, dunque, mediante la preghiera riescono a "sintonizzarsi", per così dire, sul "canale giusto" e riescono pertanto a vedere quel che noi non possiamo vedere, a conoscere quello che noi non possiamo sapere.

Un'ultima domanda ci si pone, circa l'episodio narrato da padre Dupeyrat. Come poteva sapere Jeanne Thibault che il missionario, proprio in quel preciso momento, avrebbe corso un pericolo mortale, se neppure lui se ne rese conto fino all'ultimo istante? Infatti non si trattò di un pericolo "annunciato": non v'erano stati segni premonitori né alcuna circostanza che permettese di intuire che proprio in quel determinato momento si sarebbe presentato il pericolo. L'unica "risposta" che possiamo avanzare (poca cosa, in confronto alla grandezza del mistero che qui abbiamo appena sfiorato) è che il Dupeyrat, su quel sentiero a fil di rasoio sospeso fra le valli profondissime dei due fiumi, non stava camminando da solo. C'era qualcuno, con lui; una presenza che lo accompagnava passo passo, e che fu prontissima ad intervenire, anzi fuliminea, quando il pericolo - del tutto inaspettatamente - si presentò.

Questa ipotesi, se giusta, riveste una enorme importanza dal punto di vista della vita spirituale. Nei momenti più difficili della vita, quando il sentiero in cui è tracciata si presenta più erto e scabroso, e proprio là dove meno stiamo in guardia per proteggerci, c'è qualcosa o qualcuno che veglia su di noi. E padre Dupeyrat, in quel momento, aveva bisogno d'aiuto sia sul piano fisico che su quello spirituale. Sul piano fisico, perché si era ferito a un ginocchio e procedeva con molta fatica; sul piano spirituale perché, vinto dalla stanchezza, quel mattino s'era svegliato tardi ed era partito senza aver avuto il tempo di celebrare la messa, fonte di rinnovata energia spirtuale. Una presenza, abbiamo detto; tuttavia non si tratta di una presenza scontata; nell'episodio che in queste pagine abbiamo descritto, varie circostanze vi hanno concorso. Ma l'essenza della cosa è questa: fra due anime intensamente concentrate - anche in modi apparentemente diversissimi - in un profondo dono  d'amore che supera le barriere dell'Ego, esiste una misteriosa corrispondenza che può oltrepassare le distanze dello spazio e del tempo e trasformarsi in una forma di energia anche fisica. Qualcosa di simile accade quando i mistici, sprofondati in preghiera, proiettano la loro volontà amorevole verso l'oggetto della loro sollecitudine: come quando, ad esempio, gli Indiani del Texas, nel 1630, si "sentirono" spinti da mani affettuose ad avviarsi con ordine verso il sacrificio della messa, in una missione spagnola sperduta a migliaia di chilometri dal convento in cui Maria de Agreda stava pregando per loro. (7)

Che altro dire?  L'intuizione teologica su cui si basa la credenza nella comunione dei santi è straordinariamente rasserenante e confortante. Torna alla mente quell'apologo brasiliano dell'uomo sofferente che, novello Giobbe, si rivolge a Dio per chiedergli dov'era mentre lui avanzava con enorme fatica sulle strade del mondo. Sulla sabbia dietro a lui, infatti, non v'era che una sola serie di impronte. "Ma Io sono stato sempre  con te - gli risponde allora il Signore - e quelle impronte che vedi sulla sabbia non sono le tue, ma le Mie: sono stato Io che ti ho portato sulle spalle per tutte questo tempo".

  

NOTE

 

1)      Cfr. TALAMONTI, Leo, Universo proibito, Milano, Sugar, 1966 (e Mondadori, 1969); id., I protagonisti invisibili, Milano, Rizzoli, 1990.

2)      Cfr. BRADEN, Gregg, L'effetto Isaia, Diegaro di Cesena (FC), Macro ed., 2001.

3)      DUPEYRAT, André, 21 ans chez les Papous (con prefazione di Paul Claudel), Paris, 1952, tr. it. col titolo Nel Paese degli uccelli paradiso, Milano, Massimo, 1956, pp.191-195.

4)      DOSSEY, Larry, Alla scoperta dell'anima, Milano, Sperling & Kupfer, 1991, spec. pp. 17-18.

5)      Cfr. LA GRECA, GIULIO, Ricordi del futuro, in Il giornale dei misteri, dic. 2006, pp. 18-22.

6)      Par., XVII, 37-45.

7)      Cfr. LAMENDOLA, Francesco, Le bilocazioni miracolose di Maria de Agreda (1622-1630), in Il segno del soprannaturale, marzo 2007, pp. 10-11.