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Riusciranno gli Stati Uniti a spingere all’errore Hezbollah?

di Thierry Meyssan* - 13/05/2008


I tumulti di Beyruth sono un inganno. Essi sono stati volutamente facilitati dagli Stati Uniti che speravano di spingere Hezbollah ad uccidere i principali leader del governo. Perché solo una carneficina avrebbe potuto giustificare un intervento della NATO. Tuttavia, l’Alleanza nazionale ha dato prova di grande autocontrollo e non ha attaccato il palazzo del governo. Cercando di rilanciare gli scontri, il Primo ministro de facto ha denunciato le sole due personalità atte ad intraprendere una mediazione e ha fatto appello per un contro-sciopero generale per creare le condizioni per oltrepassare i limiti.


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10 maggio 2008


In tre giorni (7, 8, 9 maggio 2008), le carte in Libano sono state interamente ridistribuite. Stando alla propaganda della NATO riversata dalle agenzie di stampa occidentali, Hezbollah avrebbe organizzato un colpo di Stato e preso il controllo di Beyruth-Ovest. A fronte delle informazioni trasmesse dalle stesse agenzie di stampa, questa versione non regge un minuto. Per prima cosa, Hezbollah ha effettuato brevi combattimenti contro alcuni interessi della famiglia Hariri a Beyrut-Ovest, ma si è immediatamente ritirato passando la mano all’esercito: dunque, non c’è stata presa di controllo della città. In secondo luogo, un « colpo di Stato » è una presa del potere a sorpresa: mai Hezbollah ha tentato d’impadronirsi del palazzo del governo o di liquidare la compagine governativa. Al contrario, Hezbollah, come del resto tutta l’Alleanza nazionale, continua ad ignorare il governo de facto di cui non riconosce la legittimità perché privo di base costituzionale.



4 anni di crisi, di cui 18 mesi di stallo

Gli avvenimenti di questi tre giorni sono un ulteriore episodio dello telenovela aperta dal voto da parte del Congresso degli Stati Uniti del Syria Accountability and Lebanese Sovereignty Restauration Act, il 15 ottobre 2003. Questa legge, adottata sullo slancio dell’invasione dell’Iraq, dà carta bianca al presidente Bush per lanciare, quando la ritenga utile, una nuova guerra contro il Libano.

Nel libro L’Effroyable imposture 2 e su Voltairenet.org, ho descritto in dettaglio i successivi piani elaborati da Washington per giungere ai suoi fini e i numerosi sviluppi politici e militari di tale progetto : l’assassinio dell’ex Primo ministro Rafic Hariri nel momento in cui egli si riavvicinava a Hezbollah, la campagna mediatica per rendere falsamente la Siria responsabile di quel crimine, le elezioni legislative truccate, il ritiro dell’esercito siriano fuori dal Libano, il subappalto della guerra a Tsahal da parte del Pentagono, l’attacco israeliano e la distruzione del Libano meridionale, la vittoria militare di Hezbollah e, infine, l’illegale mantenimento al potere del governo Siniora e il blocco dell’elezione presidenziale.

Ricapitoliamo per un istante gli episodi antecedenti. L’11 novembre 2006, le dimissioni di cinque ministri provocano la caduta del governo per effetto dell’articolo 95A della Costituzione. Ma il Primo ministro Fuad Siniora decide di mantenersi al potere. Il putsch è avallato dalla « comunità internazionale » che vede in esso l’unica soluzione per sbarrare la strada alla coalizione guidata da Hezbollah. Si tratta in effetti di una posta in gioco vitale per l’Impero anglosassone : un governo dominato da Hezbollah darebbe il segnale a rivoluzioni nel mondo arabo e segnerebbe la fine ineluttabile non dello Stato d’Israele, ma del regime sionista al potere a Tel Aviv.

Pur essendo la sola legittimata ad esercitare il potere sia per la sua vittoriosa resistenza contro l’invasione israeliana, sia per il suo massiccio sostegno popolare, l’Alleanza nazionale guidata da Hezbollah e dalla Corrente patriottica libera, si astiene dal marciare sul palazzo del governo. Al contrario, Hassan Nasrallah e Michel Aun si danno da fare per dimostrare che, anche se saranno in maggioranza, essi porranno l’unità del paese prima degli interessi di parte. Questo ferreo autocontrollo si spiega col timore di un nuovo intervento militare diretto od indiretto degli Stati Uniti i quali non mancherebbero di appoggiarsi ad alcuni partiti politici minoritari.

La situazione politica si inscrive nella geografia di Beyruth. Mentre la famiglia Hariri, in occasione della « rivoluzione del cedro » (effimera versione locale delle « rivoluzioni arancione » orchestrate dalla CIA) installa due tende in piazza dei Martiri, l’Alleanza nazionale pianta un vasto accampamento che copre l’insieme del centro cittadino e che esprime visivamente il rapporto di forza. Di colpo, i golpisti si trinceravano nel palazzo governativo, il Serraglio, trasformato in fortezza dietro blocchi di cemento, muri di reticolati e blindati.


Il faccia a faccia tra i golpisti e l’Alleanza nazionale si perpetua da 18 mesi, in cui ciascuno sfrutta il tempo a disposizione. Il governo de facto sostenuto non dall’Occidente come ama dire la stampa anglosassone, ma dagli Stati Uniti, da Israele e dall’Arabia Saudita, si è dotato di un apparato di sicurezza. Viene costituita una speciale polizia stipendiando I miliziani delle Forze libanesi (partito di estrema destra del criminale di guerra Samir Geagea) e inviandoli a formarsi presso istruttori USA in Giordania. Inoltre, la famiglia Hariri crea diverse società di sorveglianza che sono altrettante milizie private.

L’Alleanza nazionale ricostituisce l’arsenale della Resistenza con l’aiuto ufficiale dell’Iran ed ufficioso della Siria, come sottolinea la stampa europea, ma anche con l’aiuto discreto e continuo di due membri del Consiglio di Sicurezza, la Russia e la Cina. Hezbollah invia giovani volontari a formarsi in Iran presso i Guardiani della Rivoluzione e costruisce una vasta rete di linee di difesa nel Sud del paese. Nello stesso tempo, Hezbollah aiuta le altre componenti dell’Alleanza nazionale a militarizzarsi e a coordinarsi in modo da poter esercitare una comune resistenza in caso di una prossima aggressione straniera. Il gruppo che, dopo Hezbollah, dispone dei più agguerriti combattenti è oggi il Partito social nazionalista pansiriano (PSNS) di Ali Qanso, di cui la stampa occidentale finge di ignorare l’esistenza perché si definisce laico e non rientra nell’analisi confessionale cara al pensiero coloniale.

Il mandato del presidente della Repubblica, Émile Lahud (vicino all’Alleanza nazionale), giunge alla sua conclusione il 23 novembre 2007. Rifiutando di seguire l’esempio di Fuad Siniora e di abbarbicarsi al potere, Lahud lascia la sua carica nel momento stabilito rispettando le procedure democratiche.

L’elezione del suo successore da parte del Parlamento presuppone una maggioranza qualificata, dunque un accordo tra i due campi. In realtà, il governo de facto si fa beffe di questo, perché la funzione presidenziale è largamente onorifica. La sua unica preoccupazione è mantenersi indefinitamente in carica. L’Alleanza nazionale, invece, vede tale elezione nel quadro di un equilibrio globale che comprende un accordo sulla rappresentatività del prossimo governo e sulla suddivisione delle circoscrizioni legislative.

A Washington si ritiene che, data la debolezza del sostegno popolare al governo de facto, ogni evoluzione politica non potrà essere fatta che a suo detrimento. Gli Stati Uniti incitano dunque i loro strumenti locali a congelare la situazione. Lo stallo si è esteso a tutti gli organi costituzionali. Ormai il paese è senza un legittimo governo, senza corte costituzionale, senza presidente e senza assemblea legislativa (avendo il Parlamento mandato solo per procedure all’elezione presidenziale).

Le amministrazioni non possono più funzionare. La crisi politica ha dato vita ad una crisi economica. La miseria si estende. Le persone possono sopravvivere solo con l’aiuto delle loro famiglie all’estero o con i sussidi dei partiti politici. In tale contesto, le opere sociali di Hezbollah hanno riempito lo spazio lasciato vacante da uno Stato che viene meno.

Tre giorni di sporadici combattimenti
Questa situazione avrebbe potuto durare ancora a lungo, malgrado le sofferenze che la popolazione deve sopportare. Ma la vittoria di Hezbollah su Israele continua a diffondere i suoi effetti nel mondo arabo. Così, una nuova generazione di resistenti palestinesi nonché l’esercito iracheno del Mahdi s’ispirano al suo esempio. Washington ha dunque pianificato un modo per farla finita.

Come ho già precisato su Al-Manar lo scorso 18 aprile, l’obiettivo principale non è schiacciare Hezbollah (questo presupporrebbe una guerra su una scala più ampia di quella del 2006), ma screditarlo forzandolo a rivolgere le sue armi contro altri arabi. A questo fine, Washington ha cinicamente previsto di sacrificare i suoi principali alleati politici nel Libano.

Per assicurarsi che questa operazione non degeneri in guerra regionale, la CIA elimina preliminarmente i due capi militari della Corrente patriottica libera e di Hezbollah: François el-Hajj (assassinato a Beyruth il 12 dicembre 2007) e Imad Mugniyeh (assassinato il 12 febbraio 2008 a Damasco).

Ecco i dettagli dell’operazione : nella notte tra il 25 e il 26 aprile 2008, dei commando USA dovrebbero sbarcare all’aeroporto di Beyruth e tentare di eliminare Hassan Nasrallah. Che essi riescano o meno nell’intento, la loro breve azione dovrebbe far piombare nel caos la capitale e spingere i militanti di Hezbollah a prendersela con il governo de facto e con la famiglia Hariri. Più sangue scorre e più diventa giustificato un intervento della NATO. L’ammiraglio Ruggiero di Biase, comandante dell’UNIFIL marittima (la forza delle Nazioni Unite) dovrebbe improvvisamente cambiare le bandiere delle navi italiane, francesi e spagnole dell’Euromarfor e sbarcare i suoi uomini nel porto di Beyruth sotto gli auspici dell’Alleanza atlantica, con il pretesto di soccorrere i sopravvissuti della compagine governativa. Tutto ciò sarebbe accompagnato da un’ampia propaganda di denuncia della violenza degli sciiti contro i sunniti facendo perdere a Hezbollah la sua aura tra le masse arabe. George W. Bush giungerebbe allora arrivato a Tel Aviv per festeggiare i 60 nanni di Israele e per invitare gli « Stati arabi moderati » sunniti ad unirsi allo Stato ebraico contro il pericolo sciita.

Washington ha previsto di lasciar massacrare i suoi alleati politici del Libano e di salvaguardare solo I suoi agenti operativi sullo scacchiere. Il che significa, sacrificare il Primo ministro de facto (Fuad Siniora) e il capo della famiglia Hariri (Saad), ma conservare gli uomini orchestrati dalla CIA : il leader druso Walid Jumblatt, (vicepresidente dell’Internazionale socialista) e il suo braccio destro, l’assai volubile Marwan Hamade (ministro de facto delle Telecomunicazioni).

In questo quadro, Hezbollah arresta, il 26 aprile nel quartiere Sud di Beyruth, il rappresentate del Partito socialista francese nell’internazionale socialista. Il franco-afghano Karim Pakzad sta prendendo delle foto proprio accanto al luogo in cui si trova il bunker di Hassan Nasrallah. Secondo Hezbollah, che lo sospetta un agente dei servizi segreti partecipante al sostegno logistico dell’operazione USA mirante ad assassinare lo sceicco Nasrallah, egli aveva su di sé un’apparecchiatura d’intercettazione delle comunicazioni telefoniche.

Essendo stata annullata l’operazione di commando dopo la scoperta di telecamere di sorveglianza piazzate all’aeroporto da Hezbollah, Walid Jumblatt inverte la situazione, accusando Hassan Nasrallah di aver preparato un’azione militare per distruggere un aereo sulla pista 17 dell’aeroporto utilizzata da personalità governative (cosa non del tutto falsa, ma si trattava d’intrappolare i commando USA, non i membri del governo de facto). Credendosi preso di mira, il Primo ministro de facto destituisce il comandante della sicurezza dell’aeroporto ed annuncia l’imminente smantellamento della rete di comunicazione di Hezbollah, strumento indispensabile della Resistenza.

Simultaneamente, i sindacati proclamano per mercoledì 7 maggio lo sciopero generale per una rivalutazione dei salari minimi. Ad essi si uniscono i partiti dell’Alleanza nazionale che danno una svolta politica allo sciopero richiedendo il ritiro dei golpisti.

Senza che se ne capiscano le modalità, scontri armati oppongono i membri di Amal (il partito del presidente sciita dell’Assemblea nazionale) a quelli della Corrente del futuro (il partito della famiglia sunnita Hariri).

I disordini si estendono nella capitale, l’8 e il 9 maggio, successivamente alla conferenza stampa di Hassan Nasrallah. L’esercito si ritira dai quartieri occidentali, investito dai militanti dell’Alleanza nazionale. Questi distruggono gli uffici dei media della famiglia Hariri senza che le loro guardie private li difendano, poi chiedono all’esercito di tornare per garantire la pubblica sicurezza. È un’utile precauzione perché, in virtù della risoluzione 1701, l’UNIFIL può intervenire solo su richiesta dell’esercito (dunque unicamente dopo che questo sia stato messo in difficoltà).

Gli scontri provocano 18 morti e numerosi feriti. Non si tratta di combattimento in formazioni schierate ma, piuttosto, di una sorta di intifada popolare inquadrata da Hezbollah.

Durante quest’azione, i sindacati chiudono l’aeroporto ed il porto per impedire un eventuale sbarco delle forze della NATO.

Il bilancio di questi tre giorni è misto. Da un lato, Hezbollah non è caduto nella trappola che gli era stata tesa, ma ha messo il dito nell’ingranaggio. Dall’altro, la Corrente del futuro (famiglia Hariri) è apparsa per quello che è: un guscio pressoché vuoto.


Sabato 10 maggio, il Primo ministro de facto, Fuad Siniora, si è rivolto alla nazione. Come previsto, ha affermato sfrontatamente di aver sempre sostenuto l’azione di Hezbollah contro il nemico israeliano (cosa di cui nessuno si ricorda), ma di non poter accettare che esso utilizzi le armi della Resistenza contro altri Libanesi. Ha dichiarato di non riconoscere più a Nabih Berri, il presidente sciita dell’Assemblea nazionale, la neutralità necessaria per servire da mediatore. Rimproverando l’esercito per il motivo opposto, lo ha biasimato per il suo non interventismo, il che mette fine al carattere consensuale della candidatura del capo di stato maggiore Michel Sleimane. Infine, avendo così chiuso tutte le porte, egli ha chiesto ai suoi concittadini di manifestare in silenzio il loro rifiuto della violenza, domenica alle ore 10 in tutte le strade del paese. Si tratta, evidentemente, di una specie di contro-sciopero generale mirante a creare le condizioni per rilanciare gli scontri e giustificare l’internazionalizzazione della crisi.


Contrariamente ad ogni aspettativa, l’esercito ha immediatamente risposto al Primo ministro de facto rifiutando di silurare il comandante della sicurezza dell’aeroporto ed opponendosi allo smantellamento della rete di comunicazione di Hezbollah, considerata un’arma indispensabile per la difesa nazionale.

Nei prossimi episodi, Washington cercherà di fare pressione sull’esercito perché esca dalla sua neutralità e richieda l’aiuto dell’UNIFIL contro Hezbollah. Questo, probabilmente, passerà attraverso l’eliminazione fisica di alcuni ufficiali recalcitranti. Da parte sua, l’Alleanza nazionale cercherà di fare pressione a proprio favore senza farsi afferrare dall’ingranaggio. Essa dovrebbe scegliere di fare una pausa per rimodellare una scena politica sulla quale la famiglia Hariri è la grande perdente. Michel Aun dovrebbe darsi da fare per mettere avanti la componente cristiana per invalidare la retorica dello scontro sciiti-sunniti e, attraverso la stessa, disinnescare la trappola statunitense.

Il 19 maggio si terrà la XIX sessione del Parlamento per l’elezione del Presidente della Repubblica. Sarà più che mai impossibile che emerga una maggioranza qualificata.


* Analista politico, fondatore del Réseau Voltaire. Ultimo lavoro pubblicato : L’Effroyable imposture 2 (le remodelage du Proche-Orient et la guerre israélienne contre le Liban). Altri articoli nel sito Voltaire



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