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Bambino 44

di Paola Springhetti - 13/05/2008


 
La Russia di Stalin era bianca di neve, nera dei treni che portavano ai gulag, grigia di mancanza di speranza e rossa di sangue. Non ci sono altri colori nel libro Bambino 44 di Tom Rob Smith (Sperling & Kupfer), un thriller che attraverso la storia di un’indagine racconta tutto un mondo e il modo in cui un’ideologia trasformava in un incubo quotidiano la vita dei giusti e degli ingiusti. Un bambino muore nella neve, sui binari della ferrovia. Leo, funzionato della polizia segreta, viene mandato a convincere i familiari che si tratta di un incidente. Non è vero, ma Leo è onesto, e in quel momento onestà vuol dire svolgere il compito che gli è stato affidato.
  Il regime dà la felicità a tutti, dunque non possono esistere delitti che non siano politici. Ma poi un altro bambino viene trovato morto. E le sicurezze di Leo si incrinano. Accusato di tradimento, spogliato di tutto, ricattato, torturato, l’ex funzionario modello porta avanti la sua indagine. Il predatore diventato preda riuscirà a salvare se stesso, la moglie e la verità? «Volevo scrivere un libro che la gente potesse leggere in metropolitana, facendosi coinvolgere così tanto da dimenticare il disagio del viaggio», spiega Tom Rob Smith, scrittore londinese in questi giorni a Roma. È il suo primo
libro, ma da quando aveva ventidue anni ha lavorato come sceneggiatore per il cinema e la televisione, imparando le tecniche per tenere alta l’attenzione del lettore. Dietro il libro, però, c’è anche altro. Un grosso lavoro di documentazione, per esempio, che gli ha permesso di ricostruire quasi plasticamente il modo di vivere (o meglio di sopravvivere) in un Paese in cui ogni mattina puoi essere svegliato dalla milizia che ti spiega che sei un traditore, e che quindi verrai torturato, forse ucciso, nel migliore dei casi spedito in un gulag. «Sono stato a Mosca e a San Pietroburgo, ma soprattutto ho letto tantissimo: sia documenti storici, sia saggi, sia romanzi – racconta lo scrittore –. Durante quegli anni i servizi segreti confiscavano tutto quello che la gente scriveva, anche diari, lettere e appunti privati. Tutto questo materiale è raccolto in archivi che dopo la caduta del comunismo sono stati aperti al pubblico; gran parte del materiale è stato anche tradotto, in alcuni casi pubblicato». Lo spunto della storia è reale: «Mi sono capitate tra le mani le notizie riguardanti le indagini su un killer realmente esistito in Russia: Andrei Cikatilo. Sono rimasto colpito dal fatto che non sia stato catturato subito per motivi che potremmo definire ideologici: poiché apparteneva al Partito comunista, non poteva essere lui il responsabile dei crimini. E infatti molte persone furono accusate al posto suo, anche se le indagini avevano portato la polizia molto vicino a lui, al vero colpevole. Proprio la frustrazione che ho provato davanti a questa storia, mi ha spinto a scrivere questo libro».
  La verità che nessuno vuole vedere o dire: è questa una delle tematiche che emergono dalla storia. Leo, in questo senso, vive una profonda conversione: «È tipico dei regimi totalitari dirti che il bianco è nero e il nero è bianco e costringerti a pensarlo – spiega Tom Rob Smith –. Leo scopre che esiste una verità
esterna, oggettiva. E questa affermazione di autonomia è inaccettabile per il regime». Nel libro c’è anche una storia d’amore, perché «le storie sono complesse, e io volevo tenere insieme tutti gli aspetti». E così Leo, proprio nel momento in cui avrebbe più bisogno della donna che ama, scopre che lei ha accettato di sposarlo per paura, perché non si può dire di no a un dirigente della polizia. In un Paese in cui l’unico sentimento ammesso è la diffidenza, riuscire a volersi bene è una conquista, esattamente come la verità. Alla fine, Leo, nonostante sia profondamente cambiato, decide di restare dentro il sistema. «Nella Russia di Stalin non c’era modo di opporsi. Leo avrebbe potuto fuggire all’estero e, poiché possedeva informazioni preziose, tradire il proprio Paese e chiedere asilo politico – spiega Smith –.
  L’alternativa era restare nel sistema, cercando di cambiare dal dentro quel che era possibile cambiare. È quello che, onestamente, cerca di fare».

 «Negli archivi del Kgb c’è molto materiale interessante: i servizi segreti confiscavano ogni scritto, anche diari e appunti privati»