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I conti con il passato

di Antonio Gnoli - 13/05/2008


Sia a destra che a sinistra siamo ancora prigionieri di una retorica dalla quale non riusciamo a liberarci: pensare che esistano ancora un pericolo comunista e un pericolo fascista. Esperienze storiche tramontate
Parla Alessandro Campi, insegna dottrine politiche e dirige la fondazione FareFuturo

L´Europa si sposta a destra. E l´Italia fa da modello. Ma di quale destra parliamo? Alessandro Campi, che insegna Storia delle dottrine politiche all´università di Perugia, ha dedicato vari studi all´argomento. L´ultimo in una chiave storico politica è appena uscito dall´editore Marsilio con il titolo L´ombra lunga di Napoleone, da Mussolini a Berlusconi.
Che cosa è il fenomeno della nuova destra?
«Intanto non parlerei di una "nuova destra", o meglio se vogliamo stare dentro questo contenitore dovremmo farlo con alcune cautele. Nel senso che non so ad esempio fino a che punto l´etichetta "nuova destra" ci faccia capire la natura autentica del berlusconismo e della Lega».
Qual è la sua preoccupazione?
«Che si perda il grande eclettismo ideologico di questi due fenomeni politici. C´è uno stereotipo che interpreta la destra come un partito attestato in difesa dell´ordine e dello Stato. E se questo può essere in parte vero per Alleanza Nazionale, non lo più per il berlusconismo e per la Lega. Entrambi, io credo, si presentano come due forme diverse di reazione nei confronti dello Stato».
Lei sostiene, insomma, che Lega e berlusconismo violano i codici di base della destra?
«Quanto meno non ne rappresentano l´immagine convenzionale. Da un lato la Lega è la periferia che si rivolta contro il centro e nel farlo rivendica una propria autonomia; dall´altro il berlusconismo è una rivolta contro lo Stato, nel nome dell´individuo. Sono convinto che le spinte propulsive di quel movimento siano molto più anarchiche di quanto si pensi».
Diciamo caratterizzate da un liberalismo estremo.
«È un liberalismo continentale che interseca due linee: quella che da Constant e Tocqueville giunge ad Aron e l´altra capitanata da Von Hayek. Ed è evidente che la capacità aggregativa che Lega e berlusconismo hanno, difficilmente è interpretabile con la categoria di "nuova destra"».
Perché?
«Perché si è creato un consenso trasversale. Gli operai che a Nord votano per la Lega non lo fanno perché è di destra, ma perché è un partito radicato sul territorio. Quegli operai votano innanzitutto per se stessi. L´affiliazione è territoriale e per niente ideologica. Servono molto meno le categorie destra-sinistra e molto più periferia-centro per capire ciò che è accaduto nel nord d´Italia».
Lei dice che la Lega è "per niente ideologica", su cosa avviene l´aggregazione?
«Il mito politico della lega non nasce da una crisi epocale, come accadde con il fascismo. Non è su quelle basi che essa capitalizza il consenso popolare. Il mito politico fondante è qui un federalismo a corrente alternata: un po´ secessionista e un po´ autonomismo politico territoriale».
La destra ha cavalcato in questi anni anche il mito dell´ordine e della sicurezza. Facendo leva sul sentimento della paura.
«È vero. Si tratta di uno degli argomenti sul quale la sinistra, debitrice dello schema illuministico, insegue, ma con molte contraddizioni al suo interno. Per molto tempo la sinistra ha ignorato la componente prepolitica ed emozionale. In politica non ci sono solo interessi ma anche fantasmi. La destra, invece, si muove più a suo agio nella politica che non è solo calcolo razionale ma anche emotività. La destra ha capito meglio della sinistra che esistono paure nel mondo reale che vanno combattute e incanalate dentro strutture formali».
Ma si ha anche l´impressione che questa destra oltre che a registrarle, le paure le crei.
«È un pericolo che la politica può correre. Se ciò accadesse sarebbe comunque un fatto grave».
Ha ancora senso la distinzione classica: destra individualistica, sinistra egualitaria?
«Non è scritto da nessuna parte che la destra è per definizione individualistica. Semmai la destra, la grande destra culturale e politica del Novecento, ha avuto un forte carattere antiindividualistico, basato sull´idea unificante di nazione».
Mi riferivo all´esperienza del liberalismo di questi anni, in particolare al mito tatcheriano dell´individuo.
«È vero. Ma anche qui sono intervenute alcune correzioni successive. David Cameron, leader dei conservatori inglesi, reinterpreta questo mito secondo cui non esiste la società ma solo gli individui, inventandosi il concetto di individualismo responsabile e facendone il manifesto di un nuovo conservatorismo».
Che rapporto si è stabilito, secondo lei, tra le destre italiane e il loro passato?
«Per ragioni diverse hanno un rapporto molto labile con la tradizione storica. Nessuna di esse si pone in un rapporto di continuità con il passato. La memoria del berlusconismo coincide geneticamente con Berlusconi. Il rapporto controverso di An con il passato nasce anche dal bisogno di chiudere con il fascismo, rimuovendolo in modo chirurgico. Infine la Lega ha con la tradizione storica un rapporto inventato. Tutto il suo apparato liturgico attiene più al folclore politico che alla realtà storica».
Le tre destre non hanno quindi un rapporto lineare con la propria storia.
«Questo spiega la loro forte carica innovativa. Almeno in linea teorica, perché altra cosa è se riescono davvero a innovare».
In che cosa le destre sarebbero innovatrici?
«Tutte e tre contengono alcune istanze modernizzatrici: la Lega a livello politico istituzionale; il berlusconismo sul piano economico e la parte riguardante An con una proiezione nel futuro come raggruppamento pragmatico».
Mi pare che proprio An abbia problemi con la propria base e il proprio passato.
«C´è ancora una divaricazione tra testa e corpo, quest´ultimo è più conservatore e tradizionalista sul piano dei valori, di quanto non lo sia la testa».
Ma questa testa, come lei la chiama, ha fatto fino in fondo i conti con il proprio passato?
«Il richiamo al fascismo e al rischio che si ripresentino situazioni e fantasmi del ventennio, li considero il frutto di un cattivo automatismo ideologico. Il Movimento sociale fu l´erede nostalgico del fascismo. Ma è una storia che si è obiettivamente chiusa. Quello che vediamo in giro, collegato a quella vicenda, sono solo degli strascichi. Credo che sia a destra che a sinistra siamo ancora prigionieri di una retorica dalla quale non riusciamo a liberarci».
E sarebbe?
«Quella di pensare che esistano ancora un pericolo comunista e un pericolo fascista. Sono esperienze storiche tramontate».
Oggi le destre vivono all´ombra del populismo.
«Anche qui distinguerei. Intanto il mio primo pensiero è che il populismo è inscindibile dalle grandi democrazie di massa contemporanee, nelle quali la propaganda politica è soprattutto affidata al messaggio televisivo. E poi non confonderei il populismo come stile dal populismo come sostanza. Quello di Berlusconi, per esempio, è un populismo retorico, nasce da uno stile che si è formato nella logica pubblicitaria - tra l´altro Berlusconi si è laureato con una tesi sulla pubblicità - esce dalle convention aziendali dove devi sempre risultare simpatico e ammaliante. Non è Peron che accusa gli Stati Uniti o le multinazionali».
E il populismo della Lega?
«Nel caso di Bossi più che davanti a una destra populista siamo in presenza di una destra popolare che si nutre di un linguaggio volutamente semplificato, a tratti volgare. La forza di queste destre è nella stabilità delle loro leadership. E ritengo che la fase della personalizzazione della politica spieghi perché tra le ragioni della sconfitta della sinistra ci sia anche questa, la scomparsa di leader carismatici».