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Tutti i volti di una tradizione

di Carlo Galli - 13/05/2008




A seconda dei diversi contesti politici sono carismatiche e tecnocratiche, personalistiche e razziste, nazionalistiche e localistiche

Come ha insegnato, fra gli altri, Norberto Bobbio, la destra e la sinistra si sono differenziate, in età moderna, secondo coordinate valoriali (uguaglianza o differenza fra gli uomini), politiche (autorità o libertà, gerarchia o autonomia), temporali (progresso o conservazione).
Già fra il 1789 e il 1848 si è visto (lo ricordava Marco Revelli) che sono molte le destre possibili. In questi decenni si presentano infatti sulla scena politica i controrivoluzionari, cioè la destra che sostiene il radicamento della politica in un fondamento che la precede (la tradizione, la religione, la natura, la storia) e che deve essere conservato senza poter essere criticato dalla ragione umana, pena il crollo dell´ordine politico; c´è poi l´orleanismo, la destra del movimento, della libera iniziativa individuale che produce ricchezza per i singoli e per la società, mentre seleziona vincitori e vinti, capaci e incapaci, secondo le leggi oggettive del merito e del successo; e infine il bonapartismo, la destra del comando politico dall´alto, della decisione che ri-organizza la politica con armi extra-legali e extra-istituzionali. Da queste a ben guardare derivano anche le successive destre, quelle populiste, quelle localiste e quelle irrazionalistiche.
Si tratta, evidentemente, di destre diverse; alcune si confrontano con la modernità al suo nascere, altre invece si formano al suo interno; vi sono destre economiche e destre politiche, destre moderate e destre estreme, destre conservatrici, reazionarie, autoritarie, totalitarie, statalistiche e antistatalistiche, individualistiche e comunitarie. Si tratta, dal punto di vista teorico e pratico, di diverse possibilità (anche molto differenziate tra loro, a volte reciprocamente ostili e teoricamente incompatibili) che si aprono nella lotta politica moderna – alla quale la destra appartiene (a volte con suo disappunto, a volte con compiaciuta consapevolezza) – per chi non ne vuole assecondare tutte le logiche, ma ne seleziona alcune a scapito di altre: che pretenda di attingere l´Originario più arcaico o che si proietti nel Futuro più visionario, che si percepisca come destino di potenza o come semplice strumento di amministrazione, che si serva della tecnica o che la rifiuti, la politica di destra non ha come obiettivo l´emancipazione dei singoli e dei gruppi, e la loro inclusione razionale e paritaria in uno spazio politico giuridificato.
Che la destra non sia sinonimo di inerzia né di chiusura al mondo, è evidente oggi, nell´età globale, cioè nel ciclo storico innescato dalle politiche conservatrici ma assai dinamiche di Reagan e della Thatcher, e caratterizzato dal fatto che l´economia e la politica hanno come spazio un mondo unico ma non unito né unificato. Un mondo, anzi, sempre più attraversato da conflitti, paure, incertezze, in cui la politica tende a non presentarsi secondo le coordinate ugualitarie dell´illuminismo e le istituzioni includenti dello Stato sociale, ma si struttura prevalentemente secondo molteplici differenze, contrapposizioni, esclusioni (di fatto o di principio): la differenza fra amico e nemico, fra occidente e islam, fra civiltà e terrorismo, fra cittadino e migrante, fra ricchi e poveri, fra istruiti e ignoranti.
È in questo spazio politico che la destra trova la sua grande occasione. Ben lungi dal voler ricostituire ordini del passato, le destre – sono infatti tutte all´opera, oggi, quale più quale meno a seconda dei diversi contesti politici statali: carismatiche e tecnocratiche, fondazionistiche e nichilistiche, personalistiche e razziste (o biopolitiche), nazionalistiche e localistiche – agiscono con grande spregiudicatezza e abilità dall´interno della pluralità e della complessità delle società di oggi. Su cui intervengono con politiche che assecondano divisioni corporative e paure allarmistiche, risentimenti sociali e frammentazioni culturali, chiusure e esclusioni (o subordinazione) dei non-integrati.
Incorporare la pluralità, lasciare che le contraddizioni sociali si organizzino e trovino combinazioni gerarchiche, prospettare politiche contraddittorie – libertà del mercato (il neoliberismo) e libertà dal mercato (il neoprotezionismo) –, far stare insieme la paura della concorrenza e del nemico con la speranza di vincere la lotta per l´esistenza o di scavarsi una nicchia protetta, esercitare l´individualismo egoistico mentre si coltivano identità collettive in comunità reali o immaginate, col folklore o con le ronde che creano l´illusione che si possano ritrovare i territori e gli spazi sociali perduti, scaricare verso l´Altro (simbolico ma concreto: ogni Diverso è a rischio) le tensioni a cui non si dà una risposta lineare e razionale: tutto ciò significa che l´immagine di società che le destre promuovono politicamente non trova il suo centro in un progetto razionale di emancipazione ma proprio negli interessi e nelle pulsioni che la dividono e la gerarchizzano; è al livello simbolico che vengono offerte forme di unificazione identitaria (la nazione, la religione, la comunità locale) con evidente valore risarcitorio, mentre la tenuta del sistema sta nella fiducia verso il leader carismatico, del quale è quindi decisiva la capacità comunicativa.
Questo combinarsi di inclusione e di esclusione non è incoerenza o dilettantismo, ma anzi è una diversa risposta alla questione politica moderna: come si possa far stare insieme l´unità e la pluralità, la forma e il conflitto. E la risposta della destra è la complexio oppositorum, ovvero un´unità politica simbolico-carismatica che nella pluralità delle contraddizioni sociali vede non un problema da risolvere né una ricchezza da dispiegare secondo un progetto razionale ma un´occasione per esercitare la forza che differenzia, la potenza nella differenza. Una modernizzazione postmoderna, davanti alla quale la sinistra – con le sue politiche aggiornate, ma pur sempre modernamente orientate all´uguaglianza e alla razionalità progressiva – finora non casualmente boccheggia.