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L'angelo custode attende André Dupeyrat al bivio della foresta (III parte)

di Francesco Lamendola - 14/05/2008

 

Quasi tutti i missionari cristiani, tanto cattolici che protestanti, recatisi ad evangelizzare lontane popolazioni tribali, prima o poi hanno fatto l'esperienza del'incontro-scontro con l'autorità degli sciamani o stregoni. Presso i popoli meno evoluti, essi svolgono funzioni di sacerdoti e guaritori ma anche, e talvolta soprattutto, praticano la magia nera mediante la quale tengono intere comunità nella morsa del terrore. Essi possiedono poteri misteriosi e inesplicabili, che gli antropologi studiano (ma con una buona dose di scetticismo) solo da pochi decenni; mentre i missionari - pur senza poterli spiegare in modo perfettamente razionale - ne hanno fatto esperienza da moltissimo tempo, e sanno molto bene di che cosa si tratta. Per esempio il padre saveriano Aurelio Cannizzaro, uno dei primi evangelizzatori dell'arcipelago delle Mentawai (al largo di Sumatra, nell'Oceano Indiano), si sentì apostrofare in questo modo da uno stregone dell'isola di Siberut: "Straniero della malora, perché sei venuto in mezzo a noi tentando di portare lo scompiglio con le tue ciance bugiarde? Noi siamo in pace con la nostra religione, che è la nostra, quella dei mentawaiani, e non ne vogliamo altre. È da un pezzo che sulla nostra terra non scorre sangue, ma se non scomparirai presto scorrerà il tuo. Lo sappiamo, e l'hanno raccontato i nostri padri: altre volte voi stranieri vi siete introdotti fra noi, e dopo molte promesse, ci avete invece angariati e ucciso i nostri fratelli. Scompari dunque, straniero, e non farti vedere più tra noi, perché non sappiamo che farne dei tuoi consigli." (1)

È pur vero che la reazione difensiva, in diversi casi, è stata storicamente giustificata dalle drammatiche circostanze in cui la civiltà dell'uomo bianca è stata imposta ai popoli extraeuropei; e che, dopo il Concilio Vaticano II, la stessa pastorale missionaria preferisce un approccio meno drastico con certi aspetti delle culture tradizionali, in omaggio al giusto principio che le religioni dei non cristiani non vanno demonizzate, ma considerate come un punto di partenza per sviluppare un amorevole rapporto di collaborazione basato sulla condivisione di alcuni princìpi etici comuni. Infatti la Lumen Gentium afferma che "la divina Provvidenza non nega gli aiuti necessari alla salvezza a coloro che, senza colpa da parte loro, non sono ancora arrivati a una conoscenza esplicita di Dio, e si sforzano, non senza la grazia divina, di condurre una vita retta. Poiché tutto ciò che di buono e di vero si trova in loro, è ritenuto dalla Chiesa una preparazione al vangelo, e come dato da colei che illumina ogni uomo, affinché abbia finalmente la vita." (2)

Resta il fatto che, in alcune particolari situazioni, il faccia a faccia tra missionario e stregone si è posto come un'alternativa secca e altamente drammatica, come un nodo preliminare da sciogliere per poter esercitare un'opera pastorale sulle popolazioni in questione; e questo è stato il caso di padre Dupeyrat, che si trovò ad agire nella Nuova Guinea al tempo in cui  il cannibalismo, tanto per fare un esempio, era pratica pressoché normale fra gli indigeni delle montagne. Per questo egli ritenne di lanciare agli stregoni, che minacciavano di distruggere la sua lenta e faticosissima opera di conversione, una sfida radicale: se essi non fossero riusciti a farlo morire nel corso di una difficile e pericolosa visita pastorale tra i villaggi più isolati dell'interno, ciò avrebbe manifestato la loro impotenza e laverità della religione cristiana. (3) Subito dopo egli ammette di essersi pentito di tanta irruenza: aveva egli il diritto di legare il succeso dell'evangelizzazione di quelle genti all'esile filo della sua vita che, anche solo per motivi puramente accidentali, avrebbe potuto spezzarsi in qualsiasi momento? Sta di fatto che, nel corso di quel viaggio, la sua vita fu realmente in pericolo ogni giorno: serpenti velenosi, forse ammaestrati e posti in agguato dagli stregoni stessi, lo attaccarono incessantemente, in circostanze tali da far pensare a una manovra sapientemente organizzata. Ogni volta, però, riuscì a salvarsi e a rinnovare la sua sfida; tanto da infliggere un duro colpo alla reputazione dei suoi mortali nemici che, fino a quel momento, erano riusciti a provocare la morte di qualunque avversario, anche con mezzi puramente psichici.

Ma un episodio particolarmente significativo, nel corso di quel viaggio, fu quello che ebbe per silenziose protagoniste non le forze del Male, bensì quelle del Bene; episodio così toccante e, al tempo stesso, così "inspiegabile" (secondo il metro della scienza "positiva") che preferiamo cedere senz'altro la parola a colui che ne fu testimone e inconsapevole strumento. In compagnia di un altro sacerdote e di pochi fedeli indigeni battezzati, egli stava compiendo un viaggio nella foresta per raggiungere un villaggio sperduto; non conosceva la strada - a differenza del suo compagno - e questo particolare rende ancor più stupefacente il suo racconto.

     "Finalmente arrivammo sul versante dello Yaloghé. A un certo punto della foresta, ancora molto distante da qualsiasi abitato, la pista si biforcava: un sentiero piegava a sinistra, l'altro a destra.

      "Mi precedevano tre portatori, che non conoscevano il paese. Dietro di me marciavano due altri dei nostri fedelissimi, fra i quali Giovanni il capo-cuoco e, in ultimo, il mio curato, che procedeva con aria severa e meditabonda.

      "I primi tre indigeni presero a sinistra; io, senza alcuna esitazione, presi a destra. Perché? Ancora non so spiegarmelo. Era la prima volta che io capitavo da quelle parti e non avevo alcuna idea dell'orientamento. Mi sentii come inspiegabilmente spinto verso destra.

      "Pochi passi, e subito la voce degli indigeni, sorpresi, mi richiamava sul retto sentiero. A quella voce corale si aggiunse, con tono che non ammetteva repliche, quella del mio curato:

     "- Hei! Dove te ne vai… Quello è un vicolo cieco. Devi prendere a sinistra.

      "Non risposi e continuai il cammino più in fretta. Il mio curato rincarò la dose:

      "- Sei impazzito? Ti dico che devi andare a sinistra. Vorrai ammettere che la strada la conosco meglio di te… Di là vai a perderti chissà dove. Andiamo, non fare lo stupido, vieni indietro…

      "- Piàntala, gridai verso il mio curato. Lasciami in pace. Vado dove mi pare…

      "I termini che usai erano forti. Il mio curato non se la prese troppo e completamente sbalordito dalle mie maniere (pensò forse ad un colpo di sole) sui mise a corrermi dietro, inquieto e brontolando che non la finiva più. Io seguivo irresistibilmente la mia via verso l'ignoto.

      "Mi fermai poco dopo. Lungo il sentiero c'era un piccolo riparo di foglie, basso e come affogato nel sottobosco. Mi avvicinai e, sollevato un pugno di foglie, scorsi nella penombra, disteso su una bracciata di sterpi, un vecchio papuano il cui corpo, completamente nudo e tutto rugoso e incartapecorito, somigliava a uno scheletro. Sollevò gli occhi cisposi verso il cono di luce che aveva rotto l'oscurità nella quale giaceva, mi guardò e con la bocca sdentata accennò ad un sorriso. Mormorò anche alcune parle che io non sentii bene e che, d'altra parte, non avrei potuto capire, perché ancora non conoscevo la lingua.

     "- Olà, dolcissimo curato del mio cuore, vieni un po' a vedere qui…

     "L'interpellato sopraggiunse, tutto fumante d'indignazione e di sudore.

      "- Guarda, gli dissi sorridendo.

     "Guardò attraverso l'apertura da me sollevata, e la sua collera sfumò di colpo.

      "- All'anima! Questa è grossa davvero e non me l'aspettavo.

      "S'introdusse, strisciando, sotto il miserabile riparo, si curvò sul vecchio che, lo si vedeva, stava morendo e stette ad ascoltarlo. Dopo poco venne fuori.

      "- Gli Angeli mi hanno giuocato un bel tiro, mi disse laconicamente. Questo povero vecchio è di un villaggio vicino ad Inaye, dove noi siamo diretti. Là sono ancora pagani… ma gliene devo dire quattro…

   "E le narici del mio curato fremettero e gli occhiali lanciarono dardi infuocati, come sempre gli capita, nei momenti climaterici.

      "- Ma perché?… Che cosa fa qui questo vecchio?

      "- Ce l'hanno portato, per farcelo morire. Era vecchio e troppo incomodo per i suoi parenti. Sono quattro giorni che è qui, senza cibo e senza più vedere nessuno. Questa capanna era già la sua tomba. Appena m'ha visto, m'ha detto:'t'aspettavo… dammi il battesimo, perché me ne vado da nostro Padre Iddio.' E bada, che non sapeva niente della nostra visita ad Inaye. Forse, qualche volta mi ha sentito parlare delle cose di Dio, ma io non l'ho mai notato e nessuno mi ha parlato di lui. Povero vecchio!…

      "- È  un uomo in buona fede…te lo ripeto: gli Angeli mi hanno giuocato un bel tiro…

      "Mi guardò, scuotendo il capo, e soggiunse:

      "- Non so come abbiano fatto a servirsi di te… Be', sono affari che riguardano loro. Ad ogni modo, prepara il necessario per il battesimo, mentre io darò una prima ed ultima istruzione a questo regalo del Cielo. Non ne ha più per molto da stare in questo mondo. Cerca anche di preparare qualche cosa di caldo e di riconfortante, per sostenerlo prima che muoia…

      "Di nuovo il mio curato strisciò verso il vecchio che, con affetto dolce e rassegnato, gli prese le mani fra le sue.

      "Mentre mi affaccendavo fra i sacchi, essi parlarono insieme. A tutto quel che il mio curato diceva, il vecchio rispondeva: 'Sì, lo so…' con un sorriso calmo e radioso.

      "Così ebbi la gioia di ammministrare uno dei miei primi battesimi papuani. Il vecchio Pietro - lo chiamai così in onore del principe degli Apostoli - morì meno di un quarto d'ora dopo, fra le braccia del mio curato.

      "Sul suo viso era rimasto diffuso un sorriso calmo e radioso…"

La conclusione di André Dupeyrat è che, specialmente in luoghi lontani dalla cosiddetta "civiltà", non si può dubitare della realtà della presenza soprannaturale, sia benefica che malefica.

      "Si può facilmente ammettere che in un paese primitivo, come la Papuasia, il Principe delle tenebre infierisca più apertamente che altrove, giacché questa terra è una delle rare contrade del mondo, nelle quali regni ancora il paganesimo più grossolano e brutale.

       "Io credo anche, alla luce della dottrina cristiana, che ogni uomo è affidato ad un Angelo Custode. Sono stato troppe volte aiutato e protetto da questo Amico invisibile, per non riconoscere la sua gentile tutela. Più di una volta, specialmente nella mia avventurosa vita pauana, mi ha salvato la vita. E troppe volte sono stato guidato, in modo straordinario, presso pagani moribondi, per non condividere l'opinione di S. Tommaso d'Aquino, il quale insegna che Iddio, per salvare un pagano in buona fede e di buoni costumi naturali, può anche inviare un Angelo dal cielo…

     "C'è da dire soltanto che Iddio non sempre manda gli Angeli." (4)

Tornando all'episodio del vecchio abbandonato a morire nella foresta, il lettore si sarà accorto che non si tratta di un solo "miracolo", ma di un vero e proprio intreccio di circostanze di tipo miracoloso o, comunque, soprannaturale. Le ricapitoliamo brevemente: 1) l'inspiegabile "ispirazione" di allontanarsi dal sentiero battuto da parte di Dupeyrat, e la perseveranza in quello che i suoi compagni gli segnalavano come un errore, fino al ritrovamento del morente; 2) l'attesa, da parte di quest'ultimo, dei missionari, che aspettava con fiducia e certezza, pur non essendo affatto a conoscenza (almeno per vie "normali") della loro presenza in quei luoghi remoti; 3) il suo ardente desiderio di ricevere il battesimo, benchè egli non fosse un frequentatore dei missionari ed essi, anzi, non ricordassero di averlo mai veduto; 4) la sua lucidità, mansuetudine e dolcezza di fronte alla morte imminente, e la sua convinzione di giungere presto al cospetto di Dio, nonché l'assenza di ogni atteggiamento di rancore nei confronti dei parenti che lo avevano abbandonato: tutte cose piuttosto singolari in un "pagano" che, nella migliore delle ipotesi, avrà forse colto qualche parola da lontano sulla religione cristiana; 5) il fatto che i sacerdoti abbiano potuto impartirgli una rapidissima istruzione cristiana e quindi battezzarlo, secondo il suo desiderio, appena pochi minuti prima della sua morte, dopo che il vecchio languiva nella fatale capanna da quattro giorni e quattro notti: come se l'incrollabile convinzione che il suo desiderio (umanamente impossibile) gli avesse dato la forza di rimanere in vita giusto il tempo necessario per vederlo realizzato.

Certo, quasi tutti da bambini abbiamo imparato che esiste al nostro fianco una presenza benefica, un Angelo Custode di cui ci è stata insegnata anche la preghiera; ma poi, crescendo (per parafrasare San Paolo alla rovescia) abbiamo smesso di pensare da bambini, per imparare a pensare da uomini (5 ). Crescendo, ci siamo convinti che una tale credenza è ingenua, puerile, irrazionale; che l'Angelo Custode non è che una proiezione del freudiano Super-Io, o comunque una invenzione consolatoria in cui facciamo vivere la parte fantastica di noi stessi: come il bambino che, troppo solo, si crea un compagno di giochi immaginario. Gli storici, poi, ci hanno informati che la credenza negli Angeli e nei Dèmoni è penetrata nel giudaismo attraverso la mediazione persiana, durante l'esilio del popolo ebreo in Babilonia; e, di lì, è passato poi nel cristianesimo. Già, forse. Ma allora, chi o che cosa ha "guidato" il missionario cattolico fino alla capanna ove agonizzava quel povero vecchio papuano? Chi o che cosa lo ha tenuto in vita, nella ferma certezza che quei sacerdoti sarebbero arrivati e che gli avrebbero somministrato il battesimo? Che nome dare a questi fatti inesplicabili per la pura ragione? È "ragionevole", davanti a un qualcosa di inesplicabile, scartare a priori la spiegazione più semplice e persuasiva, solo perché ci vergognamo - adulti e sapienti come siamo - di riconoscere che, da questo punto di vista, sapevamo più cose quando eravamo bambini, perché accettavamo con fede la presenza concreta del soprannaturale nelle nostre vite?

Del resto, tutto il fatto religioso è di ordine soprannaturale; non soltanto là dove esso si manifesta in violazione delle leggi fisiche a noi note. Ed è necessario accostarvisi con la necessaria umiltà, perché molte cose sfuggono alla nostra indagine, che sono chiare e aperte al cospetto di Dio. "Vi è dunque, del soprannaturale, anche una dispensazione occulta al nostro conoscere, ch'Egli si è riservata: l'Amore infinito ha i suoi segreti. E le vie ch'esso segue o nei cuori degli uomini o nelle disposizioni delle vicende esterne, in mezzo a cui procede, incerta degli eventi, l'umanità, sono vie troppo più alte che i pensieri anche più tormentati delle nostre piccole menti e dei nostri piccoli cuori." (6)

 

NOTE

 

1)      CANNIZZARO, Aurelio, Con i primitivi delle Mentawai, Parma, I.S.M.E., Edizioni Missionarie, 1959, p. 153.

2)      SARTORI, Luigi, La "Lumen Gentium", Padova, Ediz. Il Messaggero, 1994, pp. 139-140.

3)      DUPEYRAT, André, 21 ans chez les Papous, Paris, 1952; tr. it. Milano, Massimo, 1956, spec. pag. 160 sgg.

4)      DUPEYRAT, pp. 185-188; 184.

5)      Epistola Prima ai Corinzi, XIII, 11-12: "Da bambino parlavo come un bambino; come uno di loro pensavo e ragionavo. Poi, diventato uomo, ho smesso di fare così."

6)      BOZZETTI, Giuseppe, in Il Soprannaturale (a cura di Antonio Piolati), Torino, Marietti, 1960, p. 716.