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Romanico, lo stile del Mediterraneo

di Enrica Pagella - 14/05/2008

  
Enrica Pagella illustra la mostra sulla cultura del Romanico, curata da Manuel Castiñeiras e Jordi Camps a Barcellona, che propone una visione del romanico catalano come il risultato degli scambi culturali fra la Spagna, la Francia e l’Italia durante il XII secolo.
Le 126 opere della mostra provengono in gran parte da Barcellona, Toulouse e Pisa, tre dei centri maggiormente toccati dall’espansione delle attività economiche e commerciali contemporanea alla diffusione del romanico in Europa. Uno degli obiettivi della mostra, secondo Pagella, è quello di evidenziare come il recupero della classicità romana, simbolo dell’identità e della grandezza del passato in quelle regioni, costituisca la linfa vitale per la nascita e lo sviluppo del romanico.


Che cos’è il Mediterraneo? Mille cose insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre». Queste parole di Fernand Braudel sono utili a delineare l’orizzonte della bella e coraggiosa mostra di 126 opere curata da Manuel Castiñeiras e Jordi Camps. Che cos’è il Romanico catalano? Non uno stile regionale, ma la somma e l’intersezione di più stili regionali. Non un linguaggio, ma il risultato di un dialogo tra linguaggi che si incontrano nei decenni centrali del XII secolo tra Spagna, Francia e Italia. Con un atto di rigorosa fedeltà alla storia, anche la mostra è il risultato di scambi e di dialoghi tra esperti e musei di tre grandi regioni europee impegnate a tracciare i confini di una geografia culturale che unisce i Pirenei alle coste della Toscana e ponendo al centro la storia di tre luoghi propulsori del Medioevo occidentale: Barcellona, Toulouse e Pisa. Gli anni sono quelli cruciali della formazione e dell’espansione del regno di Aragona sotto la guida di Ramon Berenguer IV (1131-1162) e di suo figlio Alfonso II, detto il Casto (1162-1196). La crescita delle attività economiche e dei commerci accompagna lo sviluppo di una nuova arte monumentale ancora oggi testimoniata da grandi complessi abbaziali come quello di Santa Maria di Ripoll e di Sant Pere de Rodes e da grandi edifici di culto richiamati nel percorso attraverso un’attenta selezione di testimonianze figurative [...].
Nuove figure di artisti, spesso organizzati in forma di botteghe itineranti, danno corpo a linguaggi inediti, che innestano elementi di derivazione locale in una sintassi fatta di tecniche e di formule che si ripetono da un capo all’altro dell’Europa. Una delle chiavi di interpretazione che la mostra pone alla base di questi processi è il recupero dell’antico, ancora presente nelle città dei domini imperiali romani come segno vitale di identità e di grandezza del proprio passato. Il capitello corinzio del I secolo, da Tarragona, che apre l’itinerario e i due sarcofagi del IV secolo provenienti da Toulouse ne danno una testimonianza eloquente, offrendo al visitatore un quadro dinamico di confronti diretti con le interpretazioni del XII secolo. È questo il terreno comune che rende possibile il dialogo a distanza tra gli artisti, uniti ora anche dalla fitta rete di vincoli che legano le comunità monastiche e i centri posti sulle grandi vie di pellegrinaggio. Dalla schiera infinita di anonimi scultori a cui dobbiamo la civiltà del Romanico europeo emergono due figure emblematiche. La prima è quella del tolosano Gilabertus [...]. La mostra documenta la sua attività con un importante nucleo di opere provenienti da Saint-Sernin e da Saint-Etienne di Toulouse, sculture che indicano da un lato l’influenza del suo messaggio sul cantiere attivo a Ripoll, dall’altro la forza del suo esempio per uno dei più affascinanti protagonisti della koinè mediterranea, il Maestro di Cabestany, in cui il gusto per l’antico si intreccia ad una vena un po’ visionaria, per molti aspetti vicina a quella dei frescanti catalani. Il suo nome deriva dal timpano con l’Assunzione della Vergine rinvenuto a Cabestany, un piccolo centro dei Pirenei orientali, da cui è partita la ricostruzione della sua personalità. Dalla zona pirenaica (portale di Sant Pere di Rodes) questo anonimo scultore si spostò con la sua bottega in Toscana, e, forse seguendo il richiamo di committenze benedettine, lavorò a Prato, a Sant’Antimo, a San Giovanni in Sugana.
L’ultima parte della mostra, che i curatori definiscono, suggestivamente, «Vestir las Iglesias», è dedicata agli arredi di culto, con una una splendida serie di fronti d’altare istoriati, suppellettili, manoscritti miniati, pitture e sculture, tra cui dominano le immagini del Crocefisso e le Madonne in trono, che ripropongono l’antica iconografia della “Sedes Sapientiae”.
[...] I molti restauri realizzati per questa occasione consentono di apprezzare la finezza dei particolari, l’ampio uso del trapano per accentuare gli effetti di chiaroscuro e soprattutto la varietà dei materiali, che corrisponde, anch’essa, alle mille culture del Mediterraneo: oltre alla pietra calcarea, il marmo bianco, spesso ricavato dal reimpiego di monumenti antichi e materia prediletta dal Maestro di Cabestany; il marmo rosa dei Pirenei, l’alabastro, l’onice delle cave senesi. Chiude la mostra una spettacolare riproduzione in 3D del portale di Santa Maria di Ripoll, ricreato in tutta la ricchezza del suo corredo scultoreo grazie alla collaborazione tra il Museo, l’Università della Catalogna e il CNR di Pisa.