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Selezione di pensieri pasoliniani

di Noreporter.org - 23/01/2006

Fonte: Noreporter.org

 

Un solo rudere…
(da “Poesia in forma di rosa” 1962)


Io sono una forza del Passato.
Solo nella tradizione è il mio amore.
Vengo dai ruderi, dalle Chiese,
dalle pale d'altare, dai borghi
dimenticati sugli Appennini o le Prealpi,
dove sono vissuti i fratelli.
Giro per la Tuscolana come un pazzo,
per l'Appia come un cane senza padrone.
O guardo i crepuscoli, le mattine
su Roma, sulla Ciociaria, sul mondo,
come i primi atti della Dopostoria,
cui io assisto, per privilegio d'anagrafe,
dall'orlo estremo di qualche età
sepolta. Mostruoso è chi è nato
dalle viscere di una donna morta.
E io, feto adulto, mi aggiro
più moderno d'ogni moderno
a cercare i fratelli che non sono più

Da: “Ragazzi di vita”

Attraversarono così, uno davanti e uno dietro, Campo de’ Fiori, ormai silenzioso, e per Largo Argentina e Via Nazionale andarono su verso la Stazione Termini e, dopo una mezz’oretta di tappe forzate, ci arrivarono.

“S’attaccamo qua?” fece sordamente Arduccio.

“Più giù, è mejo” disse il Begalone con la faccia allungata e gialla per la stanchezza.

S’attaccarono più giù al 9, davanti alla Caserma Macao.

Il Begalone era allegro. Attaccato al respingente, s’era messo a cantare alla strapazzosa:

“Zoccoletti, Zoccoletti…”.

Se poi per caso qualche passante voltava gli occhi su di lui, lo prendeva subito di petto:

“Che te guardi?”

Faceva, oppure, secondo i tipi o la corsa del tram:

“A capò, sto attaccato ar tranve, embè?”

O se era un giovanotto:

“A moré? Che me ‘i presti te, du’ scudi,?”

E se poi era una fardona:

“Quanto sei bbona”

E preso dall’entusiasmo, cominciava a cantare più forte:

“Zoccoletti, Zoccoletti…”.

“ E falla finita” gli diceva serio Alduccio

“Fa’ direttamente ‘na telefonata alla mobile che te vengono a pijà: ce sta un fijio de ‘na mignatta attaccato ar tranve, ar numero nove”

“Sai quanto cazzo me ne frega se me portano a bottega: che casa mia è mejo?”

Fece il Begalone riattaccandosi con un salto al respingente.

La poesia della tradizione
(Pier Paolo Pasolini 1971 - da Trasumanar e organizzar )

Oh generazione sfortunata!
Cosa succederà domani, se tale classe dirigente—
quando furono alle prime armi
non conobbero la poesia della tradizione
ne fecero un'esperienza infelice perché senza
sorriso realistico gli fu inaccessibile
e anche per quel poco che la conobbero, dovevano dimostrare
di voler conoscerla sì ma con distacco, fuori dal gioco.
Oh generazione sfortunata!
che nell'inverno del '70 usasti cappotti e scialli fantasiosi
e fosti viziata
chi ti insegnò a non sentirti inferiore —
rimuovesti le tue incertezze divinamente infantili —
chi non è aggressivo è nemico del popolo! Ah!
I libri, i vecchi libri passarono sotto i tuoi occhi
come oggetti di un vecchio nemico
sentisti l'obbligo di non cedere
davanti alla bellezza nata da ingiustizie dimenticate
fosti in fondo votata ai buoni sentimenti
da cui ti difendevi come dalla bellezza
con l'odio razziale contro la passione;
venisti al mondo, che è grande eppure così semplice,
e vi trovasti chi rideva della tradizione,
e tu prendesti alla lettera tale ironia fintamente ribalda,
erigendo barriere giovanili contro la classe dominante del passato
la gioventù passa presto; oh generazione sfortunata,
arriverai alla mezza età e poi alla vecchiaia
senza aver goduto ciò che avevi diritto di godere
e che non si gode senza ansia e umiltà
e così capirai di aver servito il mondo
contro cui con zelo «portasti avanti la lotta»:
era esso che voleva gettar discredito sopra la storia — la sua;
era esso che voleva far piazza pulita del passato — il suo;
oh generazione sfortunata, e tu obbedisti disobbedendo!
Era quel mondo a chiedere ai suoi nuovi figli di aiutarlo
a contraddirsi, per continuare;
vi troverete vecchi senza l'amore per i libri e la vita:
perfetti abitanti di quel mondo rinnovato
attraverso le sue reazioni e repressioni, sì, sì, è vero,
ma sopratutto attraverso voi, che vi siete ribellati
proprio come esso voleva, Automa in quanto Tutto;
non vi si riempirono gli occhi di lacrime
contro un Battistero con caporioni e garzoni
intenti di stagione in stagione
né lacrime aveste per un'ottava del Cinquecento,
né lacrime (intellettuali, dovute alla pura ragione)
non conosceste o non riconosceste i tabernacoli degli antenati
né le sedi dei padri padroni, dipinte da
—e tutte le altre sublimi cose
non vi farà trasalire (con quelle lacrime brucianti)
il verso di un anonimo poeta simbolista morto nel
la lotta di classe vi cullò e vi impedì di piangere:
irrigiditi contro tutto ciò che non sapesse di buoni sentimenti
e di aggressività disperata
passaste una giovinezza
e, se eravate intellettuali,
non voleste dunque esserlo fino in fondo,
mentre questo era poi fra i tanti il vostro dovere,
e perché compiste questo tradimento?
per amore dell'operaio: ma nessuno chiede a un operaio
di non essere operaio fino in fondo
gli operai non piansero davanti ai capolavori
ma non perpetrarono tradimenti che portano al ricatto
e quindi all'infelicità
oh sfortunata generazione
piangerai, ma di lacrime senza vita
perché forse non saprai neanche riandare
a ciò che non avendo avuto non hai neanche perduto:
povera generazione calvinista come alle origini della borghesia
fanciullescamente pragmatica, puerilmente attiva
tu hai cercato salvezza nell'organizzazione
(che non può altro produrre che altra organizzazione)
e hai passato i giorni della gioventù
parlando il linguaggio della democrazia burocratica
non uscendo mai della ripetizione delle formule,
ché organizzar significar per verba non si poria,
ma per formule sì,
ti troverai a usare l'autorità paterna in balia del potere
imparlabile che ti ha voluta contro il potere,
generazione sfortunata!
Io invecchiando vidi le vostre teste piene di dolore
dove vorticava un'idea confusa, un'assoluta certezza,
una presunzione di eroi destinati a non morire —
oh ragazzi sfortunati, che avete visto a portata di mano
una meravigliosa vittoria che non esisteva!

 

 

Discorso sul calcio, 1972

 

«Il calcio è l'ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l'unica rimastaci.

 

«[…] Il football è un sistema di segni, cioè un linguaggio. Esso ha tutte le caratteristiche fondamentali del linguaggio per eccellenza, quello che noi ci poniamo subito come termine di confronto, ossia il linguaggio scritto-parlato. 

Infatti le “parole” del linguaggio del calcio si formano esattamente come le parole del linguaggio scritto-parlato. Ora, come si formano queste ultime? Esse si formano attraverso la cosiddetta “doppia articolazione” ossia attraverso le infinite combinazioni dei “fonemi”: che sono, in italiano, le 21 lettere dell’alfabeto. 

I “fonemi” sono dunque le “unità minime” della lingua scritto-parlata. Vogliamo divertirci a definire l’unità minima della lingua del calcio? Ecco: “Un uomo che usa i piedi per calciare un pallone” è tale unità minima: tale “podema” (se vogliamo continuare a divertirci). Le infinite possibilità di combinazione dei “podemi” formano le “parole calcistiche”: e l’insieme delle “parole calcistiche” forma un discorso, regolato da vere e proprie norme sintattiche. 

I “podemi” sono ventidue (circa, dunque, come i fonemi): le “parole calcistiche” sono potenzialmente infinite, perché infinite sono le possibilità di combinazione dei “podemi” (ossia, in pratica, dei passaggi del pallone tra giocatore e giocatore); la sintassi si esprime nella “partita”, che è un vero e proprio discorso drammatico. 

I cifratori di questo linguaggio sono i giocatori, noi, sugli spalti, siamo i decifratori: in comune dunque possediamo un codice. 

Chi non conosce il codice del calcio non capisce il “significato” delle sue parole (i passaggi) né il senso del suo discorso (un insieme di passaggi). 

Ci sono nel calcio dei momenti che sono esclusivamente poetici: si tratta dei momenti del “goal”. Ogni goal è sempre un’invenzione, è sempre una sovversione del codice: ogni goal è ineluttabilità, folgorazione, stupore, irreversibilità. Proprio come la parola poetica. Il capocannoniere di un campionato è sempre il miglior poeta dell’anno.

Anche il “dribbling” è di per sé poetico (anche se non “sempre” come l’azione del goal).

«Ho passato pomeriggi interi a giocare a pallone sui Prati di Casarsa.
Giocavo anche sei-sette ore di seguito. Giocavo all’ala destra
e i miei amici
mi chiamavano lo “Stukas”, per la mia precisione al tiro. Quegli anni sono stati indubbiamente

i più belli della mia vita.

 

Senza cinema, senza scrivere, mi sarebbe piaciuto diventare un bravo calciatore. Dopo la letteratura e l’eros, per me il football è uno dei grandi piaceri.

Discorso sull’aborto, 1974

 

Io sono traumatizzato dalla legalizzazione dell’aborto, perché lo considero, come molti, una legalizzazione dell’omicidio.

 

Nei sogni e nel mio comportamento quotidiano, io vivo la mia vita prenatale, la mia felice immersione nelle acque materne: so che là, io ero esistente.

 

Mi limito a dire questo perché dire che la vita è sacra è ovvio: è un principio più forte ancora di ogni principio di democrazia e ripeterlo mi sembra inutile.

 

La prima cosa che invece vorrei dire è questa: a proposito dell’aborto, è il primo e l’unico caso in cui tutti i progressisti democratici più puri e rigorosi, si appellano alla realpolitik e quindi ricorrono alla prevaricazione cinica dei dati di fatto e del buon senso.

 

Io so che la maggioranza è già tutta, potenzialmente, per l’aborto. L’aborto legalizzato è, infatti, una enorme comodità per la maggioranza. Soprattutto perché renderebbe ancora più facile il coito – l’accoppiamento eterosessuale a cui non ci sarebbero praticamente più ostacoli.

 

Ma questa libertà del coito della “coppia” così come è concepita dalla maggioranza, da chi è tacitamente voluta, tacitamente promulgata e tacitamente fatta entrare, in modo ormai irreversibile, nelle abitudini?

 

Dal potere dei consumi.

 

Esso – il potere dei consumi – si è impadronito delle esigenze di libertà, diciamo così, liberali e progressiste e, facendole sue, le ha vanificate, ha cambiato loro natura.

 

Oggi, la libertà sessuale della maggioranza è, in realtà, una convenzione, un obbligo, un dovere sociale, un’ansia, una caratteristica irrinunciabile della qualità di vita del consumatore.

 

Insomma, la falsa liberalizzazione del consumatore, ha creato una situazione altrettanto e forse più insana che quella dei tempi di povertà.

 

Infatti:

 

Primo: la libertà sessuale regalata dal potere è una vera e propria ossessione.

 

Secondo: tutto ciò che è sessualmente diverso è invece ignorato e respinto, con una violenza pari solo a quella dei lager nazisti.

 

Ora, tutti - dico : tutti  - quando parlano dell’aborto, omettono di parlare di ciò che logicamente lo precede: il coito…  

 

Dunque, non si può parlare politicamente in concreto dell’aborto senza considerare come politico il coito.

 

 

Prima dell’universo del parto e dell’aborto c’è, infatti, l’universo del coito: ed è l’universo

del coito a condizionare l’universo del parto e dell’aborto. Chi si occupa politicamente

dell’universo del parto e dell’aborto non può considerare come ontologico – e, quindi, privato - l’universo del coito se non a patto di essere qualunquistico e meschinamente realistico.

 

Senonché, senonché… nell’ultimo decennio è intervenuta la civiltà dei consumi, cioè un nuovo potere falsamente tollerante che ha rilanciato in scala enorme la coppia, privilegiandola di tutti i diritti del suo conformismo.

 

A tale potere, però, non interessa una coppia creatrice di prole (proletaria) ma una coppia consumatrice (piccolo borghese): in pectore essa ha già, dunque l’idea della legalizzazione dell’aborto.

 

Non mi risulta che gli abortisti, abbiano messo in discussione tutto questo.

 

Mi risulta, invece, che ne accettino la sua totale istituzionalità, irremovibile e naturale.

 

La mia opinione è invece questa: Anziché lottare contro la società che condanna repressivamente l’aborto, bisogna lottare contro tale società sul piano della causa dell’aborto, cioè: del coito.

 

C’è, in altre parole da lottare contro quella retroguardia che impedisce tutta una serie di liberalizzazioni al coito: anticoncezionali, pillole, tecniche amatorie diverse, una diversa moralità dell’onore sessuale.

 

Tutto ciò è utopistico? È folle pensare che dalla televisione si reclamizzino diverse tecniche amatorie?

 

Infine: molti – privi della virile e razionale capacità di comprensione – accuseranno questo mio intervento di essere personale, particolare, minoritario. Ebbene?

 

Discorso sulle stragi, 1975 (da: Scritti corsari)

Io so. Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato golpe. 

Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969. 

Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974. 

Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, gli "ignoti" autori materiali delle stragi più recenti. 

Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969), e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974).

Io so i nomi del gruppo di potenti che, con l'aiuto della Cia  hanno prima creato  una crociata anticomunista, a tamponare il 1968, e, in seguito, sempre con l'aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista…

Io so i nomi di coloro che, tra una messa e l'altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali, per creare in concreto la tensione anticomunista prima, e per creare subito dopo la successiva tensione antifascista. 

Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici come quel generale della Forestale o a dei personaggi grigi e puramente organizzativi come il generale Miceli. 

Io so tutti questi nomi e so tutti questi fatti di cui si sono resi colpevoli.

Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.

Io so

perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace;

Io sono un intellettuale che coordina fatti anche lontani, che rimette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero.

Da: Una disperata vitalità

 

Il canale del porto di Fiumicino

sono come un gatto bruciato vivo,
pestato dal copertone di un autotreno,
impiccato da ragazzi a un fico,

ma con ancora almeno sei
delle sue sette vite,

come un serpe ridotto a poltiglia di sangue
un’anguilla mezza mangiata

le guance cave sotto gli occhi abbattuti,
i capelli orrendamente diradati sul cranio
le braccia dimagrite come quelle di un bambino
un gatto che non crepa, Belmondo
che “al volante della sua Alfa Romeo”
nella logica del montaggio narcisistico
si stacca dal tempo, e v’inserisce
se stesso:
in immagini che nulla hanno a che fare
con la noia delle ore in fila…
col lento risplendere a morte del pomeriggio…

La morte non è
nel non poter comunicare
ma nel non poter più essere compresi.