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L’allargamento degli insediamenti significa la rimozione dei palestinesi dalla loro terra

di Ahmad Jaradat - 19/05/2008



Gli abitanti palestinesi di un piccolo affollato villaggio nella Cisgiordania meridionale, a nordest di Hebron, sono stati recentemente minacciati dalle autorità israeliane di veder demoliti 32 edifici, compreso un ambulatorio medico ancora  in costruzione. I residenti del villaggio stanno diventando rapidamente sempre più poveri e rischiano di perdere le loro case, creando così spazio per l’allargamento degli insediamenti israeliani nonché per la costruzione della circonvallazione stradale 60.

Oltre le terre confiscate per la costruzione della circonvallazione stradale 60, le autorità israeliane hanno individuato un’ulteriore “zona cuscinetto” di 180 metri dell’altra parte della strada, sulla quale i palestinesi non possono costruire, benché di loro proprietà.

La valle di Baqa’a , dove sorge il villaggio, è una bella e fertile zona situata ad est di Hebron, circa mezz’ora di cammino dal centro della città. Nel villaggio abitano circa 60 famiglie palestinesi, compresi molti rifugiati del 1948. Gli abitanti sono principalmente agricoltori, coltivatori di vigneti, frutteti e vecchi oliveti. Laddove il terreno è troppo roccioso e scosceso per le coltivazioni e pecore e capre pascolano liberamente tra le case.

Nel 1968, a seguito della conquista militare israeliana della Cisgiordania e della striscia di Gaza, arrivò ad Hebron un primo gruppo di ebrei israeliani, che si trasferì nella vicina base militare ad est di Hebron, attuale insediamento di Kiryat Arba. Questo insediamento a sud della valle di Baqa’a, a pochi metri dalla case palestinesi, è oggi il più grande in quest’area di oltre 7mila abitanti. A nord della valle, c’è l’insediamento di  Givat Haharsina. Tra questi due insediamenti, tagliando in due la valle, c’è la circonvallazione stradale 60, costruita nel 1996 su di un’asse nord-sud ad est di Hebron al fine di collegare gli insediamenti a Gerusalemme, conosciuta per i frequenti assembramenti e marce di protesta dei coloni. La strada 60, costruita su terreno palestinese confiscato utilizzato precedentemente per coltivazioni di vigneti ed oliveti, è oggi interdetta agli agricoltori.

La maggior parte degli abitanti degli insediamenti di questa zona è motivata più da una ideologia e da una fede religiosa che da incentivi economici. Credono fortemente nella missione divina di “vivere l’ebraismo in terra giudea”.

A seguito dell’accordo di Oslo, l’area è stata classificata come Area C (sotto il totale controllo israeliano dell’amministrazione e della sicurezza). Ciò significa che l’amministrazione comunale locale palestinese deve rivolgersi all’amministrazione civile israeliana per chiedere l’autorizzazione a fornire servizi ai residenti nonché permessi edilizi. L’amministrazione civile israeliana ha sempre rifiutato i permessi edilizi ai palestinesi, inclusi quelli per ambulatori medici, nonostante le difficoltà che i residenti affrontano per raggiungere le strutture sanitarie. Tutto ciò viene svolto in accordo con la politica di governo israeliano sull’allargamento degli insediamenti nonché sull’allontanamento dei residenti locali dai loro terreni.

Inoltre, i permessi per la fornitura di servizi sono sempre pronti. In questo modo i residenti sono tassati per servizi che mai riceveranno.

Dal 1980, quando l’insediamento di Kiryat Arba cominciò ad espandersi,  gli abitanti di Baqa’a hanno vissuto molte più difficoltà causate dalla vicinanza con questi insediamenti: confisca dei terreni, vessazioni, demolizioni delle abitazioni. Negli ultimi 12 anni, circa 30 edifici sono stati demoliti dalla autorità israeliane.  L’Israeli Committee Against House Demolition (Icahd, Comitato Israeliano contro la Demolizione delle Case) ne ha ricostruite sei, tre delle quali sono state distrutte un’altra volta e le restanti tre hanno ricevuto già l’ordine di demolizione.
Atta Jaber, un residente della valle di Baqa’a, ci ha raccontato la sua storia. E la sua è la storia di dozzine dei famiglie che vivono lì.

Nato nella valle, a 60 metri dalla sua nuova casa, ha passato tutta la sua infanzia qui. Aveva 10 anni quando fu occupata l’area. La maggior parte dei suoi amici e parenti se ne sono andati ad Hebron o ad Amman quando iniziarono le proteste e perse la sua terra per l’allargamento degli insediamenti e della circonvallazione stradale. Senza terra, lavoro e permessi edilizi, pensarono che partire per un altro luogo fosse la loro unica possibilità di condurre una vita decente.

Atta Jaber ha lavorato per molti anni in Israele per poter guadagnare abbastanza denaro per sposarsi e costruire la sua casa sulla terra che era appartenuta alla sua famiglia per molte generazioni. Si è sposato durante la trattativa di Oslo, quando molti palestinesi festeggiavano la pace imminente e la fine dell’occupazione. Nel 1993, durante le negoziazioni per la pace ad Oslo, ricevette un ordine dall’amministrazione civile israeliana di interruzione dei lavori per la sua casa, con il quale gli veniva comunicato che le negoziazioni venivano percepite dagli israeliani ancora a terra e non erano nulla più di una farsa. Durante questo periodo, vennero consegnati 60 ordini di demolizione ad altrettante famiglie nella valle. In quelle case abitavano 442 persone.

Secondo Atta Jaber, il comune di Hebron sollevò il caso dinnanzi all’allora Presidente palestinese Yasser Arafat in persona, che si trovava al Cairo per negoziare con Primo Ministro israeliano di allora Yitzhak Rabin. Questi raggiunsero un accordo per la revoca degli ordini di demolizione. Ma nel 1996, lo stesso funzionario israeliano emise nuovi ordini di demolizione per tutti quegli edifici che erano stati destinatari in precedenza degli stessi ordini.

Atta Jaber venne arrestato allora con l’accusa di lavorare in territorio israeliano. Venne rilasciato solo dopo aver pagato una multa di 400 dollari. Nel febbraio 1997, i bulldozer israeliani arrivarono alla casa di Atta, causando danni al terreno agricolo. A marzo ricevette un ordine immediato di abbandono della casa entro due ore, ma i bulldozer non arrivarono. Giunsero invece un anno dopo per demolire la sua casa. Quel giorno, 81 residenti vennero feriti durante gli scontri con le forze militari israeliane. I soldati israeliani avevano l’ordine di sparare a tutti coloro che si fossero opposti alle demolizioni.

Tre giorni dopo, con l’aiuto di tutti gli abitanti di Baqa’a e dell’Icahd, Atta Jaber ricostruì la sua seconda casa. Grazie ad amici israeliani, il suo caso giunse sul tavolo dell’allora Primo Ministro Benjamin Netanyahu. Secondo fonti, il primo ministro firmò un accordo che concedeva a Atta Jaber un permesso edilizio retroattivo  ma solo dopo 27 giorni, 140 soldati entrarono nella sua proprietà per demolire ancora una volta la sua casa. Dopo essere stato percosso, Jaber venne arrestato una seconda volta, lasciando soli a casa sua moglie e quattro figli in una tenda. Chiese al funzionario di occuparsi dei suoi figli senza casa. Durante il processo,  l’accusa chiese che fosse trattenuto in stato di fermo anche il figlio – era sua l’arma che aveva ferito il funzionario - dissero. Il giudice rilasciò Jaber solo quando il figlio venne portato in aula e lo stesso giudice realizzò che si trattava di un bambino di soli sei mesi . A quel punto, il caso venne dichiarato chiuso. Sei mesi dopo aver vissuto in una tenda, con l’aiuto del Centro cattolico dei diritti umani per risorse e sviluppo legali, Atta Jaber ancora una volta cominciò a costruire la sua casa per la terza volta.

Nel dicembre 2000, mentre la famiglia di Jabar ancora  viveva in una tenda , un gruppo degli insediamenti occupò la loro casa ancora in costruzione. Vennero rimossi dai soldati israeliani solo dopo molti mesi. Ad oggi, sembra che abbiano raggiunto un accordo con l’amministrazione civile israeliana per vivere lì.

Ma gli attacchi degli occupanti non si sono interrotti. Molte volte sono giunti armati, durante la notte, sparando dalle famiglie di allevatori e danneggiano i loro terreni agricoli. Ogni volta Atta Jaber ha chiamato la polizia ma questa arriva solo al termine degli assalti.

La storia della famiglia di Jaber è solo un esempio tra le centinaia di palestinesi in quest’area, tutti con gli stessi problemi e stesse condizioni. Gli occupanti di Kiryat Arba e Givat Haharsina sono responsabili di atti vandalici e violenti contro palestinesi in questa zona. Hanno rubato frutta, danneggiato cisterne d’acqua, distrutto case a schiera di pietra, rivolto i loro cani contro le capre custodite dai bambini, distrutto vigneti e lanciato sassi su case ed abitanti. Tutte queste azioni sono state portate avanti con la completa immunità da parte delle autorità israeliane.
I 32 ordini di demolizione recentemente eseguiti dall’amministrazione civile israeliana sono ora sotto processo. Ma i residenti hanno poche speranze. Hanno visto le loro case distrutte tante volte ed i permessi edilizi negati ripetutamente. Hanno smesso di chiedere autorizzazioni perché oramai è inutile.

In questa vallata, come in tutte le Aree C della Cisgiordania occupata, non è permesso una crescita naturale della popolazione palestinese. L’espandersi degli insediamenti in quest’area non sta solo interessando il futuro dei residenti della valle.
La stessa Hebron verrà limitata nel suo espandersi verso est e tutti i villaggi a nordest della città, come Sa’ir, Bane Na’eem, Adeasa e al-Shukh, che già sono staccato dalla città a causa della strada 60, al fine di impedirne loro l’utilizzo, soffriranno un maggiore isolamento. E questo isolamento inevitabilmente inciderà sulla vita sociale, economica e culturale delle persone che lì vivono.

Al Baqa’a paga il prezzo dei “negoziati di pace”

La storia della valle di Baqa’a evidenzia con forza i risultati di ogni singola così chiamata negoziazione di pace ed i sentimenti dei palestinesi in questo contesto.

Durante il processo di Oslo, vennero emanate 60 ordini di demolizione in questa zona ed ora, colo pochi mesi dopo la conferenza di Annapolis e la promessa di congelare l’allargamento degli insediamenti, ulteriori 32 ordini di demolizione pesano sui negoziati. Allo stesso tempo, il Ministro della Difesa israeliano Ehud Barak ha annunciato la costruzione di nuove abitazioni negli insediamenti di Gush Etzion, Ma’aleh Adumim, Givat Ze’ev, Ariel, Elkana ed Efrat.

Dopo che a gennaio sono state uccise 150 persone nella Striscia di Gaza Strip,  dopo gli arresti di massa nella Cisgiordania, gli ordini di demolizione e la confisca dei terreni per allargamento degli insediamenti ed il percorso del Muro, chi può ancora credere nelle negoziazioni di pace? Che accadrà nel 2008? Se le cose continuano così, ci saranno ancora altri palestinesi senza casa, altri verranno costretti a partire, altrei arrestati, altri uccisi, altri resteranno senza terra e perciò senza lavoro e sempre più poveri. Sempre più disperazione, più rabbia, più voglia di vendetta, più violenza, più guerra.

La violenza degli insediamenti nella valle non è mirata a molestare i vicini palestinesi; sembra ci sia un progetto globale del governo per l’area: vogliono che Kiryat Arba e Haharsina si sviluppino insieme per diventare un unico grande insediamento. E tutto ciò verrà fatto a spese del popolo palestinese già sofferente ed in esilio.

Alternative Information Centre
(Traduzione di Antonella Antinori per Osservatorio Iraq)

L’articolo in lingua originale