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Sudafrica: la guerra dei poveri nel nuovo apartheid

di Sabina Morandi - 21/05/2008

 
Sudafrica, la caccia all'immigrato nelle township emerge dalle macerie delle riforme economiche


E´ di 23 morti il bilancio delle rappresaglie nei sobborghi di Alexandra contro gli immigrati ...


Una sterminata baraccopoli da cui s'intravedono gli sfavillanti grattacieli di Sandton City, il quartiere più esclusivo di tutto il Sudafrica. L'inferno in terra si chiama Alexandra: mezzo milione (forse) di abitanti ammassati su ogni centimetro libero di quella che non è nient'altro che una discarica stratificata in cinquant'anni di abbandono.

E' qui che, lunedì scorso, è partita la caccia all'immigrato che poi è divampata come un incendio in tutto il Sudafrica. Una caccia particolarmente feroce - 22 morti ammazzati, alcuni bruciati vivi - che rovina l'idilliaca immagine della Nazione Arcobaleno e rischia di innescare un'escalation. Per evitarlo ieri il presidente Thabo Mbeki ha dichiarato solennemente che la polizia andrà «alle radici dell'anarchia» e «risponderà con misure adeguate», ma è difficile che basti. I più grandi sindacati del paese, insieme alla Human Rights Commission, suggeriscono addirittura di schierare l'esercito per difendere quelle migliaia di migranti provenienti dai paesi più disastrati del continente nero - Somalia, Malawi, Mozambico ma soprattutto il vicino Zimbabwe devastato dalla carestia - che in queste ore si sono rifugiati nelle chiese e nelle stazioni di polizia. Difficile infatti che i circa 300 arresti effettuati possano sedare l'incendio che sta ormai divampando nelle township di tutto il paese, dove la disoccupazione è a livelli stratosferici (ad Alexandra siamo sul 60%, contro una media nazionale del 23) e l'epidemia di Aids regna incontrastata (il 40% degli abitanti della baraccopoli è sieropositivo). Per questa gente malata, disoccupata e abbandonata a sé stessa, l'arrivo di altri profughi è semplicemente la goccia che fa traboccare il vaso, e visto che l'attacco ai grattacieli di Sandton City è impossibile - sia ideologicamente che materialmente - il capro espiatorio lo si cerca altrove.

L'esplosione delle contraddizioni sudafricane non può stupire chi quel paese lo conosce anche solo superficialmente. Meglio avrebbero fatto, Mbeki e compagni, a dare più ascolto a quelle forme di protesta organizzata - le associazioni anti-sfratto, le reti contro le privatizzazioni, le organizzazioni di sieropositivi e di contadini senza terra - che, fin dal '99, denunciano il devastante impatto delle riforme economiche e sollecitano i propri rappresentanti a tenere conto delle condizioni della popolazione. Nel 2002, il contro-vertice organizzato proprio a Johannesburg durante il summit delle Nazioni Unite, aveva condannato con forza l'apartheid economico - considerato equivalente a quello razziale - e aveva contestato le ulteriori liberalizzazioni previste dai nuovi accordi internazionali come il Nepad, di cui Mbeki è stato entusiasta sostenitore anche contro il parere della maggior parte dei governi africani.

La disillusione della grande maggioranza della popolazione sudafricana lasciata ai margini dal "miracolo economico" è dovuta in buona misura allo scellerato patto siglato dai dirigenti dell'ANC con i poteri economici dominanti nel momento della transizione, un patto sintetizzabile in una semplice formula: a voi (neri) la politica, a noi (bianchi) l'economia. L'accesso alla rappresentanza parlamentare della maggioranza nera, avvenuto senza spargimenti di sangue e con un'amnistia generale per gli ex aguzzini - in cambio delle loro testimonianze alla Commissione per la verità e la riconciliazione - non è andato di pari passo con la restituzione delle ricchezze rubate alla popolazione originaria, anzi. Per dimostrarsi affidabile, il governo del Sudafrica liberato ha accettato di sottoscrivere accordi internazionali ultra-liberisti, dando luogo al più massiccio programma di sfratti e requisizioni delle terre mai effettuato nella storia sudafricana mentre, al contempo, apriva totalmente la propria economia ai più aggressivi capitali stranieri. Solo la storia potrà spiegare le ragioni di questa scelta, obbligata secondo alcuni, criminale secondo altri. Naomi Klein, in "Shock Economy", si concentra sull'incompetenza dei dirigenti dell'ANC, usciti da decenni di prigionia (come Mandela) o di latitanza, e quindi impreparati a negoziare con i falchi del Fondo Monetario o della Banca Mondiale e terrorizzati dalla reazione delle (presunte) milizie bianche al passaggio delle consegne. Viceversa John Pilger nel suo bellissimo "Freedom Next Time" (appena tradotto in Italia con il titolo "Aspettando la libertà") parla di vero e proprio tradimento da parte di una fronda capeggiata proprio dall'attuale presidente.

Resta il fatto che, alle enormi masse di diseredati delle township, oltre alla possibilità di votare non è non stato dato altro: né le medicine per combattere l'epidemia di Aids - che il Sudafrica avrebbe potuto produrre da sé o comprare a prezzi scontati dall'India, se il governo avesse osato sfidare Big Pharma - né la riforma agraria. In cambio della possibilità di votare e di eleggere candidati con la pelle del loro stesso colore, i neri hanno visto la loro situazione economica peggiorare drasticamente e, di conseguenza, i tassi di criminalità impennarsi a dismisura. Le riforme economiche hanno lasciato fuori dal mercato quelle enormi masse di diseredati che lo stato schiavista bene o male nutriva, mentre agli imprenditori che dallo schiavismo avevano tratto lauti profitti venne chiesto solo di aprire i consigli d'amministrazione a qualche africano. Così, mentre il governo festeggiava la nascita di una middle class nera, le fabbriche chiudevano e gli abitanti delle township venivano lasciati senza lavoro. Poteva finire in un altro modo?