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Ultime notizie dal mondo

di redazionale - 21/05/2008


 

a)      Libano. Una carrellata di notizie sulla crisi libanese di questi giorni. Chi l’ha innescata e perché. E come è maturata l’ulteriore vittoria della resistenza libanese guidata da Hezbollah. Lo scoppio della crisi nelle parole di Nasrallah (8, 9); quindi ricostruzioni ed analisi di una crisi pianificata ma fallimentare per i suoi ideatori secondo: Thierry Meyssan (10, 11), Michelguglielmo Torri (12), Rami Khoury (11) e addirittura un ex capo dell’intelligence israeliana (11). Un occhio, poi, alla posizione assunta dall’esercito libanese (12). Quindi al 10 la retromarcia del governo filo-USA di Siniora e Jumblatt (una notizia su di lui al 4) e la definitiva revoca delle misure governative il 15. Infine da Washington lo stupore per i soldi buttati nelle milizie mercenarie che si sono squagliate come neve al sole e sua reazione stizzita (13). Per altro di non meno importante: sull’UNIFIL (9) e sulle pressioni USA (9).

 

b)     Israele / Palestina. Requisitoria contro Israele della “Rete degli ebrei contro l’occupazione” (1). Il saggista e storico israeliano Ilan Pappe invita a strappare dall’oblio la pulizia etnica israeliana in Palestina (1). L’ex presidente USA Jimmy Carter torna a dire la sua su Israele (8). Intanto rallenta il flusso dei “nuovi isareliani”: l’allarme dell’agenzia sionista Jafi (4).

 

c)      Bolivia. Le oligarchie filo-USA puntano a spaccare il paese per defenestrare Evo Morales (3, 6, 9, 12, 14, 15). In Colombia mossa a sorpresa di Uribe per rimanere a galla (2, 14). Un’occhiata in Venezuela (2, 13) e all’Ecuador (12). E intanto Washington rimette in mare la IV Flotta nelle acque dell’America Latina dopo 58 anni (USA e Cuba / USA al 4).

 

Sparse ma significative:

 

  • Eire. Il Sinn Féin sul Trattato di Lisbona per il referendum del 12 giugno. Un tema molto delicato servilmente silenziato non solo in Italia.

 

  • Russia / Georgia. Una guerra per l’Abkhazia (1, 6)? Washington non sta a guardare.

 

  • Iran / Pakistan / India. Un gasdotto per amico (3). Quali ripercussioni geopolitiche?

 

Tra l’altro:

 

Corsica (6 maggio).

Scozia (15 maggio).

Somalia (2, 5 maggio).

Germania (8 maggio).

Serbia (1, 11, 14 maggio).

USA / Iran (1, 8 maggio).

Iran (8, 10 maggio).

Russia / Iran (8 maggio).

Nepal (3 maggio).

USA (2 maggio).

Siria (28 aprile).

Bielorussia / USA (3 maggio).

Gran Bretagna (4, 6 maggio).

Iraq (10 maggio).

Pakistan (8, 12, 14 maggio).

Polonia (10 maggio).

Lituania / Russia (13 maggio).

 

 

  • Eire. 1 maggio. Il Trattato di Lisbona «non apporta niente di positivo per l’Irlanda». Lo ha detto oggi Gerry Adams, presidente del Sinn Féin, parlando al Foro dell’Europa, istituzione creata da Dublino per promuovere il dibattito sulle questioni europee. L’Irlanda è l’unico Stato dell’Unione Europea che sottoporrà il Trattato a referendum il 12 giugno. Un Trattato che sarà chiave della futura struttura dell’Unione. La stessa primo ministro tedesca, Angela Merkel, lo ha confermato indirettamente dichiarando che il Trattato di Lisbona è la Costituzione Europea che francesi ed olandesi hanno respinto nel 2005. Adams ha criticato la centralizzazione del potere nella Commissione Europea e la perdita di voce dei cittadini, quindi la militarizzazione dell’Unione, con un incremento nelle spese militari e una tendenza ad abbandonare il mandato dell’ONU per avvicinarsi alle posizioni della NATO, con quel che ciò significa per la neutralità irlandese.

 

  • Serbia. 1 maggio. Belgrado sottoscrive l’Accordo di associazione e stabilizzazione con l’Unione Europea. La firma del documento, primo passo verso l’adesione della Serbia all’Unione Europea, è stata voluta da Bruxelles prima delle imminenti elezioni politiche. La coalizione filo USA guidata dal presidente Tadic intende infatti utilizzare l’accordo come leva per vincere i radicali alle elezioni dell’11 maggio, presentandole come una sorta di referendum pro o contro Europa. Per i leader radicali, infatti, l’accordo, primo passo verso l’ottenimento dello status di candidato a entrare nell’Unione Europea, è carta straccia, perché sottintende il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo. La Serbia dovrà ora intraprendere ulteriori riforme (economiche, giudiziarie, eccetera) per poter infine entrare nell’Unione Europea e sottoporsi alle imposizioni della Commissione Europea in vari settori. L’applicazione dell’accordo verrà però congelata nel caso il Consiglio Europeo ritenesse che la Serbia non collabora con il Tribunale Penale internazionale dell’Aja (istituito dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU nel ‘93).

 

  • Israele / Palestina / Libano. 1 maggio. Quale “sicurezza” per palestinesi, iracheni e libanesi? Se lo chiede l’ebrea Myriam Marino, della “Rete degli Ebrei contro l’Occupazione”, che con indignazione e sconcerto rileva il totale capovolgimento della realtà da parte di media e politica. «Sembra di vivere in un mondo capovolto, dove i torti diventano ragioni e le ragioni torti. Di fronte all’aggressione inaudita di uno stato sovrano e alla martirizzazione di Gaza diventato un campo di prigionia, ci siamo sentiti dire dai media e dai politici che chi aggredisce ha il diritto di difendersi, mentre le vittime che osano resistere sono definite senza mezzi termini terroristi». Nell’articolo “Un nuovo Medioriente”, leggibile sul sito della “Rete degli ebrei contro l’occupazione” (www.rete-eco.it/gruppi-ebraici/rete-eco.html), la Marino ripercorre le vicende che hanno portato dal 2006 alla cruenta aggressione del Libano ed allo strangolamento di Gaza. L’aggressione al Libano non è stata per la Marino una risposta alla cattura di due militari israeliani da parte di Hezbollah, ma va collegata alla precedente offensiva israeliana contro Hamas. «L’aggressione a Gaza era già programmata per distruggere il governo di Hamas democraticamente eletto. L’unica democrazia del Medio Oriente sequestrò mezzo governo palestinese e 30 sindaci e funzionari, tentò di uccidere il primo ministro nel silenzio assordante della UE (…) La cattura del soldato israeliano eseguita non dal governo palestinese, che si dissociò, ma da un piccolo gruppo e seguita al sequestro di due funzionari di Hamas, servì solo da alibi ad un’azione che sarebbe stata comunque messa in atto. Al disperato grido di aiuto dei palestinesi di Gaza risposero solo i guerriglieri di Hezbollah, che con quella cattura tentavano probabilmente di allentare la pressione sui palestinesi aprendo un nuovo fronte. Quindi la miccia della guerra in Libano non fu accesa da Hezbollah, per quanto si possa giudicare avventurista la sua azione, ma dall’offensiva di Israele su Gaza».

 

  • Israele / Palestina / Libano. 1 maggio. La Marino ricorda come alla cattura di due soldati israeliani Tel Aviv abbia risposto con la distruzione del Libano e più di 400 morti, mentre l’esercito continuava a colpire Gaza e il resto della Cisgiordania fuori dai riflettori. «È di marca nazista, se ben mi ricordo, calcolare il valore dei nemici uno a dieci. Ma ormai questi valori sono stati superati, le vittime occidentali, le uniche vere vittime civili innocenti, valgono molto di più. E se i paesi non occidentali sono tenuti sotto stretta osservazione riguardo la loro produzione bellica, Israele sperimenta nuovi tipi di bombe su Gaza, che scoppiano a pochi metri da terra lanciando intorno schegge taglienti come spade che tranciano braccia, gambe e teste ai bambini. In Libano hanno usato il fosforo bianco già largamente lanciato a Fallujia e gli ospedali si sono riempiti di bambini morti, perché secondo uno studio di “Save the children” la metà delle vittime sono state bambini, carbonizzati e trasformati in piccole mummie. Hanno lanciato anche bombe che tolgono l’ossigeno dall’aria e dai polmoni della gente e Bush si appresta a regalare a Israele un nuovo tipo di bomba micidiale perché la sperimenti per lui. Bomba che con ogni probabilità partirà dalla base italiana di Camp Darby». Ma perché Israele scatenò un simile inferno piuttosto che accettare lo scambio dei prigionieri? «Se lo chiesero in molti, se lo chiese anche il padre del caporale catturato. In fondo i palestinesi chiedevano uno scambio con donne e bambini detenuti illegalmente da Israele in detenzione amministrativa, mentre Hezbollah reclamava prigionieri di guerra libanesi ancora nelle carceri di Israele. Il fatto è che mentre a Gaza il programma era distruggere il governo di Hamas, in Libano Israele prese la palla al balzo per realizzare un progetto che gli stava molto a cuore e a cui lavorava da tempo».

 

  • Israele / Palestina / Libano. 1 maggio. Qual è dunque il progetto USA – israeliano? «Destabilizzare il Libano, disarmare Hezbollah e i palestinesi dei campi profughi, instaurare in Libano un governo fantoccio, amico di Israele e degli USA. L’obiettivo del cambio di regime era lo stesso della guerra dell’82. Come allora anche la guerra di due anni fa fu pianificata e portata avanti in piena coordinazione con gli USA e con una parte dell’elite libanese. C’era un terzo obiettivo, attaccare la Siria, per non restituire i territori occupati del Golan. Un grande progetto per un nuovo Medio Oriente portato avanti in collaborazione con gli USA: prendersi i territori palestinesi senza gli abitanti, e a questo scopo operare la pulizia etnica e scatenare il terrore per spingerli ad andarsene, distruggere l’Irak, disgregare la Siria, ottenere un mandato coloniale sul Libano, mentre l’ultimo feroce attacco a Gaza ha lo scopo di annientare l’opposizione di Hamas così come quella di Hezbollah, nell’eventualità di uno scatenamento della guerra all’Iran. Il tutto coperto da una campagna mediatica (la guerra al terrorismo) sostenuta in gran parte dagli USA che cerca di far passare le vittime per carnefici e i carnefici per vittime, al punto che un paese con la tecnologia militare più avanzata del mondo si permette di chiedere ai palestinesi e al resto degli arabi garanzie per la sua sicurezza invece di darle a chi è sempre sotto attacco. 22 paesi arabi con la storica decisione del vertice di Beirut del 2002 si impegnarono a fare una pace completa con Israele in cambio di un ritiro dai territori occupati di Palestina, del Libano e della Siria. Un’occasione che avrebbe potuto dare all’area del Mediterraneo, che anche noi abitiamo, la pace, ma che Israele ha rifiutato».

 

  • Israele / Palestina / Libano. 1 maggio. La Marino si concentra altresì sulla situazione a Gaza partendo addirittura dallo sbandierato sgombero delle colonie israeliane da Gaza. «Qualcuno, quando Sharon spostò le colonie da Gaza, ha creduto che fosse l’inizio di un nuovo corso. In realtà Israele non ha bisogno di Gaza, uno dei posti più densamente popolato al mondo e sprovvisto di risorse naturali. Le colonie furono spostate da Gaza, per essere ricostruite in Cisgiordania, perché era troppo dispendioso mantenerle. Questo non significava liberare Gaza che non ha mai smesso di essere sotto occupazione». Ma, si domanda retoricamente la Marino, «perché Israele non lascia allora in pace Gaza, se non gli serve? Perché continua a martoriarla con missili e bombardamenti, perché fa impazzire di paura i bambini, di proposito, con le bombe suono, perché la riduce alla fame, perché impedisce alle persone di spostarsi come se fossero in prigione, facendo di tutta la striscia un campo di prigionia, un lager? La risposta è che non può lasciare andare Gaza se vuole mantenere l’occupazione in Cisgiordania. Per questo motivo Gaza deve rimanere ostaggio di Israele. Se fossero liberi, gli abitanti di Gaza diventerebbero il centro della lotta all’occupazione, se fossero liberi potrebbero viaggiare e spiegare al mondo le loro ragioni, se fossero liberi avrebbero libero accesso al mondo arabo e occidentale». A Gaza, prosegue la donna ebrea, «le persone occupate e assediate, senza nessuna speranza, senza possibilità di lotta politica, isolate dal mondo e ad esso invisibili, hanno trovato un modo per disturbare la vita degli israeliani lanciando i missili kassam, razzi rudimentali, poco più che giocattoli che non hanno la necessaria precisione per colpire un obiettivo e di rado hanno fatto vittime, provocano però danni psicologici e disturbano la vita del quartiere dove cadono». Aggiungiamo che, secondo recenti statistiche, delle 1,5 milioni di persone che vivono nella Striscia di Gaza l’85% vive sotto la soglia di povertà; il 65% è disoccupato, vittima della chiusura obbligata del 97% delle imprese locali, ed il reddito annuo è sceso a 605 dollari contro i 25.000 dei vicini israeliani. Più della metà dei bambini soffre di denutrizione ed i soldati israeliani impediscono l’accesso a merci vitali come i generi alimentari.

 

  • Israele / Palestina / Libano. 1 maggio. Conclude la Marino: «da 60 anni Israele incendia il Medio Oriente con nuove guerre e lamenta l’assenza di sicurezza, da 60 anni cerca di ottenerla con la forza. C’è un unico modo perché nella regione ci sia la pace e la sicurezza, ed è quello di risolvere il problema palestinese. Fino a che i palestinesi non otterranno libertà e democrazia, non disporranno di risorse appropriate e non saranno considerati un popolo con uguali diritti e dignità, non potrà esserci la pace. Non esiste un popolo che accetti in silenzio il proprio sterminio. Il bisogno di libertà è troppo impresso profondamente nella natura umana per poter pretendere da un popolo di restare prigioniero e tacere». La Marino ricorda pure che lo stesso Hamas ha ripetutamente avanzato «un cessate il fuoco complessivo, mai accettato», che «gli uomini politici israeliani hanno strumentalizzato la Shoah in modo vergognoso, usandola come uno scudo dietro cui nascondere e giustificare altri crimini», invitando infine a criticare la politica israeliana «senza temere assurde accuse di antisemitismo (…) del resto anche i palestinesi sono semiti».

 

  • Israele. 1 maggio. Strappare dall’oblio la pulizia etnica israeliana in Palestina, «un crimine contro l’umanità che Israele ha voluto negare e far dimenticare al mondo». È l’imperativo etico di Ilan Pappe, storico e saggista israeliano nato ad Haifa da genitori ebrei sfuggiti alla persecuzione nazista, ora docente all’Università di Exeter. Intervistato da l’Unità, l’autore del libro “La pulizia etnica della Palestina” (Fazi Editore) condanna senza mezzi termini l’assedio israeliano di Gaza, definendola «una forma di punizione collettiva pensata per aumentare la pressione sui palestinesi perché abbandonino qualsiasi forma di resistenza e accettino di sopravvivere in quella che è una vera e propria gigantesca prigione costruita per loro». Per Pappe, Israele deve accettare la realtà che «i rappresentanti di Hamas sono stati eletti democraticamente nel gennaio 2006 e pertanto sono i legali rappresentanti dei palestinesi residenti a Gaza. Qualunque rifiuto a negoziare con loro non potrà che prolungare la sofferenza per entrambe le parti in conflitto». Pappe non nutre comunque molte speranze a riguardo, e ciò sulla base del carattere di fondo dello Stato sionista. «Sfortunatamente, come ho cercato di spiegare ne “La pulizia etnica della Palestina”, il sistema di valori su cui si fonda lo Stato d’Israele fin dalla sua nascita non è fra i più nobili, essendo strutturato attorno a una ideologia etnocentrica che pone come prioritaria la necessità di avere uno Stato ebraico con una solida maggioranza ebraica che controlli larga parte dei territori palestinesi. Nel creare il proprio Stato-nazione, il movimento sionista non condusse una guerra che “tragicamente, ma inevitabilmente” portò all’espulsione di parte della popolazione nativa, ma fu l’opposto: l’obiettivo principale era la pulizia etnica di tutta la Palestina, che il movimento ambiva per il suo nuovo Stato. Questa visione non è cambiata affatto dal 1948 ad oggi. Il valore di uno Stato a base etnica è ancora al di sopra di qualunque diritto umano o civile».

 

  • Russia / Abkhazia. 1 maggio. Sale la tensione tra Russia e Georgia. Entrambi i paesi rinforzano i contingenti militari in Abkhazia, la regione secessionista dalla Georgia dopo la guerra del 1992-93. Da allora ospita, sul suo territorio, truppe russe sotto forma di “contingente di pace” della CSI (Comunità degli Stati Indipendenti). In questi 15 anni Tbilisi non ha mai cessato di rivendicare la sovranità sulla regione (dove ormai in pratica non vivono più georgiani), accusando la Russia di proteggere de facto i secessionisti (che hanno proclamato un’indipendenza non riconosciuta da nessuno Stato) e di mirare ad un’annessione strisciante. Accuse avvalorate dalla scelta di Mosca, negli ultimi anni, di dare passaporto russo a moltissimi abkhazi (che hanno d’altra parte caratteristiche nazionali diversissime dai georgiani e simili alle popolazioni che abitano le regioni caucasiche della Russia, come Circassi e Kabardi) e soprattutto dalla decisione di Putin, una settimana fa, di avviare normali rapporti economici e burocratici con l’Abkhazia.

 

  • Russia / Abkhazia. 1 maggio. Ieri lo stato maggiore russo ha reso noto che Tbilisi sta ammassando uomini e mezzi nella valle di Kodori, al confine tra Georgia e regione secessionista dell’Abkhazia, «in vista di un attacco armato per riconquistare la regione». E ha annunciato un parallelo rafforzamento del contingente russo di stanza in Abkhazia, affermando che Mosca reagirà «con tutti i mezzi, inclusa la forza, a ogni minaccia contro i suoi cittadini residenti in Abkhazia o contro il contingente di pace ivi stanziato». Subito dopo questa decisione è avvenuto l’oscuro episodio di un aereo-spia senza pilota, georgiano, abbattuto sopra l’Abkhazia dal missile di un Mig-29. «Bufala» costruita da Tbilisi, sostiene Mosca. Negli ultimi giorni Saakashvili ha alzato sempre più i toni, giungendo a bloccare i negoziati per l’adesione della Russia al WTO e (tramite l’alleata Lituania) quelli per un accordo di partnership fra Russia ed Unione Europea.

 

  • Russia / Georgia / USA. 1 maggio. La NATO condanna Mosca. I recenti passi intrapresi da Mosca rispetto alle repubbliche separatiste georgiane di Abkhazia e Ossezia del sud «hanno aumentato le tensioni e hanno minato l’integrità territoriale della Georgia». Lo ha dichiarato ieri il portavoce della NATO, James Appathurai. «Le misure che sono state intraprese, incluse quelle con cui sono stati stabiliti rapporti formali con l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud e la retorica riguardante l’uso della forza hanno aumentato le tensioni e hanno minato l’integrità territoriale della Georgia», ha detto Appathurai, rilevando che «la NATO sta seguendo molto attentamente la situazione».

 

  • USA / Iran. 1 maggio. «Gli Stati Uniti pronti ad attaccare entro l’estate». Obiettivo: le centrali atomiche iraniane. Lo ha scritto ieri il quotidiano saudita al-Watan riferendo le valutazioni di vari analisti arabi. «Gli esperti ritengono che l’attacco USA scatterà nei prossimi tre mesi, quindi prima che la campagna per le presidenziali americane entri nel vivo e che abbia termine il secondo mandato di George Bush», ha indicato il quotidiano.

 

  • Somalia. 2 maggio. Prosegue il coinvolgimento militare diretto degli Stati Uniti in Somalia. Ieri, in un bombardamento nel centro del paese (distretto di Dhusamareb), uccisi almeno dieci somali, tra cui Aden Hashi Ayro, considerato un dirigente della resistenza islamista nella capitale, Mogadiscio. La guerriglia, che ha confermato che nel bombardamento è morto un altro alto responsabile, Cheikh Muhyadin Omar, ha annunciato che proseguirà la lotta nonostante il crescente coinvolgimento di Washington nel conflitto.

 

  • USA. 2 maggio. La speculazione finanziaria e la politica per l’agricoltura di Banca Mondiale (BM), Fondo Monetario Internazionale (FMI), USA ed Unione Europea (UE) sono responsabili dell’attuale crisi alimentare. In un’intervista al quotidiano francese Le Monde il nuovo relatore dell’ONU per il diritto all’alimentazione, Olivier de Schutter, accusa la comunità internazionale di «colpe imperdonabili». «L’epoca del cibo a prezzi bassi è finita, paghiamo 20 anni di errori», afferma l’esperto belga, ex segretario generale della Federazione internazionale della Lega dei diritti dell’uomo. De Schutter punta il dito sulla speculazione finanziaria, che ha lasciato le Borse per rivolgersi verso le materie prime, l’agricoltura industriale, «fondata su fattori produttivi troppo costosi», e la tendenza della BM e del FMI a spingere verso la liberalizzazione dei mercati a scapito della sovranità alimentare, rendendo i paesi in via di sviluppo «vulnerabili alla volatilità dei prezzi». Per de Schutter, sia la BM sia il FMI hanno «gravemente sottovalutato la necessità di investire nell’agricoltura. E i piani di ristrutturazione del FMI hanno spinto i paesi più indebitati a sviluppare colture di esportazione e ad importare gli alimenti che consumano». Sul banco degli accusati anche USA e UE con il loro «irresponsabile» sostegno alle monocolture ed agli agro-combustibili, «che serve soltanto gli interessi di una piccola lobby con il denaro del contribuente».

 

  • Venezuela. 2 maggio. Chávez annuncia una legge che sancirà il passaggio di Sidor nelle mani dello Stato. Il presidente del Venezuela, Hugo Chávez, ha firmato un decreto legge che ordina la nazionalizzazione dell’impresa siderurgica italo-argentina Sidor, la più grande della regione andina e caraibica, privatizzata nel 1997. Prima della sua entrata in vigore deve essere ratificata dal Tribunale Supremo. Ha avvertito del fatto che, se non si arriva ad un accordo su un «prezzo giusto» firmerà il decreto di espropriazione e ordinerà di occupare l’impresa.

 

  • Colombia. 2 maggio. Bogotà annuncia di aver arrestato l’autista e scorta di Marulanda, massima autorità delle FARC (Forze Armate Rivoluzionarie di Colombia). Il servizio di intelligence colombiano DAS (Dipartimento Amministrativo di Sicurezza) ha comunicato ieri di aver catturato, vicino Bogotà, Germán Ramos, alias Libardo o el Enano, autista e scorta di Pedro Antonio Marín, alias Manuel Marulanda o Tirofijo. Ramos è accusato di aver preso parte ad un attacco nel sud del paese nel quale sono morti venti militari. Ramos «ha anche fatto parte del fronte delle FARC che ha realizzato la presa della base militare di Baraya, nel dipartimento di Huila, dell’assassinio di un agente di polizia nel 1998 ed era autista, scorta ed uomo di fiducia di Tirofijo», segnalano i servizi segreti colombiani. Ramos è considerato anche il responsabile della compagnia Helman González, ascritta al fronte 40 delle FARC.

 

  • Bielorussia / USA. 3 maggio. Diplomatici statunitensi esplusi dalla Bielorussia. Il Governo bielorusso ha espulso undici diplomatici statunitensi, dieci dei quali erano stati dichiarati «persona non gradite» dal Presidente, Alexandr Lukashenko. La decisione del Governo bielorusso sarebbe giunta in risposta alla scelta del Dipartimento di Stato USA di non ritirare i diplomatici statunitensi come richiesto alla fine del mese di marzo. Attualmente restano a Minsk quattro diplomatici. I rapporti tra Washington e Minsk si sono ulteriormente incrinati a partire dalle prime sanzioni decretate nel 2006 da Washington e Bruxelles a seguito delle polemiche seguite alla rielezione a presidente di Lukashenko. Alla fine di marzo Washington aveva inasprito le sanzioni decretando il blocco totale delle attività delle filiali e dei contratti commerciali internazionali della compagnia petrolifera bielorussa statale Belneftekhim. In seguito a questa decisione, Minsk aveva deciso di richiamare l’ambasciatore Mikhail Khvostov e pochi giorni dopo, su pressione del governo di Alexander Lukashenko, l’ambasciatrice Karen Stewart ha lasciato la repubblica ex sovietica. Alla richiesta di Minsk è seguita un’inchiesta svolta dai servizi segreti bielorussa nel paese in cui sarebbe venuta alla luce l’esistenza di una rete di spionaggio che operava per conto degli Stati Uniti.

 

  • Bielorussia / USA. 3 maggio. Secondo alcuni analisti, le sanzioni costituirebbero una rappresaglia USA causata sia dai proficui contatti della compagnia bielorussa con Caracas per accordi commerciali con le aziende venezuelane, sia dagli ostacoli che Lukashenko ha frapposto agli interessi statunitensi verso tre aziende bielorusse: Gorizont, produttrice di televisori, Atlant, produttrice di frigoriferi, ma soprattutto MTZ, proprietaria del marchio Belarus Traktor, ottava azienda al mondo per la produzione di trattori. Le tre aziende producono quasi un terzo del volume del prodotto nazionale bielorusso e il loro controllo garantirebbe la possibilità di esercitare forti pressioni politiche sul Governo di Minsk. Nonostante le difficoltà di natura normativa, che prevedono alti costi di ingresso nel mercato e forti interferenze delle istituzioni governative bielorusse nella vita delle aziende a capitale straniero, la Bielorussia consente un facile accesso al mercato russo dato che proprio con Mosca ci sono i maggiori scambi commerciali.

 

  • Iran / Pakistan / India. 3 maggio. Il “gasdotto della pace” Iran – Pakistan – India (IPI) cambierà gli assetti strategici della regione e salderà sempre più il Medio Oriente all’Asia. Lo scrive Il Sole 24Ore. Se il lungo gasdotto Iran-Pakistan-India, di quasi 2.800 km, proseguirà fino alla Cina, alle implicazioni energetiche si sommeranno quelle geostrategiche inerenti il consolidamento di una futura «sfera asiatica» presumibilmente egemonizzata da Pechino. Ma il progetto si concreterà veramente? «Prima, c’era il problema insolubile del contrasto India-Pakistan. All’inizio del 2006 il progetto sembrava deciso, poi si arenò, forse per le pressioni americane sull’India. Gli Stati Uniti, infatti, sono “assolutamente contrari” al gasdotto perché rafforza l’Iran. Tuttavia proprio in questi giorni i tre Paesi interessati, dopo un round di incontri bilaterali, sembrano ormai prossimi ad avviare i lavori». Recentemente si sono infatti svolti diversi incontri tra le autorità dei tre paesi, tra cui due visite del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad in Pakistan ed India, visita quest’ultima su cui il dipartimento di Stato USA ha pubblicamente espresso disapprovazione. «Pakistan e India sono partner più o meno “strategici” degli Stati Uniti, e l’India anche di Israele. Eppure essi sembrano ormai disposti, per il gasdotto, a sfidare la contrarietà degli americani (…) L’India non ha più remore a fare il gasdotto, soprattutto col greggio a ben più di cento dollari ed un fabbisogno interno di energia in forte crescita sul lungo periodo». Grossi interessi ha ovviamente anche Teheran, che secondo Il Sole mira a diventare il secondo esportatore di gas a livello mondiale dopo la Russia ed il quarto produttore di greggio (tra i paesi Opec, è al secondo posto dopo l’Arabia Saudita).

 

  • Iran / Pakistan / India. 3 maggio. In futuro il gasdotto potrebbe arrivare sino in Cina. «L’Iran l’ha detto in questi giorni, ma l’India ha replicato che “è ancora solo un’idea”. Tuttavia, il primo, forse, a parlarne, pochi anni fa, fu l’allora ministro indiano del petrolio, Mani Shankar Aiyar, fautore di una cooperazione energetica asiatica, e in particolare tra India e Cina. Di recente, la stessa Cina si disse pronta a subentrare all’India se questa non voleva più partecipare al gasdotto. Quindi c’è da chiedersi se l’India è ora di nuovo favorevole solo per tenere fuori la Cina, oppure perché il gasdotto è davvero vitale per i suoi interessi. Se i futuri rapporti Cina-India saranno orientati alla cooperazione, si possono immaginare altri progetti dopo l’IPI (o IPIC, con la Cina). Per esempio, un oleodotto parallelo all’IPI per portare greggio iraniano in India ed in Cina. L’IPI stesso potrebbe venir potenziato per trasportare anche gas prodotto dal Qatar». Il quotidiano economico evidenzia infine che «per l’Iran, questi fitti legami energetici con l’India e la Cina sono una vitale assicurazione strategica, non assoluta ma comunque significativa, vis-à-vis gli Stati Uniti e le loro ricorrenti minacce militari. A tal proposito, l’ultimo round di colloqui per il rilancio dell’Ipi può segnalare un’ulteriore, profonda erosione della strategia anti-Iran perseguita dagli Stati Uniti. L’Iran, intanto, si aggancia sempre più all’Asia. E se l’Ipi arriverà poi fino in Cina, sarà il primo elemento strutturale di una “rete energetica asiatica” che, a sua volta, favorirà il consolidamento di un futuro “blocco”».

 

  • Iran / Pakistan / India. 3 maggio. Il “gasdotto della pace” dovrebbe costare circa 7,5 miliardi di dollari, sarà alimentato dal giacimento sottomarino South Pars, nel Golfo Persico, settore iraniano di un giacimento gigante (il più grande del mondo) a 3.000 metri sotto il fondo del mare, e che si estende per 3.700 kmq in acque iraniane e 6.000 kmq nelle acque del Qatar. South Pars contiene il 10% delle riserve mondiali di gas. L’IPI avrà una capacità iniziale di 60 milioni di metri cubi al giorno (metà per il Pakistan e metà per l’India) che salirà poi a 150 mc/g. Sul piano politico, quel gasdotto in comune sarà un fattore di stabilità e cooperazione nei rapporti tra India e Pakistan, che avrà importanti introiti per il transito del gas destinato all’India. Ci sono, però, possibili problemi politici per le incertezze circa la futura stabilità politica del Pakistan, e comunque per i rischi posti, sempre in Pakistan, dalla guerriglia nel Baluchistan, secondo varie fonti finanziata dai servizi segreti USA.

 

  • Nepal. 3 maggio. L’ambasciatrice statunitense in Nepal, Nancy Powell, ha incontrato l’altroieri il «terrorista» Prachanda. La conferma è arrivata ieri dalla stessa ambasciata. Il partito del dirigente dei maoisti, Pushpa Kamal Dahal, Prachanda, ha vinto le elezioni il 10 aprile scorso. Il suo partito è incluso dagli USA, dal 2003, nella lista dei «gruppi terroristi».

 

  • Bolivia. 3 maggio. Morales toglie Entel a Telecom Italia. Un anno dopo quel primo maggio 2006 in cui Evo Morales proclamò, con l’esercito al seguito, la nazionalizzazione degli idrocarburi, ieri è arrivata la nazionalizzazione dell’Entel, compagnia telefonica che fa capo a Telecom Italia. Nel pomeriggio di giovedì le nuove autorità, accompagnate dall’esercito e dalla polizia, hanno simbolicamente preso possesso delle installazioni di Entel a La Paz, Cochabamba e Santa Cruz. Al di là dell’appoggio popolare –in Bolivia le nazionalizzazioni godono di un gradimento alto e trasversale agli schieramenti– su cui Morales ha fatto leva anche per togliere i riflettori dal discusso referendum autonomista qui a Santa Cruz, la nazionalizzazione di Entel non è piovuta come un fulmine a ciel sereno. Telecom aveva rilevato il 50% di Entel nel ‘95, l’epoca delle privatizzazioni –che qui si chiamavano «capitalizzazioni»– del presidente neo-liberista Gonzalo Sanchez de Lozada. Per contratto, avrebbe dovuto investirvi almeno 600 milioni di dollari per migliorare il servizio: l’inadempienza di cui è accusata Telecom ha legittimato il governo boliviano a decidere per conto di Entel senza averne ancora il controllo di fatto: nel 2007 ad esempio ha abbassato le tariffe telefoniche per le fasce più deboli. Telecom aveva reagito citando per danni la Bolivia di fronte all’organo di arbitrato della Banca mondiale, il Ciadi. Giovedì Morales ha chiuso la partita –dal punto di vista giuridico-finanziario– firmando platealmente il «decreto supremo» di nazionalizzazione davanti alla folla di plaza Murillo: il 100% delle azioni trasferite allo Stato, da pagare a Telecom con un importo che il governo deciderà e renderà pubblico entro 60 giorni. In attesa delle reazioni della compagnia, che non si faranno attendere.

 

  • Gran Bretagna. 4 maggio. Crollo dei consensi per i laburisti nelle ultime elezioni amministrative. I risultati elettorali hanno registrato una sonora disfatta per il partito guidato dal primo ministro Gordon Brown, precipitati al terzo posto dietro i conservatori di David Cameron ed i liberali. Un disastro che non si verificava dagli anni Sessanta. Eppure solo alcuni mesi fa i sondaggi davano Brown ampiamente in vantaggio sul rivale conservatore, tanto da annunciare l’indizione di elezioni anticipate, poi ritrattata in seguito al netto peggioramento delle intenzioni di voto. Una decisione che ha ulteriormente peggiorato l’immagine di Brown, già intaccata dalla lunga vicenda legata alla successione a Blair alla guida del partito e del governo. Diversi analisti imputano buona parte della sconfitta a Brown, cui difetterebbero capacità di leader politico come evidenziano le dichiarazioni di provvedimenti poi puntualmente ritirati: dalla legge elettorale alla decisione di voler eliminare l’aliquota del 10% sui redditi più bassi al fine di fronteggiare la contrazione dei consumi. Pesanti critiche ha poi scatenato la decisione di statalizzare la banca Northern Rock, che rischiava l’insolvenza a seguito della crisi dei mutui subprime.

 

  • Libano. 4 maggio. Jumblatt provocatore al servizio di USA ed Israele. Lo denuncia un comunicato del movimento di resistenza libanese Hezbollah, secondo cui Jumblatt sta provando, sotto impulso statunitense, a coinvolgere le forze armate e gli apparati di sicurezza libanesi nella contrapposizione politica interna. Il leader druso libanese Walid Jumblatt, uno dei leader della coalizione filo USA incostituzionalmente al governo, aveva chiesto ieri l’espulsione dell’ambasciatore iraniano a Beirut e la cancellazione dei voli di compagnie aeree iraniane dirette nelle capitale libanese, lanciato parole di fuoco contro la Siria e soprattutto accusato gli Hezbollah di mantenere una “base” nei pressi dell’aereoporto di Beirut: una postazione in grado di sorvegliare le piste dello scalo, che servirebbe per tenere sotto controllo i movimenti degli aerei degli esponenti politici libanesi e dunque coordinare attentati contro di loro. Hezbollah respinge le accuse, ribattendo che la resistenza libanese sta seriamente valutando i rapporti israeliani che rivelano la cooperazione tra fazioni libanesi e i servizi segreti israeliani nell’assassinio terroristico di Imad Mughniyah, avvenuto lo scorso febbraio a Damasco.

 

  • Israele. 4 maggio. Rallenta il flusso di “nuovi israeliani”. Solo 20mila immigrati l’anno scorso, mai così pochi da vent’anni, segnala con allarme l’agenzia sionista Jafi, che a fine marzo ha annunciato la prossima chiusura del suo storico Dipartimento per l’immigrazione. La Jafi ha iniziato la sua attività già durante il mandato britannico sulla Palestina (1920-1948) come governo di fatto del movimento sionista e strumento della colonizzazione della Palestina. Ulteriore impulso ricevette l’agenzia nel 1950, allorché il parlamento israeliano varò la cosiddetta “legge del ritorno”, secondo cui «ogni ebreo ha il diritto di venire in questo paese» (art. 1) e dunque a ricevere la cittadinanza israeliana. L’Agenzia sionista si vanta di aver portato in Israele oltre tre milioni di persone. «Il centro d’assorbimento garantisce un atterraggio morbido in Israele, perché ognuno ha una personalità diversa ed esigenze differenti. In questo momento abbiamo gente di 26 paesi e 11 lingue: l’apprendimento dell’ebraico rappresenta il primo ostacolo da superare», sottolinea Ruth Berkovich, direttrice della struttura di Ra’anana, una delle 35 sparse per il Paese gestite dalla Jafi. Secondo l’Agenzia globale di notizie del popolo ebraico (JTA), «il cuore del problema è che l’immigrazione per necessità si è in gran parte esaurita. Gli ebrei del mondo arabo sono scappati in Israele negli anni ‘50, i russi si sono ammassati negli anni ‘90 e gli etiopi sono arrivati nel corso degli ultimi 25 anni», ha scritto Dina Kraft. «Ci sono ebrei in Occidente che vivono in maniera comoda in paesi pluralistici che danno loro opportunità economiche e sociali mai sperimentate e li lasciano praticare le loro tradizioni», ha aggiunto Uzi Rebhun, demografo presso l’Istituto di ebraismo contemporaneo all’Università ebraica di Gerusalemme.

 

  • Israele. 4 maggio. E mentre a Tel Aviv si ragiona su come invogliare altri ebrei sparsi nel mondo ad immigrare in Israele, dato ritenuto fondamentale per consolidare lo Stato sionista, Israele nega sistematicamente il diritto al ritorno dei palestinesi che –hanno sostenuto tutti i governi di Tel Aviv– comporterebbe la fine dello “Stato ebraico”. Ancora lettera morta è la risoluzione 194 delle Nazioni Unite, varata l’11 dicembre del 1948, nel corso di quella che Israele chiama Guerra d’indipendenza e che per i palestinesi rappresentò la Nakba, la distruzione di circa 400 villaggi e l’esodo di oltre 750mila persone che divennero profughi. La risoluzione «stabilisce che ai rifugiati che vogliono tornare alle loro case e vivere in pace con i loro vicini dovrebbe essere permesso di farlo al più presto possibile e che dovrebbe essere pagata una compensazione per la proprietà di coloro che scelgono di non ritornare». I palestinesi aspettano ancora.

 

  • USA. 4 maggio. La Quarta Flotta torna a pattugliare i mari dell’America Latina dopo 58 anni. La sua base è a Mayport (Florida). Questa flotta, che a partire dal 1° luglio avrà un Alto comando dedicato specificamente a supervisionare le attività delle unità in America Latina e nei Caraibi, risponderà al Comando Sud degli Stati Uniti, che da Miami dirige tutte le forze militari statunitensi dislocate in America Latina. La Quarta Flotta era stata ritirata alla fine della seconda guerra mondiale. Washington intende ripristinare un  controllo ravvicinato nel suo vecchio «cortile di casa». La decisione ha un peso più politico che militare e rappresenta una chiara risposta alla svolta in senso progressista di molti paesi della regione. Fidel Castro, sul quotidiano Granma, scrive che non è un caso che la sua riattivazione sia stata annunciata poco tempo dopo l’incursione colombiana in territorio ecuadoriano, avvenuta con il supporto della tecnologia militare USA, e mentre la politica statunitense cerca di favorire in ogni modo i progetti di disintegrazione della Bolivia.

 

  • Cuba / USA. 4 maggio. Sul quotidiano cubano Granma, Fidel Castro evidenzia che «dal 1 luglio inizierà a riattivarsi la IV Flotta degli Stati Uniti, che ha come teatro di operazione il Mar dei Caraibi e tutte le rotte che lo collegano con l’America centrale e meridionale (più i territori europei bagnanti l’Atlantico: in totale più di 30 paesi, ndr). La IV flotta USA era sorta nel 1943 per combattere contro i sottomarini dei nazisti e proteggere la navigazione durante la Seconda Guerra mondiale. Era inattiva dal 1959 perchè non necessaria. Il Comando Sud copriva le necessità egemoniche degli Stati Uniti nella nostra area». Per Castro sono evidenti le finalità “terroriste” statunitensi. «Gli stessi capi militari, nelle loro dichiarazioni, lo divulgano naturalmente, spontaneamente ed anche in forma discreta (…) La decisione di ristabilire la IV Flotta è stata annunciata nella prima settimana d’aprile, quasi un mese dopo l’attacco colombiano nel territorio dell’Ecuador con bombe e tecnologie degli Stati Uniti e per loro pressione, uccidendo e ferendo cittadini di diversi paesi, fatto che ha provocato una pronta condanna tra i leader latinoamericani nella riunione del Gruppo di Rio, che si è svolta nella capitale della Repubblica Dominicana. E anche peggio: il fatto avviene quando è quasi unanime la condanna alla disintegrazione della Bolivia promossa dagli Stati Uniti».

 

  • Cuba / USA. 4 maggio. «Gli Stati Uniti dispongono di 10 portaerei di tipo Nimitz, i cui parametri più o meno simili sono: capacità per un carico tra 101.000 e 104.0000 tonnellate di carico massimo; la coperta lunga 333 metri e larga 76,8; 2 reattori nucleari; una velocità che può toccare i 56 Km l’ora; 90 aerei da guerra. L’ultima si chiama George H. W. Bush, come il padre dell’attuale Presidente ed è stata battezzata proprio da costui. Si unirà alle altre navi nei prossimi mesi. Nessun paese del mondo possiede navi come queste, equipaggiate con armi sofisticate, nucleari, che possono avvicinarsi a poche miglia da qualsiasi dei nostri paesi. La prossima portaerei, la ULS Gerald Ford, sarà di nuovo tipo: con tecnologia Stealth invisibile ai radars e armi elettromagnetiche. La principale fabbricante di uno e l’altro tipo è la Northrop Grumman, il cui attuale presidente fa parte della Giunta Dirigente della petrolifera degli Stati Uniti, Chevron-Texaco. Il costo dell’ultima Nimitz è stato di seimila (6.000) milioni di dollari, senza includere gli aerei, i proiettili e le spese delle operazioni, che possono toccare le migliaia di milioni di dollari. Sembra un racconto di fantascienza! Con questo denaro si poteva salvare la vita di milioni di bambini. Qual è l’obiettivo dichiarato della IV Flotta? Combattere il terrorismo e le attività illecite come il narcotraffico, così come inviare un messaggio in Venezuela e al resto della regione (…) Gli Stati Uniti hanno le flotte II, III, V, VI e VII sparse nell’Atlantico Occidentale, il Pacifico Orientale, il Medio Oriente, il Mediterraneo e l’Atlantico Orientale e il Pacifico Occidentale. Mancava solo la IV Flotta per custodire tutte i mari del pianeta (…) Le portaerei e le bombe nucleari con cui minacciano i nostri paesi servono per seminare terrore e morte, ma non per combattere il terrorismo e le attività illecite. Dovrebbero anche servire per far vergognare i complici dell’impero e moltiplicare la solidarietà tra i popoli».

 

  • Somalia. 5 maggio. In migliaia, nelle strade di Dusamareb, per protestare contro l’attacco aereo USA dello scorso giovedì con lancio di sostanze chimiche. I manifestanti hanno denunciato gravi problemi di salute sulla popolazione. Il bilancio finale è di dodici morti. La polizia somala, sempre oggi, ha sparato su una folla di migliaia di manifestanti uccidendo cinque persone. Protestavano a Mogadiscio contro l’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari di base. L’iperinflazione, denunciavano, è determinata anche dalle pratiche di numerosi commercianti che impongono il dollaro statunitense nelle loro transazioni al posto dello scellino somalo, fortemente svalutato. Attualmente un dollaro USA si cambia con 25mila scellini somali. «Abbiamo la nostra moneta. Negarcela vuol dire toglierci la possibilità di sopravvivere. Per questo manifestiamo». E ancora: «Il dollaro non è la nostra moneta. Siamo somali». Questo veniva ripetuto dai manifestanti.

 

  • Corsica. 6 maggio. Un nuovo gruppo clandestino rivendica 26 attentati in Corsica. Un’organizzazione clandestina finora sconosciuta, FLNC 1976, ha rivendicato ieri 26 attentati registrati negli ultimi mesi in Corsica, specialmente contro seconde residenze, gendarmerie, sportelli del Crédit Agricole ed edifici dell’amministrazione francese. In un comunicato a una radio corsa, FLNC 1976 segnala che «dieci azioni [sono state dirette, ndr] contro residenze secondarie appartenenti a francesi o tedeschi» qualificati come «coloniali». «Abbiamo come obiettivo la riunificazione totale ed il rafforzamento del FLNC sulla base dei fondamenti della sua creazione storica, il 5 maggio 1976». Al momento, i principali gruppi armati in Corsica sono l’FLNC-Unione dei Combattenti e il FLNC del 22 Ottobre.

 

  • Gran Bretagna. 6 maggio. Le telecamere di sorveglianza in Gran Bretagna si sono rivelate un insuccesso. La criminalità infatti non è diminuita. Inoltre «solo nel 3% delle rapine in strada a Londra i responsabili sono stati catturati grazie alle telecamere a circuito chiuso, onnipresenti nella capitale». Lo ha detto il capo dell’ufficio Immagini, identificazioni e indagini video di Scotland Yard, Mike Neville, durante una conferenza stampa. «Miliardi di sterline sono stati spesi in materiali per la videosorveglianza ma nessuno ha riflettuto su come la polizia avrebbe usato le immagini e come utilizzarle nei processi. È un vero fiasco», ha continuato Neville.

 

  • Georgia / Russia. 6 maggio. L’ulteriore dispiegamento di truppe nella regione secessionista dell’Abkhazia da parte della Russia ha reso la possibilità di una guerra «molto vicina», secondo quanto detto oggi da un ministro della Georgia, ex stato sovietico. Precedentemente, il “ministro degli esteri” della regione separatista sul Mar Nero aveva detto di essere pronto a consegnare il controllo militare della regione alla Russia. «Dobbiamo assolutamente evitare una guerra», ha detto ai giornalisti da Bruxelles Temur Iakobashvili, ministro georgiano, che alla domanda su quanto la situazione fosse prossima allo scoppio di una guerra ha risposto: «molto vicina, perché conosciamo molto bene i russi». La Georgia, snodo cruciale per le forniture di energia nella regione del Caucaso, ha recentemente chiesto alla NATO di essere ammessa nell’Alleanza Atlantica, sollevando le ire dell’ex epicentro sovietico con cui divide una parte dei suoi confini. La Russia ha dichiarato che il rafforzamento delle truppe nella regione è necessario per contrastare quelli che secondo Mosca sono i piani della Georgia di attaccare l’Abkhazia, e ha accusato Tbilisi di voler coinvolgere l’Occidente nel conflitto, accuse che il governo georgiano ha respinto.

 

  • Bolivia. 6 maggio. Alta l’astensione al referendum di domenica degli oligarchi del dipartimento boliviano di Santa Cruz. A consultazione conclusa, i promotori gridano alla vittoria: l’85% di “sì” uscito dalle urne dimostrerebbe l’appoggio della stragrande maggioranza della popolazione alla richiesta di autonomia. Ma c’è un dato che non va dimenticato: l’elevato astensionismo (quasi triplicato rispetto alle elezioni del 2006). Il 40% degli aventi diritto è rimasto a casa (secondo alcuni questa percentuale sarebbe anche maggiore) e ai “no” vanno aggiunte le tante schede bianche o nulle. Secondo il ministro di Governo Alfredo Rada, «Santa Cruz si è divisa: un 50% si è astenuto, ha votato contro, ha annullato il voto o ha lasciato scheda bianca e un 50% ha votato sì». Un «completo fallimento» ha detto il presidente della Bolivia, Evo Morales, la consulta «illegale ed anticostituzionale» portata avanti nel dipartimento di Santa Cruz, il più ricco del paese, per approvare il suo statuto di autonomia. La posta in gioco è alta: lo statuto autonomo “approvato” il 4 maggio (e considerato privo di valore legale da parte di istituzioni nazionali e internazionali) assegna alle autorità locali potere legislativo ed esecutivo su salute, educazione e risorse naturali, concede la possibilità di creare nuove imposte, di approvare gli accordi e i convegni nazionali e internazionali che interessino il dipartimento, di costituire una propria forza di polizia, di decidere se consentire o no l’attività di associazioni, cooperative e ong (va ricordato che molte organizzazioni di difesa delle popolazioni indigene non concordano con le iniziative degli autonomisti). Il vero nodo di questo conflitto è il latifondo: c’è la terra dietro l’«autonomia» dei più ricchi. L’anomala distribuzione della terra in Bolivia è la causa profonda della condizione di privilegio di Santa Cruz. Che nessuno metta mano a questa anomalia è stato l’obiettivo vero del referendum autonomista di domenica.

 

  • Germania. 7 maggio. Berlino in guerra permanente. È quanto si propone la “Strategia per la sicurezza della Germania” approvata oggi dal gruppo parlamentare della Cdu-Csu. Con il pretesto della minaccia del “terrorismo transnazionale” si apre la porta alla militarizzazione della vita civile: «Le tradizionali distinzioni tra sicurezza interna e esterna, o tra stato di guerra e tempi di pace, sono ormai solo parzialmente applicabili». In questo stato l’esercito, oltre a tutelare la «sicurezza dell’approvvigionamento di materie prime» all’estero, dovrà intervenire anche all’interno del territorio nazionale. Un «Consiglio nazionale per la sicurezza», modello USA, dovrebbe essere installato presso la cancelleria, con il compito di coordinare l’impiego «anche preventivo» di tutti gli apparati di difesa civile e militare. Nel documento si propone tra l’altro di modificare la legge del 2005, che regola le forme di consultazione del parlamento sulle questioni militari, per consentire alla Bundeswehr di partecipare in tempi brevi «a interventi militari per fronteggiare crisi come parte di un dispositivo multinazionale». Il governo dovrebbe poter mandare subito i soldati; al parlamento resterebbe la possibilità di richiamarli indietro a cose fatte. Una procedura del tutto incostituzionale. Proprio ieri la Corte costituzionale tedesca ha precisato e rafforzato il ruolo di controllo del parlamento sulle missioni dell’esercito all’estero: l’assenso del Bundestag, spiegano i giudici di Karlsruhe, è sempre indispensabile quando si ravvedano rischi di coinvolgimento in conflitti armati, anche se le missioni avvengano nel quadro NATO. La Corte doveva pronunciarsi sulle modalità con cui nella primavera 2003 si decise di impiegare anche personale tedesco negli aerei Awacs della NATO inviati a sorvegliare lo spazio aereo turco in vista dell’invasione USA in Iraq. Il governo dell’epoca, la coalizione rosso-verde del cancelliere Schröder, sostenne che si trattava di compiti di «routine», implicitamente approvati dal parlamento con l’approvazione dei trattati istitutivi della NATO, e rifiutò di rimettersi al voto del parlamento. Il gruppo parlamentare liberale, all’opposizione, si rivolse a Karlsruhe: «Nella primavera del 2003 il governo avrebbe dovuto richiedere l’approvazione del Bundestag», hanno concluso i giudici in colpevole ritardo, dopo che la procedura urgente sollecitata nel 2003 dalla Fdp fu rifiutata tenendo conto «dell’interesse generale dello Stato e della affidabilità della Germania in materia di politica della sicurezza».

 

  • Libano. 8 maggio. Il governo filo USA ha dichiarato guerra ad Hezbollah. Nel corso di una conferenza stampa trasmessa da Al Manar, il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah ha detto che, ordinando la chiusura della rete di telecomunicazioni e del sistema di videosorveglianza delle piste dell’aeroporto gestita da Hezbollah e rimuovendo il comandante della sicurezza dell’aereoporto di Beirut, Wafiq Chouchairl, perché ritenuto vicino al movimento sciita, il governo di Fouad Siniora ha lanciato «una dichiarazione di guerra». In precedenza Naim Qassem, vice segretario generale di Hezbollah, aveva spiegato che «la rete telefonica è equivalente alle nostre armi. Coloro che hanno preso di mira il nostro network telefonico hanno come obiettivo le nostre armi. Ci stanno avvertendo di non combattere contro Israele». Nasrallah ha puntualizzato che questa rete, che copre le roccaforti di Hezbollah nel sud e nell’est del Libano, così come nei sobborghi meridionali di Beirut, è stata la chiave che ha consentito la vittoria della resistenza nella guerra con Israele dell’estate 2006. Il sistema esisteva già prima del Duemila, ma è stato aggiornato in modo da evitare che possa essere intercettato e ascoltato dal nemico, cosa che in passato aveva provocato la morte di molti membri della resistenza.

 

  • Libano. 8 maggio. Il segretario di Hezbollah ha pure aggiunto che mesi fa, di fronte alle perplessità della coalizione filo USA, erano state date ampie assicurazioni che la rete di telecomunicazioni non sarebbe mai stata sviluppata ed estesa alle roccaforti dei rivali interni. La maggioranza ha chiesto quindi che l’opposizione smobilitasse il sit-in in corso da un anno e mezzo nel centro di Beirut per chiudere l