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La Banca asiatica per lo sviluppo nocivo

di marina zenobio - 21/05/2008

 

«Leader mondiale in emissione di ipocrisia climatica», è l'originale definizione con cui esponenti della società civile e organizzazioni non governative hanno additato la Banca asiatica di sviluppo (Adb nel suo acronimo inglese) nel corso del suo 41/mo incontro annuale tenutosi a Madrid la scorsa settimana. Le critiche rivolte alla Adb è di fare solo chiacchiere sulla lotta ai cambiamenti climatici e di investire, invece, in mega progetti destinati all'estrazione di carbone in numerosi paesi asiatici. Chiacchiere e false promesse su un impegno per la ricerca di fonti di energia rinnovabili, che hanno permesso a Seethapathy Chander, vicedirettore per le relazioni con il settore privato dell'Adb, di ottenere « attenzioni» da parte di investitori privati. L'obiettivo della banca è che il capitale privato arrivi a finanziare il 50% dei progetti di sviluppo nella regione asiatica, dove circa 600 mila persone vivono con meno di un dollaro al giorno. L'anno scorso l'Adb ha attirato investimenti privati pari a 1.700 milioni di dollari, che hanno rappresentato il 26% del totale dei fondi allo sviluppo destinati alla regione e impegnati per progetti in campo energetico, del trasporto e delle comunicazioni. Solo una minima parte è stata utilizzata per lo sviluppo agricolo, opere sanitarie ed istruzione. Peccato che anche nel suo nuovo piano strategico a lungo termine, che va dal 2008 al 2020, l'Adb non abbia inserito nessun punto significativo in termini di sviluppo dell'agricoltura sostenibile e su serie ed efficaci misure per mettere un freno al riscaldamento globale, preferendo destinare parte delle sue risorse (quasi 450 milioni di dollari) al mega-progetto carbonifero di Mundra, in India, voluto dalla company locale Tata. Ma l'Adb dovrebbe sapere che il carbone è responsabile del 42% delle emissioni di Co2 asiatiche e che, al ritmo attuale, entro il 2030 tali emissioni sono destinate ad aumentare di circa il 40%. E non basta, l'Adb sta anche promuovendo le monocolture per la produzione di biocombustibili, messi all'indice per il loro impatto sulla sicurezza alimentare e sui cambiamenti climatici. Secondo l'agenda strategica adottata dalla Banca asiatica di sviluppo, saranno proprio gli investimenti del settore privato a sradicare la povertà nella regione asiatica. Probabilmente con progetti simili a quello di una compagnia britannica che pretende, per i prossimi trent'anni e in ragione dei propri investimenti in Adb, di sfruttare una miniera di carbone nella zona settentrionale del Bangladesh, ubicata in un'area di 60 chilometri quadrati dove attualmente si coltiva riso e dove di certo non manca l'acqua, proveniente dai molti fiumi che attraversano il territorio. Se non ci fossero però 150 mila persone da cacciare, l'impatto negativo sull'ambiente e sulla sicurezza alimentare di quel paese, dove il riso è il piatto forte. Per l'occasione Ahmed Mahmud Swapan, direttore della ong di Dhaka Voice for interactive choise & empowermente, ha ricordato che un anno fa circa 70 mila persone hanno protestato in Bangladesh contro lo sfruttamento minerario nel paese, e il saldo tra i manifestanti è stato di 5 morti e centinaia di feriti. Prevedibili le contestazioni da parte delle organizzazioni sociali e delle ong, Oxfam International in testa, che temono ripercussioni sulle comunità più vulnerabili, che potrebbero perdere le loro case, i loro diritti e il loro stile di vita. Secondo l'organizzazione con base ad Oxford, l'Adb continua a finanziare progetti di sfruttamento di combustibili fossili su grande scala mentre dichiara di voler promuovere fonti di energia rinnovabili. Per Jessica Rossien, rappresentate di Oxfam, la Banca dovrebbe essere un po' più coerente per quanto riguarda le sue iniziative e le sue operazioni, perché in molti casi quei «buoni» progetti prevedono la costruzione di infrastrutture senza considerazioni per l'impatto ambientale. Mentre per il ministro cambogiano all'economia e alle finanze, Aun Porn Moniroth, la Adb dovrebbe incentivare progetti nelle zone rurali, dove vivono i contadini più poveri.