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Sudafrica: una guerra tra poveri

di Siro Asinelli - 21/05/2008

 

Sudafrica: una guerra tra poveri


Il Paese icona della lotta alla segregazione razziale si è scoperto violentemente intollerante. Sono almeno ventidue i morti e centinaia i feriti delle vere e proprie cacce allo straniero scatenate negli ultimi giorni in Sudafrica a danno in particolare dei profughi provenienti dallo Zimbabwe, ma anche dalla Nigeria, dal Botswana e dal Mozambico, a decine di migliaia ammassati come bestie in campi sorti spontaneamente a ridosso delle periferie più degradate dei grandi centri cittadini sudafricani. Tre milioni di uomini, donne e bambini – queste le stime ufficiali - di potenziali obbiettivi dell’ondata di violenza a colpi di arma da fuoco e di machete, di caccia bidonville per bidonville, baracca per baracca, tanica di benzina per tanica di benzina. Una violenza cieca che non ha risparmiato neanche i bambini, alcuni caduti vittime delle bande improvvisate, delle ronde armate. Con un bilancio che si aggrava di ora in ora, difficile da aggiornare, difficile da confermare.
La dinamica degli incidenti, che dalla settimana scorsa sono proseguiti sino ad oggi, è ancora confusa e la tensione resta altissima nonostante il governo di Pretoria abbia assicurato la presenza massiccia delle forze dell’ordine nelle zone più colpite dall’ondata xenofoba.
La miccia che ha scatenato l’inferno è indecifrabile, ma molti analisti descrivono una situazione già da tempo pronta ad esplodere. Sotto accusa sono le istituzioni ritenute incapaci di gestire l’afflusso migratorio dagli altri Paesi africani. Afflusso che in Sudafrica è imponente e che si concretizza con il sorgere di baraccopoli su baraccopoli e con il nascere di nuove forme di sfruttamento salariale, dove i nuovi arrivati confluiscono nel mercato del lavoro nero sottraendo le già misere briciole alle masse indigenti sudafricane. Una situazione già vista – anche nell’insospettabile Europa - che in un Paese in cui la grande massa vive al di sotto della soglia della povertà, si è andata consolidando in una guerra strisciante tra poveri. Un Paese dove gli uomini e le donne che si mischiano con lo straniero diventano subito “traditori”; dove le politiche edilizie non riescono a soddisfare neanche il bisogno locale, figurarsi quello derivante dall’immigrazione; dove la criminalità, che qui spesso trova linfa e sostegno nell’appartenenza tribale, scatena odii per chiudere conti e controllare i traffici illeciti delle periferie.
Anche l’ambiguità delle leggi per l’immigrazione – manca ad esempio una definizione dello status di rifugiato politico – concorre ad esasperare una convivenza troppo spesso ferocemente concorrenziale. Falle legislative, raccontano testimoni, in cui spesso si muovono funzionari delle dogane corrotti e poliziotti di frontiera che chiudono entrambi gli occhi su traffici illeciti in uscita e di entrata. Una battuta che circola in Sudafrica e che rende l’idea del flusso di contrabbando tra le frontiere racconta che se devi ritrovare l’auto che ti hanno rubato a Pretoria o Johannesburg basta andare a cercarla in Lesotho, Swaziland, Mozambico o Zimbabwe. Gli abitanti sudafricani di molte periferie cominciano a sentirsi minoranze ed un luogo come Hillbrow, ad esempio, è stato da tempo ribattezzato “la piccola Lagos”.
Mentre il sobborgo di Alexandra sembra ormai tornato sotto controllo, la situazione appare ingestibile negli slums di Zandspruit, Hillbrow, Jeppestown, Thokoza Tembisa Cleveland, Hoenydew e Primrose, agglomerati periferici teatro delle violenze più dure. Testimoni citati dalle principali agenzie di stampa internazionali parlano di bande di decine, centinaia di giovani uomini che presidiano i sobborghi e scatenano cacce all’uomo senza tregua. Circostanze confermate alla stampa anche dal portavoce della polizia Govindsamy Mariemuthoo che ha reso noto come le forze dell’ordine abbiano arrestato nel fine settimana oltre duecento persone. Ma ha anche confermato che la situazione a Johannesburg è incandescente: tra domenica e lunedì le violenze si sono estese a gran parte della città, con saccheggi diffusi, distruzione di abitazioni e barricate sorte sulle principali vie di accesso alle periferie. Per Eric Goemaere, portavoce di Medecins Sans Frontieres, la polizia non può far altro che cercare di disperdere le bande, ma prevenire il dilagare delle violenze sembra compito impossibile.
Sul fronte delle istituzioni, il presidente Thabo Mbeki ha annunciato ieri l’apertura di un’inchiesta ufficiale, ma l’iniziativa difficilmente servirà a porre un freno alla violenza, al punto che l’influente vescovo metodista di Johannesburg, Paul Veryn, ha esortato le autorità a dichiarare lo stato d’emergenza e ad inviare l’esercito a ristabilire la calma. Una situazione esplosiva che ieri è stata anche al centro di una riunione d’emergenza della Commissione per i diritti umani del governo sudafricano il cui responsabile Jody Kollapen si è detto favorevole all’invio dei militari: “Se dobbiamo rendere sicure le nostre comunità e le nostre città, al di là dei normali compiti di prevenzione e repressione del crimine, ci dobbiamo chiedere se la polizia è in grado di farlo. Ci dobbiamo chiedere se non sia il caso di invocare l’intervento delle forze armate”.