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Panni sporchi

di Massimo Gramellini - 23/05/2008

Intercettata sul lungomare di Cannes, la signora Afef ha manifestato il suo disappunto per la trasposizione cinematografica di «Gomorra» e la biografia andreottiana «Il Divo», che avrebbero il difetto imperdonabile di parlare di mafia e camorra, anziché di rose violini e putipù. I panni sporchi si lavano in famiglia, ha detto la signora, facendo inconsapevolmente il verso ad Andreotti, quello vero, che commentò con le stesse parole il capolavoro del neorealismo «Ladri di biciclette». È curiosa questa tendenza a considerare i film alla stregua di dépliant turistici. Gli stranieri non scappano dal Belpaese perché gli italiani esportano la loro sporcizia al cinema. Semmai perché non riescono a smaltirla negli appositi cassonetti.

 Intendiamoci. Trovo insopportabili quei film che raccontano il male per puro compiacimento, mostrando una serie sconclusionata di sbudellamenti al finto scopo di denunciare la violenza, in realtà per attizzare la parte sadica dello spettatore. Ma «Gomorra» e «Il Divo» non sono macellerie gratuite. Rielaborando l’orrore attraverso il filtro dell’arte, producono consapevolezza in chi li guarda (almeno, si spera). Non è compito loro esportare le meraviglie italiane. A quelle dovrebbe dedicarsi un altro genere di film - commedie brillanti e romantiche, ambientate in scenari suggestivi - che purtroppo gli italiani non sanno fare, perché da noi l’unica alternativa al film impegnato resta il film sboccato. O Gomorra o Suburra: sempre panni sporchi, ma i secondi puzzano molto di più.