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Donne in nero, anzi nerissimo.... i pacifismi cari a quelli che fanno le guerre

di Fulvio Grimaldi - 24/01/2006

Fonte: uruknet.info

DONNE IN NERO, ANZI NERISSIMO
DALLA JUGOSLAVIA ALL'IRAQ ALLA PALESTINA I PACIFISMI CARI A QUELLI
CHE FANNO LE GUERRE


Voglio subito fare una premessa importante. Tra le "Donne in nero",
organizzazione internazionale di signore per la pace, contro la
violenza e per il dialogo (credo che così più o meno si descrivono)
di cui l'europarlamentare Luisa Morgantini è agguerrita capintesta,
ci sono persone che mi sono amiche, a cui voglio bene e di cui
ammiro l'impegno, la tensione morale, la buonafede, anche se non ne
condivido la piattaforma politico-culturale che, come quella di
tutti i pacifisti non-violenti, spesso ha come risultato più la
criminalizzazione della legittima autodifesa degli aggrediti che il
ripensamento degli aggressori. Detto questo, mi preme evidenziare
come, ancora una volta, tra corpo e testa, per dire persone e bonzi,
vi sia quella disparità di livello umano, etico in particolare,
contro cui nei tempi di borghesia dominante sbattiamo perennemente
il grugno. Basta pensare all'italiano lavoratore e pensatore medio e
poi, guardando in basso, sulla linea del tre palle-un soldo, a
Berlusconi, Fini, D'Alema, Fassino, Rutelli, Mastella, Bertinotti,
Schifani, Andreotti (i due ultimi nomi stanno bene insieme) e
compagnia cantante catto-mafio-massonico-sionista a scendere. O ai
vertici della Chiesa, con i vari papi e cardinali, principi del più
riuscito ricatto morale della storia, sodali dei nazi e dei loro
epigoni in Argentina, Cile, Washington, ovunque e, invece, guardando
in alto, ai preti e fedeli della Teologia della Liberazione, o a
quelli che, violando i precetti spudoratamente ipocriti e
strumentali della non-violenza, benedirono le armi dei partigiani
nelle varie, necessarie e sacrosante guerre di liberazione. O,
visione tanto raccapricciante quanto convincente, ai notabili di
Rifondazione Comunista, in perenne svolazzo adorante, come putti del
Tiepolo, intorno al taumaturgo aureolato, assiso sulla nube più alta
e luminescente e, ai loro piedi, la turba, vuoi afflitta e
recalcitrante, vuoi apecoronata, ma in ogni caso affogata nel buio
del dileggio e della non considerazione, degli iscritti e militanti.
Date un'occhiata alla lista dei candidati al parlamento scaturita da
uno Shanghai di Fausto e consorte sora Lella, giocato escludendo
rigorosamente tutti i bastoncini con il cerchietto rosso: dentro
lavapiatti, paggi, cortigiane, neòfiti appagati dallo strapuntino,
profeti del famolo strano, e voyeurs da Finestra sul cortile; fuori
comunisti e onesti. Il pensiero corre agli onirici orrori di
Hyeronimus Bosch.


E' da questo affresco di eletti e dannati che emergono,
indimenticabili, signore dalle facce inesorabilmente grifagne e i
corpi (oh "i corpi"! parola che non cessa di essere incessantemente
e voluttuosamente arrotolata nelle fauci di queste mature teoriche
del tardofemminismo da bombardamento. Freud avrebbe da osservare
qualcosa) inesorabilmente strabordanti, a riflesso di un ego
analogamente di taglia grande. Chissà, forse è per riequilibrare la
violenta radicalità dell'opzione non-violenta che molte di queste
dame, alla prova del confronto dialettico con i non convinti
preferiscono i "corpo-a-corpo" di tipo "wrestling" . Penso ad alcuni
archetipi di queste ginocrate con i cui "corpi" contundenti ho avuto
personalmente a che fare: Imma Barbarossa, Luisa Morgantini, Elettra
Deiana, Rina Gagliardi. Alle quali va appresso tutto un corteo di
pubbliciste androfobe che scrivono con le zanne. Imma Barbarossa,
che ora nella segreteria nazionale del PRC siede alla sinistra (ci
vuole davvero poco) del Signore, ricordo come mi assalì sul tabloid
da retrovie "Liberazione" nel momento in cui improvvidi compagni mi
avevano candidato al Senato nelle politiche del 2001. Le sue zanne
affondarono su un mio documentario, "Patria Palestina", criminogeno
sia per il titolo "patriarcal-maschilista", sia per non aver sparato
anatemi contro gli shahib con i sassi o anche le armi in pugno e
aver dunque fatto machistica propaganda militarista. Non male
azzannare alle spalle un compagno di partito impegnato nella
battaglia elettorale: perfetta scelta di tempo, Curzi e Bertinocchio
patrocinanti. Analogo servizio venne reso dall'omonima del pulitore
etnico svevo, distruttore dei liberi comuni d'Italia, ma carissimo
al papa, che se l'era dovuto appena vedere con la rivolta popolare
di Arnaldo da Brescia, quando in occasione di un congresso del
partito fece circolare un licantropico libello contro la maggiore
corrente di minoranza, in cui questi "reperti dell'orrido novecento"
venivano invitati in massa a recarsi a quel paese che non c'è.
Esemplare conduzione del confronto dialettico come si conviene tra i
trapassati dall'orrenda dittatura del proletariato all'affettuosa
democrazia borghese, nonché femminista.


Elettra Deiana , lo dice l'espressione stessa del volitivo cipiglio,
non la manda a dire. Personcina delicata e soprattutto nuovista come
esige il suo nume tutelare, suscitò increspature di stupore in un
Comitato Politico Federale quando decretò che la contraddizione
capitale-lavoro, di fronte a questioni epocali come il conflitto di
genere, i diritti dei gay e il taglio degli alberi, poteva, insieme
a tutti i vetusti circoli di partito che vetustamente vi
insistevano, andarsene al solito paese che non c'è. E qui Elettra mi
ricondusse col pensiero a una memorabile serata in casa di Fausto e
Lella, al termine del primo Gay Pride nazionale a Roma, quando, con
ancora nelle orecchie il fruscìo di organze e paillettes e negli
occhi lubriche calze a rete su irsuti polpacci, il segretario del
Partito nelle cui sedi, a suo dispetto, ancora occhieggiavano gli
augusti profili di Lenin, Fidel, Engels e Gramsci, si levò dalla
tavola e con parole alate e commosse diede l'annuncio urbi et
orbi: "E' nato il nuovo soggetto rivoluzionario!" Tragicamente,
dello storico vaticinio non rimase che un giornaletto di partito
metamorfizzato da organo della classe operaia, dei lavoratori e
delle avanguardie rivoluzionarie, in bollettino di gay, trans, bi,
lesbo, scambisti e quant'altro la fervida fantasia degli ormoni al
ballo delle debuttanti si premurerà di suggerire allo scopritore e
conducator di "nuovi soggetti rivoluzionari". Comunque l'impegno di
Elettra, autentica forza delle nature, non si limita alla
liquidazione dell'arcaica lotta di classe. Benemerita è la sua
accanita battaglia contro la guerra. Soprattutto perché fondata su
basi di ricerca e analisi davvero inconfutabili. Tornò da una sua
prima visita di tre giorni nell'Iraq di poco prima della guerra e
illustrò al volgo ignaro di un cinema le profonde conoscenze
acquisite. Primo: Saddam, il falso laico, sta islamizzando il paese
sprofondandolo nell'integralismo più oscurantista. Lo dimostra il
vertiginoso aumento delle donne velate. Secondo: Saddam, il tiranno
affamatore, ha messo in piedi un sistema di distribuzione di viveri
alla popolazione sotto embargo per schiacciare l'opposizione
prendendo la gente per la gola, meglio, per la pancia. Terzo:
Saddam, il sanguinario, consegnando le armi a milioni di iracheni,
intende militarizzare e maschilizzare l'intera società. Reduce da
una ventina di frequentazioni, anche recenti, del paese in
questione, volli inserire qualche lieve modifica del quadro
tracciato: l'aumento delle donne con velo era dovuto
all'immigrazione, dopo la prima guerra del Golfo, di un milione di
sciti fuggiti da un Sud annegato nell'uranio e, dunque, nei tumori;
e nel Sud forte è l'influenza di quegli ayatollah integralisti che
oggi, facendo strame e strage degli opposti all'occupazione,
garantiscono a USA e ascari vari la frantumazione del paese e un
relativo controllo almeno sul Sud. Il sistema di distribuzione
statale di viveri a ogni cittadino, giudicato dall'ONU "il più
efficiente e meno corrotto del mondo", ha permesso a 25 milioni di
iracheni per 13 anni sotto blocco genocida, di sopravvivere (e per
grazia di Saddam prepararsi a una resistenza che onora e salvaguarda
l'umanità). Quanto alla distribuzione di armi e l'addestramento al
combattimento di sei milioni di iracheni, non è forse il segno del
consenso che Stato e governo godevano, visto che ne basterebbe meno
di uno, di milioni, per rovesciare in poche ore un regime odiato? E
non è stata forse saggia preveggenza, constatato che è grazie a quel
provvedimento che oggi i guerraglobalisti sono impantanati e
bloccati dalla guerriglia irachena e impediti dal saltare addosso a
Siria, Venezuela, Bolivia, Cuba, Iran e a chiunque altro si
sottragga al bracconaggio imperialista?


Non ebbi modo di far giungere a Deiana queste modeste osservazioni
poiché, appena levato il dito a chiedere la parola, la senatrice e
dirigente del mio partito scattò in piedi, si gettò sulle spalle il
mantello e, con le guardaspalle in gonnella a farle cerchio, saettò
con la potenza megafonica dei suoi polmoni, sulle teste di un
centinaio di sbigottiti convenuti, queste parole: "GRIMALDI, VAI A
FARE IN CULO!". Non ultimo dei suoi meriti, questo del lessico, che
le garantirà il rinnovo del seggio tra quei commensali che questo
linguaggio praticano. Inevitabile l'accostamento con l'altra,
antropomorficamente non dissimile marescialla della panzerdivision
femminile bertinocchiana. Luisa Morgantini, donna in nero quanto
altre mai e perciò europarlamentare, molto, moltissimo ha fatto per
far emergere al mondo, contro i complotti negazionisti israeliani e
sionisti, la tragedia, la sofferenza, l'ingiustizia dei palestinesi.
Guai a non apprezzarlo senza riserve. Bassam Saleh, palestinese da
anni esule nel nostro paese, all'incontro, a queste denunce ha
offerto un dipiù: ai futili inviti al dialogo tra le parti, quella
occupante e stragista e quella occupata e resistente, ha
riconosciuto anche il diritto di battersi in armi contro i robocop
nucleari israeliani (anatema per Luisa), permettendosi inoltre di
condannare al secchione della storia varie mediazioni a perdere tra
buonisti israeliani e panciafichisti palestinesi, tipo Accordo di
Ginevra (caro a Luisa), che cancellavano cinque milioni di profughi
e prospettavano una Palestina sovrana meno del Lichtenstein. Di
questi due, Luisa candidata europea per il PRC e Bassam, candidato
dei Comunisti Italiani, tratteggiai un profilo in tali termini in un
mio "Mondocane". Mal me ne incolse: a un processo di partito per
lesa corifea della non-violenza si aggiunse, in occasione di un
pubblico presidio contro il Muro israeliano in Piazza Venezia, la
tonante obiezione della dialogante Morgantini. Partita alla carica
tra la folla dei manifestanti, giunse a large folate a pochi metri
dal reprobo e, indice atteggiato a Kalachnikov, scosse gli astanti,
i pini dell'aiuola e le giberne dei carabinieri con
l'anatema: "GRIMALDI, SEI UN BUGIARDO, UN OPPORTUNISTA E UNO
STRONZO". Dopodiché, immagino, ripiegate le falde e riordinate le
corde vocali, tornò a illustrare al mondo le virtù di dialogo, non-
violenza e pace.


Per giungere al finalone, passo rapidamente a Rina Gagliardi
condirettrice del foglio bertinocchiano. Al momento della mia
cacciata da "Liberazione" per aver scritto da Jugoslavia, Iraq e
Cuba cose sconvenienti per chi stava scalando governi e municipi con
bugiardoni e guerrafondai vari, un Sandro Curzi, direttore sì, ma
acciambellatosi sotto il tavolo, aveva mandato la Rina a reggere
l'assalto di diverse migliaia di compagni insofferenti a tali
censure. La condirettrice, agiografa in prima battuta di Bertinotti
e, in seconda, del compare D'Alema, forse perché entrambi
insuperabili volponi della tattica e bidonisti della strategia, mi
onorò di inquietanti attenzioni quando, come già ricordato, fui
radiato da "Liberazione". All'alluvione di lettere di protesta che
condivisero, a dispetto dell'antifidelista Bertinotti, la mia
valutazione dei "dissidenti" cubani come provati terroristi al soldo
degli USA, questa nom de plume del sovrano si rifugiò
nell'asserzione che il sottoscritto, fedifrago, aveva violato la
consegna di occuparsi nella sua rubrica di solo ambiente e poi, in
sconsolante contraddizione con se stessa, di aver deragliato dai
binari della "linea del partito". Ma Gagliardi sa volare anche più
alto dei corvi e, recentemente, impugnata la spada affilata del
moschettiere del re, si è perigliosamente spinta verso il baratro
dell'autodafé. Assisa sulle spalle di colui che passa nell'opinione
generale come il protagonista più narciso e autocratico di tutti i
boss di partito, del campione assoluto della sinistra politicista e
manovriera, dell'ospite in giuggiole di tutte le oscenità
teleservili nazionali, ha sganciato missili al cianuro contro coloro
che nel partito cugino - parenti serpenti - hanno deciso di
confinare nella panchina del parco, tra i piccioni, il vecchio padre-
padrone Armando Cossutta. E qui la Rina, corifea del croupier più
fico tra i biscazzieri della nostra classe politica, compie davvero
un prodigio di transfert: coloro che hanno fatto tale torto al
leader "carico di storia e di meriti anitifascisti", compreso quello
di aver chiamato alla testa del partito nientemeno che Bertinotti
(!), sono per la ghostwriter del principe "affetti da un virus". E'
il virus "della commistione organica tra il far politica e il
bisogno di affermarsi comandando. insomma quella spinta ad imporre
la propria individualità, o a far carriera a spese di qualcun altro,
che sembra una maledizione". Ma si parla di Marco Rizzo e Diliberto,
gli esecrati congiurati, o si rovescia in strada il peggio di casa
propria? Chi è che parlava del bue che dava del cornuto all'asino?
Per Bertolino, le Iene, Grillo, Vergassola, Guzzanti e Benigni un
copione da primati d'ascolto.


Finisco alla grande. Le conoscete le varie Monica Lanfranco, Angela
Azzaro, Lea Meandri, Lidia Menapace e ginolatre affiliate, che
costituiscono su "Liberazione" e altri malcapitati organi (non
maschili, per carità!) le sturmtruppen dell'androfobia e
dell'eterosessualità (di cui a momenti iniziamo a vergognarci). Vi
siete rotolati, come in un bagno di fango, nella loro prosa da
delirio fraseologico barocco sopra architetture concettuali di panna
un po' andata. Nell'era delle Condoleezza Rice, delle torturatrici
di Abu Ghraib, delle Madeleine Albright e Carla del Ponte, di pezzi
di umanità rasi al suolo in Iraq, Palestina, Afghanistan, in deserti
di fame e sete e in precariati a straffottervi, siete rimasti
inchiodati ai vostri sensi di colpa da una campagna mediatica dal
titolo come una mannaia:"Perché i maschi uccidono le donne?" Ebbene,
assistete ora al salto nella politica internazionale, nientemeno che
dal trampolino Nato, della più ineffabile di loro. Pensavate che i
depistaggi di genere, operati rispetto a questioni che coinvolgono
la sopravvivenza dell'umanità intera - guerre, terrorismi di Stato
travestiti da islamici, imperialismo, esaurimento delle risorse e
sfascio del pianeta, cancro da chimica, accumulazione di ricchezze
da rapina, armi di sterminio di massa stupefacenti compresi,
fascistizzazione galoppante - fossero una seccatura comunque
tollerabile dato che perlomeno erano finalizzati a promuovere
diritti individuali e civili disconosciuti? Che si trattasse di un
semplice squilibrio di prospettive e priorità? No, amici, qui si va
direttamente nella complicità con l'imperialismo e ci rimane poco da
ironizzare. Monica Lanfranco, sotto un titolo virgolettato che
proclama "Lesbiche e gay necessari per l'integrazione europea", si
occupa di Jugoslavia e di Slobodan Milosevic.


Una premessa, un ricordo. Era il maggio 1999 e sulla Serbia, Kosovo
da liberare compreso, grandinavano bombe mirate a ospedali, scuole,
ponti, case, fattorie, donne e bambini, vecchi, mucche, uccelli,
cani (pigiavano il pulsante la signora Albright con il servitore al
pezzo D'Alema). Mi incontrai in una sala pubblica dei sindacati, nel
centro di Belgrado, con una ventina di membri dell'opposizione,
Donne in nero in testa. Tutti questi democratici della "società
civile" (sostituto novista della classe dei lavoratori, e, ancor
più, dei partigiani in lotta per libertà e giustizia) si risentivano
alquanto dei missili italo-anglo-franco-germanico-americani perché a
volte passavano rasenti alle loro civili persone, ma aspettavano con
ansia l'arrivo del libero mercato, la fine di quel tanto di
socialismo che una Jugoslavia contaminata dalle ricette del Fondo
Monetario Internazionale aveva salvato, attribuivano a Milosevic
tutte le nefandezze dell'immaginario di una borghesia frustrata
nella sua avidità, rendevano grazie a un loro benefattore: George
Soros, il brigante della speculazione finanziaria agli ordine delle
elites, incaricato di distruggere sovranità e far avanzare il rullo
compressore del capitalismo mafio-massonico-sionista. Prime tra
tutti, le Donne in Nero di cui, più tardi, Luisa Morgantini, a
Jugoslavia sbranata e divorata e delinquenti neonazi insediati in
Serbia, Croazia, Bosnia e Kosovo, capeggiò in Montenegro nientemeno
che un "Convegno di Donne in Nero contro il fascismo serbo".


Degna emula, Monica Lanfranco, all'ombra di quel titolo mimetico
su "gay e lesbiche fondamentali per l'integrazione europea", si
avventa con i soliti artigli su serbi e Milosevic. Su una Serbia
dove non è che si tratta dell'immane tragedia di un popolo
devastato, colonizzato da vampiri multinazionali, soggiogato,
privato di sovranità, dignità, lavoro, futuro, ma della "necessità
di inquadrare le lotte per il raggiungimento dell'eguaglianza delle
identità sessuali nel contesto generale della delicata (sic!)
situazione politica del paese". Ed ecco una citazione dal documento
delle Donne in Nero che, non paghe dei precedenti ludibri belgradesi
e montenegrine, a fine anno hanno tenuto un incontro internazionale
a Belgrado: "Esprimiamo la nostra solidarietà con tutte/i le/i
militanti di questo movimento che durante e dopo il regime (sic) di
Milosevic ha contribuito allo sviluppo della società civile, la
promozione dei valori democratici e che continuamente ha resistito
contro la guerra, la militarizzazione (?), il nazionalismo (sic), il
fascismo (ancora!) e il patriarcato. Dal 1991, le lesbiche e i gay
hanno dimostrato in diversi modi la loro solidarietà con tutte le
vittime del dittatore (sic), trasformando la loro esperienza
quotidiana di oppressione in azioni di attività creativa. Tuttavia,
anche oggi, dopo che si è stabilito un governo democratico(sic) in
Serbia." Del postribolo immondo in cui i tagliagole UCK e Nato hanno
ridotto il Kosovo, privato di 300.000 serbi, 200.000 rom, 100.000
goranci, ebrei e altri, tra massacrati e cacciati (e ci raccontavano
che su 1 milione 800mila kosovari il 90% erano albanesi!) non una
parola, neanche fossero tutti eterosessuali. Boia e affossatori
della Jugoslavia pensano di scolpire il volto della Lanfranco sulla
montagna uranizzata sopra Belgrado.


Compagni, questo sconcio va avanti per sei colonne e, a parte
essersi guadagnata l'autrice un sospiro di sollievo e magari
riconoscimenti concreti da colui, Massimo D'Alema, che i serbi dalle
loro tombe ringraziano per avergli evitato di finire come "volgo
disperso che nome non ha" sotto i talloni dei vendicatori della
sconfitta nazista nei Balcani, non fa che scimmiottare nel piccolo
balcanico l'esaltazione imperialista di un'Oriana Fallaci di portata
planetaria. Il "dittatore" langue in condizioni di salute precarie
nel carcere di Scheveningen, alla mercè di sicari giuridici
assoldati dai serial killer USA. Il governo "democratico" plasmato
dalla Nato, attingendo alla criminalità organizzata serba, svende il
paese a fette e ha fatto fuori i diritti umani della collettività e
degli individui, dall'istruzione alla sanità, dal lavoro alla
dignità, dalla casa alla salvaguardia di un milione di espulsi dalle
loro terre. In Serbia qualcuno ricorda come il "dittatore",
accettando vittorie municipali e regionali di oppositori,
sopportando un sistema mediatico al 90% in mano a padroni prezzolati
dall'esterno e difendendo con il pluralismo etnico-religioso la
Jugoslavia contro i nazionalismi razzisti alimentati da quisling
fascisti nelle repubbliche mercenarie, fosse stato uno dei
governanti più coraggiosi, progressisti, antimperialisti,
antichauvinisti e democratici d'Europa. E che per questo andasse
rimosso. Onde, in risposta a una pulizia etnica attribuita ai serbi
ma inventata (e ormai universalmente smentita), si potesse procedere
nel mondo a quello sfoltimento di presenze libere e giuste che Nato
e briganti UCK con il supporto di Al Qaida-Cia inaugurarono in
Kosovo e che oggi si sta tentando in Iraq, Afghanistan, dappertutto.
Anche con il conforto di certe nerissime Donne in nero.

Alle donne, ai gay, a tutti coloro che si vedono utilizzati come
gradini della scala gerarchica ascesa da queste "sostenitrici", va
ricordato: occhio a chi vi parla di Serbi e Milosevic, di Iraq e
terrorismo, di democrazia e non-violenza. E' gente che spesso cuce
guanti di velluto per gli artigli dei violenti. E' lì che casca
l'asino. E anche la donna in nero. Baciando la mano e fornendo una
lente d'ingrandimento a chi di loro non avesse capito.

 
*MONDOCANE FUORILINEA