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Carlo Panella ovvero il versante fascio-islamofobo della propaganda sionista

di Antonio Caracciolo - 24/05/2008


Come «Informazione Corretta» e altri media presentano Israele, il Medio Oriente e la Palestina nelle analisi e nelle notizie di:

Versione 1.0
Testo in progress

Sommario: 1. Costernazione per una guerra civile mancata. – 2.

Prosegue la nostra raccolta di medaglioni con i quali cerchiamo di analizzare un insieme di pubblicisti l’un l’altro legati da comuni idealità politiche: scrivono sugli stessi giornali, si gratificano l’un l’altro, solidarizzano quando qualcuno di essi viene attaccato, fanno squadra, dicono le stesse cose sia pure con differenti tonalità. Non è una “lista nera” che vado redigendo, ma compio un normale lavoro di raccolta di scrittori omogenei allo stesso modo – ma su soggetto molto pià pregevole ed interessante – quale potrebbe essere una ricerca sui tacisti spagnoli del Cinquento, fra i quali possono trovarsi precursori di Carl Schmitt. È però giusto, in quanto cittadini, riservare parte delle proprie ricerche e del proprio studio alla contemporaneità, scoprendo mese per mese quel rapporto fra politica e cultura che anche in passato è stato assai dibattuto.

1. Costernazione per una guerra civile mancata. – Cliccando sul link si va ad un articolo di Carlo Panella – apparso su il “Foglio” e puntualmente ripreso dal megafono dei «Corretti Informatori – sulla vicenda libanese che si conclude con un accordo fra Hezbollah ed il governo libanese. Non ne faccio un consueto commento interlineare, ma mi limito ad una sua critica generale. La preoccupazione del filoisraeliano Carlo Panella è che il Libano possa diventare una Gaza – si noti bene – sotto controllo iraliano. Gaza, come ognuno sa, è un Lager a cielo aperto ed è quanto resto di un piano di pulizia etnica e di genocidio che data da quello che gli israeliani chiamano il giorno dell’Indipendenza ed i palestinesi la Nabka. Il libro di Pappe giunge dopo 60 anni a svelarci una verità che per troppo tempo è rimasta nascosta ai più. Una pubblicistica come quella di Carlo Panella, che trova una sua naturale collocazione nel “Foglio” di Giuliano Ferrara è parte integrante di un piano di nascondimento del genocidio all’interno della stessa Israele anche attraverso un piano di autoinganno dei suoi cittadini ma soprattutto è parte di un inganno sistematico dell’opinione pubblica europea. Ciò che il nome Gaza evoca nel signor Panella (con una enne per non confonderlo con Pannella) non è l’orrore di genocidio che con brutale freddezza e determinazione dura dal primo giorni in cui gli occupanti sionisti misero piede in Palestina. Suscita invece il timore che il diverso «Olocausto» consumato sulle vite dei palestinesi possa produrre quell’unità politica del mondo arabo che dà senso alle parole di Amadinejahd: la cancellazione di Israele dalla carta geografica, dove peraltro già non esiste se si leggono le mappe arabe. Credo che il vero senso di questa affermazione deliberamente e strumentalmente travisata, ammesso che sia mai stata pronunciata, vada ricercato nell’enormità dei crimini efferrati con cui un pugno di avventurieri, che ha pure compromesso moralmente il nome ebraico, ha inteso trapiantarsi su una terra non sua, scacciandone come mai si è visto gli originari abitanti. Un simile crimine non può che suscitare una generale indignazione morale quanto più esso diventa consapevole. Sarà la reazione morale, non la forza delle armi, a cancellare quell’anacronistica mostruosità politica edificata nel più totale disprezzo di quei “diritti umani” che l’Occidente non cessa di sbandierare. Delle due l’una: o cessa la retorica dei diritti umani o cessa lo Stato ebraico – sionista e nazista – magari per far posto a quello Stato Unico dove possano convivere vittime e carnefici, ma che ove fosse sarebbe la morte di Israele, cioè la sua cancellazione dalla carta geografica in quanto Stato basato sulla violenza e sull’apartheid. Poiché il nostro tempo di diletta di processi ai criminali di guerra, non è per nulla escluso che in una simile prospettiva molti nomi che ora sono nel pantheon degli eroi debbano emigrare nella schiera dei criminali.

Ai sionisti urta l’idea che gli avversari di Israele abbiano il diritto di tenere armi. Ed in effetti, dal 1948 in poi la politica israeliana è stata quella di uccidere vittime disarmate, o meglio di ritenere che dei sassi fossero già armi tali da poter giustificare il possesso israeliano di più sofisticate fino alla bomba atomica e relative rappresaglie (interessante il numero sionista 35, di gran lunga superiore al 10 ardeatino degli stessi anni): l’atomica contro i sassi. Pappe nel suo libro parla di atrocità terroristiche (fino a dotarsi di armi chimiche per l’accecamento dei palestinesi) già nel 1948 da far ritenere sistematiche e deliberate menzogne i comunicati governativi israeliani lungo i 60 anni di storia infame. Ma nel sistema capillare e diffuso della menzogna bisogna aggiungere articoli come questi di cui tralascio la consueta analisi testuale.

Hezbollah – si è detto acutamente – non è caduto nel tranello della guerra civile, su cui tanto speravano gli amici di Israele, che vede la sua fortuna nella divisione politica del fronte nemico ed in una progressiva espansione della guerra a tutto il Medio Oriente: Afghanistan, Iraq e si spera anche Iran. Se l’11 settembre non ci fosse stato, lo si sarebbe dovuto inventare. Ma non è detto che le cose debbano per forza andare nel modo in cui sono stati programmate da menti perfide. La pace siglata in Libano, anziché la guerra civile, è un evento che suscita ottimismo o pessimismo a seconda del fronte in cui ci si trova schierati. Da che parte stia Carlo Panella lo so già da un bel po’ e questo suo articolo me ne offre conferma.