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Un menù per salvare la biodiversità

di Galapagos - 24/05/2008

 

Biodiversità: proviamo a fare un esempio alimentare. Un menù apparentemente un po' bizzarro: per antipasto una «frittata di fiori e erbe». Oltre alle uova, fiori commestibili e erbe come dragoncello, cerfoglio, erba piperita. O magari delle «schiacciatine ai semi di carvi», per i più raffinati «gonfiotti di ricotta alle ortiche». Per il primo lo chef consiglia «sedanini di kamut» (il kumut è un precursore del grano duro); per secondo «maialino nero dei monti lepini» (la biodiversità interessa anche la fauna) impreziosito da erbe spontanee. Contorni in abbondanza: «patate novelle all'aglio orsino», «pastinache al marsala» e «germogli di rovo al forno». Infine il dolce: «granita di gelsi neri».
Sarebbe interessante sapere quanti lettori conoscono gli ingredienti usati per il menù proposto. Probabilmente pochi. La colpa è delle «semplificazione» delle coltivazioni, che ha portato a una progressiva scomparsa delle biodiversità. I numeri presentati ieri da Vas (l'associazione Verdi, ambiente e società) e Cia (la Confederazione italiana degli agricoltori) anche se noti agli esperti, vale la pena ricordarli: le specie vegetali coltivate nel mondo si sono ridotte a 150. Di queste sono solo 12 quelle che forniscono il 75% degli alimenti per l'uomo e solo 4 rappresentano più del 50% dell'alimentazione, siamo di fronte a una «semplificazione» derivante dall'omologazione delle varietà genetiche voluta dai grandi gruppi industriali che monopolizzano il mercato globale, i quali preferiscono «offrire una ristretta gamma di prodotti, uguali in tutto il mondo, piuttosto che differenziare la produzione in base alle esigenze specifiche dei territori, delle culture, dei cittadini». Da qui nasce la difesa delle biodiversità per evitare nuovi «scempi» dei quali Vas e Cia ci danno altri esempi. Quello della frutta è esemplare: a fine '800 esistevano 8.000 varietà, oggi poco meno di 2.000. Caso emblematico è la mela: all'inizio del '900 in Europa se ne contavano 5.000 varietà; oggi non superano le 1.800. Inoltre in Italia circa l'80% delle mele prodotte appartiene solo a quattro gruppi di cultivar. Negli Usa non va meglio: a fine '800 crescevano 7.100 varietà di mela; oggi di 6.800 di loro non si trovano più. Dati drammatici anche per i fagioli (è scomparso il 95% delle varietà conosciute) e per i pomodori (le varietà scomparse sono l'81%).
La situazione paradossale è che l'agrobiodiversità è in pericolo non perché ci sia disinteresse alla conservazione, ma perché ce n'è troppo: è diventata la fonte di un grande business da parte delle grandi multinazionali che hanno il monopolio della vendita di Ogm (organismi geneticamente modificati) attraverso anche il brevetto dei semi. Al contrario, attraverso la conservazione delle biodiversità si riuscirebbe a risolvere i problemi dell'agricoltura dei paesi poveri e contrastare l'aumento - molto speculativo - dei prezzi delle materie prime alimentari. Questo significa che ogni territorio deve essere aiutato a sviluppare le coltivazioni autoctone, recuperando anche molte delle specie scomparse.
Domenica prossima si svolgerà la giornata mondiale delle biodiversità e in quest'occasione si terrà anche la terza edizione della «Giornata nazionale Mangiarsano» il cui obiettivo (per Vas e Cia) è sviluppare un nuovo modello agroecologico su cui costruire il futuro dell'agricoltura italiana e mondiale. In primo luogo con il recupero della biodiversità che sta scomparendo e va rivalorizzata. Ma anche con un modello che coniughi «il rispetto per l'ambiente e le risorse naturali con la garanzia di un reddito adeguato per i produtori e con una produzione di cibo sano legato al territorio e alle tradizioni alimentari». Insomma, un modello di consumo alimentare ecosostenibile e socialmente condiviso. Che, poi, potrebbe portare nei territori interessati a forti riduzioni dei costi soprattutto se la ristorazione desse una mano scegliendo saggiamente di uscire dalla semplificazione.