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Libano, le grandi sfide che attendono il presidente

di Jim Muir - 26/05/2008





Beirut - Prima che ripulisse la sua scrivania al ministero della Difesa a Yarzeh, domenica, in attesa di spostarsi nel palazzo presidenzia nella vicina Baabda, il generale Michel Suleiman aveva solo una grande foto accanto al suo computer.

Era del suo ex capo delle operazioni, il generale Francois al-Hajj, assassinato il 12 dicenbre dello scorso anno, quando la sua auto venne fatta saltare in aria mentre si recava al lavoro a Yarzeh.

Ufficialmente non è ancora noto chi ha ucciso il generale al-Hajj, e perché.
I sostenitori di entrambe le parti – l’assediato governo sostenuto dall’Occidente, e l’opposizione capeggiata da Hizbollah e sostenuta da Siria e Iran – hanno preso parte al suo funerale, così come adesso stanno sostenendo il generale Suleiman come prossimo presidente del Paese.

Ma il messaggio era chiaro. Nessuno è immune dalla violenza e dalle sinistre macchinazioni degli assassini che hanno rivendicato così tante vittime in Libano a partire dagli anni settanta.

Due dei predecessori di Michel Suleiman alla presidenza sono morti in maniera violenta poco dopo essere stati eletti.

Nel 1982, Bashir Gemayel morì bruciato tra le macerie del quartier generale del suo Partito falangista, abbattuto da una massiccia esplosione. Era stato portato al potere dall’invasione israeliana.

Nel 1989, Rene Muawwad fu ridotto a brandelli quando il suo corteo venne colpito dall’esplosione di una potente auto-bomba. Era stato eletto, come il generale Suleiman, come risultato di un accordo sostenuto dalla Lega Araba, raggiunto a Taif, in Arabia Saudita.

Dunque, Michel Suleiman entra in carica senza illusioni circa i duri aspetti dalla vita e della morte in Libano. Ed è anche ben consapevole delle limitazioni che confinano il suo "potere".

Neutrale e unito

Come il suo diretto predecessore, Emile Lahoud, arriva alla Baabda dal comando di un esercito che, sebbene rispettato, rispecchia la complessa frammentazione della mescolata società libanese, in una maniera tale che non gli consente di giocare  il ruolo politico di coesione che i militari si sono assunti in molti Paesi della regione, come la Turchia o l’Egitto.

Quando i libanesi si rivolgono all’esercito per sceglier un adeguato cristiano maronita, come stanno facendo adesso per la terza volta, è perché i politici non sono riusciti ad arrivare ad un nome accettabile, abbastanza neutrale per ottenere il sostegno bipartisan, e non perché l’esercito si sta intromettendo nella politica.

Michel Suleiman ha ottenuto il sostegno di tutte le fazioni grazie alla abile maniera in cui è riuscito a mantenere l’esercito neutrale e unito nel mezzo delle ondate conflittuali che lo hanno scosso negli ultimi anni.

All’inizio dello scorso anno, ad esempio, ha rifiutato l’ordine da parte del governo sostenuto dell’Occidente di intervenire e rimuovere le barricate con cui Hizbollah e i suoi alleati stavano bloccando le strade per protestare contro le politiche del governo. Credeva che in quel modo avrebbe preso una parte.

Lo scorso anno ha ricevuto elogi da ogni parte per l’azione dell’esercito nella sconfitta dei militanti sunniti di Fatah al-Islam nel campo profughi palestinese di Nahr el-Bared, nel corso di diversi sanguinosi mesi.

Ma quando Hizbollah e i suoi alleati hanno invaso Beirut ovest all’inizio di questo mese, saccheggiando uffici e dando fuoco a giornali appartenenti alla leadership sunnita, ha emanato ordini restrittivi alle sue truppe di non intervenire, anche se prese di mira.

Ciò ha prevenuto l’esercito dal frammentarsi lungo linee confessionali, com’è accaduto durante la guerra civile.

Poteri limitati

Ma la preservazione dell’unità è stata ottenuta al prezzo del riconoscimento della sua debolezza e della sua incapacità di fronteggiare Hizbollah, che – come tutti sanno – è sia più forte che più coesa.

"Lo tengono in pugno ancor prima che abbia iniziato", è stato il commento di un analista di Beirut.

L’influenza politica del nuovo presidente sarà limitata anche dall’accordo raggiunto in Qatar sulla composizione del nuovo governo di unità nazionale.

Secondo una delle proposte che circolavano in precedenza, la distribuzione dei trenta seggi del gabinetto sarebbe stata suddivisa in dieci all’attuale coalizione di governo, dieci all’opposizione e dieci nominati dal presidente.

Ma l’accordo di Doha raggiunto la scorsa settimana assegna 16 seggi alla coalizione sostenuta dall’Occidente, 11 all’opposizione, e solo tre al presidente.

Ciò vuol dire che l’opposizione godrà del potere di veto di un terzo di cui ha bisogno per impedire ai suoi rivali di prendere le decisioni più importanti che necessitano della maggioranza di due terzi.

Al tempo stesso, l’accordo lascia all’attuale coalizione di governo, che ha un sottile vantaggio in Parlamento, la maggioranza assoluta di cui necessità per approvare le misure minori.

In questo modo, i tre seggi del generale Suleiman non costituiranno l’ago della bilancia in nessuna delle due situazioni.

Egli ha dichiarato che vede il periodo in arrivo come quello della "riconciliazione e dell’intesa".

Dato che è la sola figura di spicco nella struttura di potere che non è chiaramente identificata di parte, egli avrà un ruolo importante da giocare nel portare avanti questi due concetti.

Ma (Suleiman) arriva all’incarico senza esperienza politica, e avra a che fare con leader che hanno decadi di mestiere nelle manovre bizantine e nella manipolazione.

"Mi chiedo come farà a tenere testa a quegli squali!", ha dichiarato una fonte libanese ben informata che conosce il generale Suleiman.

"Punto basso"

Per quelli che lo circondano, il nuovo presidente è un uomo tranquillo che emana efficienza, modestia e rispetto verso gli altri.

"Non è una persona arrogante, ma a differenza di alcuni uomini tranquilli, non coltiva nemmeno sentimenti di potere", ha detto uno di loro.

Altri presidenti libanesi, compreso Emile Lahoud, sono entrati in carica in una posizione elevata, cavalcando un’onda di unità e popolarità – solo per vedere la loro stella calare rapidamente insime al loro divernire seguaci di di qualche prominente politico o dei loro sponsor esterni.

"Suleiman sta entarndo (in carica) da un punto basso, e la domanda è se egli risalirà, o andrà ulteriormente a fondo", dice un analista libanese.

La cosa certa è che, nei mesi a venire, Michel Suleiman attingerà pesantemente dalle qualità che gli hanno consentito, negli ultimi anni, di guidare l’esercito attraverso il campo minato da cui è sopravvissuto.

di Bbc News
(Traduzione di Carlo M. Miele per Osservatorio Iraq)