Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Thoreau o della solitudine, un modello « alternativo » sempre attuale

Thoreau o della solitudine, un modello « alternativo » sempre attuale

di Francesco Lamendola - 27/05/2008

 

Rileggiamo un brano di Henry David Thoreau, tratto dal suo classico Walden o vita nei boschi (titolo originale: Walden; or Life in the Woods, traduzione italiana di Piero Sanavio, Milano, Editoriale Opportunity Book, 1995, p. 127):

 

È una di quelle serate deliziose in cui tutto il corpo è un solo senso, e inspira felicità attraverso ogni poro. Vado e vengo nella Natura con una strana libertà e sono parte di essa. Mentre cammino lungo la pietrosa riva del lago, in maniche di camicia, malgrado ci sia un vento fresco e il cielo sia coperto, e io non veda nulla di particolare che attragga la mia attenzione, tutti gli elementi mi sono stranamente congeniali. I ranocchi strombettano per annunciare la notte e la nota del caprimulgo e portata sul sussurro del vento da sopra l'acqua. La comunione con lo stormire dell'ontano e con le foglie del pioppo quasi mi toglie il fiato: e tuttavia, come il lago, la mia serenità è increspata, non arruffata. Queste piccole onde alzate dal vento serotino sono altrettanto lontane dal divenire tempesta quanto la liscia, speculare superficie. Sebbene ora sia buio, il vento continua a soffiare e ruggire nel bosco, le onde continuano a sbattere, e degli esseri cullano il riposo con le loro note. La quiete non è mai completa. Ora gli animali più selvaggi non riposano, ma cercano le loro prede; le volpi, la puzzola, il coniglio, ora vagano senza paura per campi e per boschi. Sono le sentinelle della Natura - legami connettivi dei giorni di vita animata.

 

L'esperienza di Thoreau, in una capanna di tronchi d'albero presso le rive del lago Walden; l'esperienza della vita fra i boschi, nel fresco abbraccio della natura; l'esperienza della solitudine gioiosa, della contemplazione estatica della natura, delle lunghe ore di meditazione distaccata e serena, lasciandosi invadere dalla pace interiore.

È un modello «alternativo» tuttora ricco di fascino, tale da riempire di nostalgia gli abitanti delle città congestionate della società industriale: una finestra spalancata su un altro modo di sentire, di pensare, di vivere; dove pensieri ed emozioni corrono in libertà, come il soffio del vento in primavera, e non sono scanditi dalle lancette dell'orologio o dai fogli del calendario, né incalzati dallo spettro della fretta, della produzione e del consumo. Un modello che ha ancora tanto, tantissimo da dire ai giovani: una tenda, un sacco a pelo, e il cielo stellato sopra la testa e le voci del bosco tutto intorno: il gorgogliare dell'acqua del ruscello, lo stormire dei rami degli abeti, il frinire delle cicale, il fischiare dei merli…

Dove parlano le voci della natura, tace il disarmonico rumore della città; e l'anima ritrova i suoi spazi, i suoi benefici silenzi, i suoi orizzonti vasti e salutari. Sì, l'anima ha bisogno di spazio: ha bisogno di sentire la brezza odorosa sulla pelle, il calore del sole, lo scorrere della pioggia, il respiro possente della terra bagnata e gonfia di umori, di linfe, di vita.

Naturalmente, non tutti possono piantare lavoro e famiglia e andarsene a vivere per un anno o due in una baracca di tronchi d'albero in riva a un lago. Non importa. Walden è, innanzitutto, un luogo dello spirito: un desiderio, uno stato d'animo. Non tutti possiamo andarcene in mezzo ai boschi quando ci pare; ma tutti possiamo farlo in spirito, creando uno spazio di solitudine e di raccoglimento nel profondo di noi stessi, e mettendoci ad ascoltarne le voci.

Perché è certo che esse verranno a noi, se solo saremo capaci di fare abbastanza silenzio e se sapremo mettere a tacere tutti i rumori inutili e molesti, le ansie divoranti, le preoccupazioni nevrotiche, il chiasso con cui cerchiamo solitamente di stordirci.

Per poter ritrovare noi stessi, è necessario che torniamo a imparare come si fa silenzio, e ad ascoltare le voci della natura all'esterno, e le voci dell'anima all'interno: finché le une e le altre  intrecceranno un canto a più voci, armonioso e amichevole.

 

In ogni caso, per chi ne ha la possibilità, l'osservazione della natura, la sua contemplazione disinteressata, è una infinita sorgente di scoperte, di stupori, di profonde emozioni; e, di nuovo, non è necessario fuggirsene in capo al mondo. Anche un pezzetto di cielo e un piccolo giardino - meglio se incolto; anche un angolo qualsiasi di verde, con un paio d'alberi e qualche cespuglio, può esser sufficiente. Specialmente nelle ore in cui la presenza dell'uomo si fa meno invasiva, non sarà difficile scorgere un brulicare di vita animale: di insetti, di farfalle, di uccelli di varie specie -passeri, merli, tortore, rondini; e poi grilli e cicale; e di pipistrelli, a sera; di cani e, soprattutto, di gatti: regali, silenziosi, onnipresenti: molto più numerosi di quanto si sarebbe mai potuto immaginare.

Basta spezzare un po' di briciole sul balcone, per vedere i passeri posarsi sul terrazzo e perfino sul davanzale della finestra. Lo faceva anche il poeta Giuseppe Ungaretti, nella camera d'ospedale ove il suo bambino stava morendo per una banale appendicite mal curata, affinché il cinguettio delle bestiole portasse una nota lieta in quel dramma devastante.

D'inverno, specialmente con il freddo e la neve, i piccoli animali sono affamati, ed è più facile attirarli o, comunque, osservarli mentre si avvicinano alle abitazioni, in cerca di qualunque cosa possa placare i morsi della fame.

Ecco come Thoreau descrive questi graditi e commoventi visitatori invernali della sua capanna di tronchi, nel paesaggio innevato e terso come cristallo, non lontano dalle sponde ghiacciate del piccolo lago Walden (Op. cit., pp. 252-253):

 

Di solito, lo scoiattolo risso (Sciarus Hudsonius) mi risvegliava all'alba, correndo sul tetto e su e giù per le pareti della casa, quasi fosse stato mandato fuori dei boschi a questo scopo. Durante l'inverno gettai sulla crosta della neve, presso la mia porta, mezzo staio di pannocchie di grano dolce che non s'erano maturate, e mi divertii così a spiare i movimenti dei vari animali che ne erano attratti.  Al crepuscolo, o di notte, venivano regolarmente i conigli, per farvi un pasto sostanzioso. Per tutto il giorno gli scoiattoli rossi andavano e venivano, divertendomi con le loro manovre, Uno si avvicinava, dapprima cautamente, attraverso gli arbusti di quercia, correndo sopra la crosta della neve, a scatti e a colpi, come una foglia spinta dal vento, facendo, con meravigliosa rapidità e spreco di energia, qualche passo da questa parte, affrettandosi incredibilmente, con le sue zampe, come per una scommessa, e poi faceva altrettanti passi nell'altra direzione, e però senza fare mai più di mezza pertica per salto; quindi, con espressione comica e una capriola gratuita, si fermava, come se gli occhi dell'universo fossero fissi su di lui, ché i movimenti d'uno scoiattolo, anche nei più solitari recessi della foresta, suppongono spettatori, come i movimenti d'una ballerina (infatti non ne vidi mai nessuno che camminasse); poi, improvvisamente, prima che si potesse dire «effete», era già sulla sommità di un pino, caricandosi l'orologio, e rimproverando tutti gli spettatori immaginari, recitando un soliloquio e parlando a tutto l'universo contemporaneamente - per nessuna ragione che io potessi scoprire o della quale esso fosse conscio, credo. Alla fine arrivava al grano e, scegliendo una bella pannocchia, saltellava nello stesso incerto modo trigonometrico sullo stecco più alto della mia catasta, davanti alla finestra, da dove mi guardava; stava là per delle ore, di tanto in tanto rifornendosi di nuove pannocchie, che prima rosicchiava vorace e che poi gettava in giro, quasi spoglie, finché poi si faceva ancora più delicato e giocava con il suo cibo assaggiando solo la parte interna dei chicchi, e la pannocchia che, con una zampa, teneva in equilibrio sullo stecco, scivolava alla sua stretta trascurata e cadeva al suolo. Allora la guardava con una comica espressione d'incertezza, quasi la sospettasse dotata di vita, non sapendo se raccoglierla o doverne prendere un'altra, o andarsene; ora pensando al frumento, ora tendendo l'orecchio per sentire la voce del vento. Così il piccolo impudente sciupava molte pannocchie in un solo pomeriggio; finché, alla fine, afferratane una più lunga e rotonda e notevolmente più grande di lui, e tenendola abilmente in equilibrio, fuggiva con essa nei boschi, simile a una tigre con un bufalo, con la stessa corsa a zigzag e le stesse pausa frequenti, graffiandosi, con essa, come se fosse troppo pesante per lui, cadendo ogni istante, diagonalmente, ma deciso a ogni costo a portare l'impresa a compimento; era un compagno singolare ed estroso; così, con la pannocchia, si trascinava dove viveva, forse anche sulla vetta di un pino a quaranta o cinquanta pertiche. Più tardi, io trovavo le pannocchie sparse nel bosco, in varie direzioni.

Alla fine arrivavano le ghiandaie, di cui si udivano le grida discordanti mentre, con cautela, esse si avvicinavano fino a un ottavo di miglio; furtive e segrete, volavano di albero in albero, avvicinandosi sempre di più, e raccoglievano i chicchi lasciati cadere dagli scoiattoli. Poi, posandosi frettolosamente sul ramo di un pino, tentavano frettolosamente di inghiottire un chicco che, troppo grosso per la loro gola, pareva soffocarle; e con grande fatica lo rivomitavano, e poi impiegavano un'ora tentando di schiacciarlo con ripetuti colpi di becco. Erano proprio ladre, e non avevo molto rispetto per esse. Ma gli scoiattoli, benché dapprima fossero timidi, si rimettevano al lavoro come se ciò che prendevano fosse di loro proprietà.

 

Ma Thoreau non è solo un contemplativo; è anche un ribelle. Uno che, bel 1846, finisce in prigione nella sua Concord (e sia pure per un giorno) per essersi rifiutato di pagate le tasse al Governo, del quale disapprova profondamente la decisione di muovere guerra al Messico e di invaderlo con un esercito, dopo avergli già sottratto il Texas. In un certo senso, egli è stato l'iniziatore della disobbedienza civile, un progenitore di Tolstoj e di Gandhi.

Egli, dunque, rappresenta l'altra America, un'America mite e gentile, per la quale non tutto può essere tradotto in denaro; per la quale l'iperattivismo chiassoso e nevrotico, il materialismo brutale e la feroce volontà di dominio sulle cose, non sono l'unico scopo nella vita. Un uomo che, davanti allo spettacolo toccante di una natura ancora incontaminata (ma per poco: ed eravamo solo alla metà dell'Ottocento!), non riusciva a capacitarsi che si potesse denominare un lago, azzurro come il cielo, Lago di Flint: come se il primo proprietario venuto a stabilirsi sulle sue rive, senza amore, senza dolcezza, bramoso soltanto di trasformare le cose in denaro sonante, avesse il minimo diritto di dare il proprio nome a una simile meraviglia della natura.

La sua critica alla civiltà del consumo e dello spreco è addirittura profetica, se si pensa che egli scriveva tali cose oltre centosessant'anni fa (era nato nel 1817 e morì nel 1862). E, al paragone, le sue pagine non sfigurano affatto, anzi, accanto a quelle di tanti autori ecologisti che oggi vanno per la maggiore, gonfi di studi universitari, di statistiche, di cognizioni giuridiche, chimiche, biologiche - ma, in fondo, poveri di anima.

 

Ecco come Thoreau misura lo sconvolgimento portato, sulle quiete rive di un lago di montagna, dalla cosiddetta civiltà e, in particolar modo, dalla ferrovia, simbolo del progresso e di tutto ciò che l'ideologia sviluppista reca con sé in fatto di devastazione ambientale (Op. cit., pp. 181-182):

 

Quando, per la prima volta, passai in barca su quel lago, esso era completamente circondato da spessi e alti boschi di pino e di querce, e in qualcuna delle sue insenature le viti avevano coperto gli alberi, presso l'acqua, formando frascheti, sotto i quali poteva passare una barca. Le colline che formano le sue rive sono tanto ripide, e i boschi su di esse erano tanto alti che, guardando dall'estremità occidentale, esso sembrava un anfiteatro per qualche spettacolo silvano. Ho passato molte ore, quando ero più giovane, a fluttuare sulla sua superficie, seguendo lo zefiro, dopo avere portato la barca fino in mezzo allo specchio, e giacendo, steso sulla schiena, sopra i sedili in un mattino estivo, sognando a occhi aperti - finché non ero scosso dal fondo della barca che toccava la riva; allora mi alzavo per vedere a quale spiaggia i miei fati mi avessero spinto. Erano giorni nei quali l'ozio era il più attraente e produttivo impiego di tempo e di capitale. Sono scivolato via, così, per più di una mattina, preferendo scialacquare in questo modo la parte più preziosa del giorno; ché ero ricco, se non di soldi, d'ore solatie e giorni estivi, che spendevo prodigamente; né mi dispiaceva non averne sprecate di più nel laboratorio, o a scuola. Ma dacché lasciai quelle rive, gli spaccalegna le hanno rovistate ancor di più, e ora, per molti anni, non si potrà più vagare tra le navate del bosco, che di tanto in tanto si spalancavano per mostrare l'acqua. La mia Musa può ben essere scusata se da allora non canta più. Come ci si può aspettare che gli uccelli cantino, quando i loro boschetti sono abbattuti?

Ora i fusti degli alberi sul fondo, la vecchia canoa di tronchi e gli scuri boschi circostanti sono tutti scomparsi, e gli abitanti del villaggio, che sanno appena dove questo lago si trovi, invece di andarvi a bere o  a bagnarsi, stanno pensando di trasportarne l'acqua (che dovrebbe essere sacra come il Gange, perlomeno) al villaggio per mezzo di un condotto, onde lavare con essa i loro piatti sporchi, e potersi così guadagnare il loro Walden girando un rubinetto o tirando un tappo. Quel diabolico Cavallo d'Acciaio, il cui nitrito che sfonda le orecchie è udito attraverso la città, ha infangato Boiling Spring con il suo piede, e ha brucato tutti i boschi sulla riva di Walden - quel cavallo troiano con mille uomini nel ventre, portato qui da greci mercenari.  Dov'è il campione del paese, il Moro della Loggia Mora [Moore di Moore's Hall è l'eroe di un'antica ballata satirica], che lo incontri alla Gola Profonda e pianti una lancia vendicatrice tra le costole di questo tronfio flagello?

 

Un buon autore da leggere, per gli spiriti pensosi del terzo millennio; un buon libro, da gustare poco alla volta, meditando a fondo ogni singola pagina.

Coloro che hanno già letto Walden, non si stancano di ritornarvi di tempo in tempo, come a un caro, paziente vecchio amico; un amico saggio e discreto, che ci dà sempre buoni consigli, ma non si sogna di imporceli. Un amico fidato, di poche parole: ma ogni parola che esce dalla sua bocca è come l'oro.

Coloro che non lo hanno mai letto, invece, dovrebbero provare a farlo. Forse vi troveranno più tesori e più motivi di riflessione che in tanti altri autori più recenti e "alla moda", ma meno ricchi di spirito d'osservazione, di sincerità e di spessore umano.