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Lo scudo anti-missili e la NATO

di Georges Spriet - 27/05/2008



La protezione contro dei missili offensivi è evidentemente una delle prime misure intraprese dalla NATO nel caso in cui un alleato si trovi in pericolo.
E’ così che la Turchia ha ricevuto dei missili Patriot nel quadro della NATO, durante le Guerre del Golfo nel 1990-93 e nel 2003.
Nel marzo 2005, la NATO ha avviato il programma ALTBMD (Active Layered Theatre Ballistic Missile Defence).
Si tratta di una protezione locale contro i missili, che comprende numerosi livelli.
ALTBMD si propone di sviluppare differenti sistemi di scudi anti-missili e una rete coerente di protezione di operazioni delle truppe.
Dovrebbe essere pronta nel 2010.
Durante un incontro dei ministri della Difesa della NATO nel giugno 2006, uno studio di fattibilità è stato presentato in vista di uno scudo antimissili più generale, che non proteggerebbe solamente le truppe, ma allo stesso tempo grandi porzioni di territorio e ugualmente delle città.
Le discussioni hanno riguardato un elemento militare, ma anche un elemento politico-militare.
Stando a quanto si dice, si tenderebbe sempre più verso una difesa “full-spectrum”, rivolta a seconda delle esigenze contro dei missili tattici e contro dei missili strategici.
La NATO ha constatato che il numero dei missili balistici al di fuori dell’Alleanza sta aumentando, e insiste sul fatto che questi potrebbero essere caricati con armi di distruzione di massa.
D’altronde, potrebbe prodursi una sovrapposizione tra Stati e gruppi “terroristi”, come nel caso che concerne i missili a corto raggio per Hizbullah (Libano) e la Siria e l’Iran.
Nessuno è convinto delle possibilità tecniche, né contemporaneamente del pericolo imminente.
Nessuno segue la linea degli Stati Uniti.
Sembra allo stesso tempo che esista un’unanimità tra gli Stati membri della NATO sul rischio di un’evoluzione rapida di questo dossier; sia che un paese inizi a esportare delle tecnologie e dei missili (si pensa in primo luogo alla Corea del Nord), sia che un cambiamento di regime modifichi le circostanze.
In sé, il fatto stesso che esistano dei missili tecnicamente non affidabili (carichi di armi di distruzione di massa) costituisce un pericolo.
I suoi sostenitori argomentano che uno scudo anti-missili della NATO avrebbe di per sé stesso un serio grado di dissuasione perché significherebbe un muro di difesa troppo forte per un eventuale attaccante e soprattutto le rappresaglie degli Alleati sarebbero troppo potenti.
Ma un buono scudo spaziale darebbe anche agli Alleati un più grande spazio di manovra rispetto ad un attacco preventivo puramente militare: un’altra strategia a lungo termine sarebbe maggiormente considerabile e potrebbe essere sostenuta.
Uno scudo spaziale offrirebbe ancora il vantaggio di rispondere in maniera differenziata a delle crisi determinate: un aumento dello stato d’allerta dello scudo può dare all’avversario un messaggio di coesione, di convinzione e di determinazione.
Così, sempre secondo i suoi sostenitori, la fornitura dei Patriot a Israele nel 1991 aveva anche un ruolo di acquietamento, di limitazione del conflitto, di gestione della crisi.
Rimangono tuttavia molte questioni da discutere, anche nell’eventualità fosse raggiunto un accordo di principio: le strutture di comando e di istruzioni; chi riceve cosa; una crescente indipendenza faccia a faccia della tecnologia USA; il destino dei frammenti e dei carichi nucleari di un missile intercettato; trasferimenti di tecnologie; costi; analisi della minaccia; etc. e questione che non è la meno importante: le reazioni della Russia.
Delle strutture di comando e d’istruzione devono innanzitutto essere stabilite con precisione, si dice.
In pratica, la direzione militare attuale, il Saceur (Il Comando Supremo Alleato in Europa) potrebbe vedersene attribuita la responsabilità finale.
In ogni modo, delle questioni restano ancora da porre.
Per esempio: quali paesi, quali città sarebbero protette meglio e quali in primo luogo?
I paesi più attivi? Quali dei paesi europei neutrali? Quali intercettori, innanzitutto, servono la Difesa americana?
La questione delle ricadute dei frammenti di missili colpiti e delle cariche nucleari è una problematica che deve essere ugualmente considerata.
Che fare se questi pezzi cadono su un paese contro il quale non era stato lanciato alcun attacco? O se questo paese non era membro della NATO? D’altra parte dei frammenti potrebbero bruciare interamente appena entrati nell’atmosfera.
Allo stesso modo un’arma a testata nucleare nemica concepita specialmente per esplodere fin dall’intercettazione (una prova di alta tecnologia) e che potrebbe generare uno choc elettromagnetico, provocherebbe meno danni di un’esplosione nucleare al suolo.
Questi rilievi hanno fatto dichiarare a un ufficiale britannico: “Nessuno Stato europeo, almeno lo spero, rifiuterà il rischio di una piccola pioggia di frammenti sul suo territorio se si tratta del prezzo da pagare per salvare una nazione amica o un paese alleato da un attacco missilistico”.
D’altronde, le opposizioni o le apprensioni della Russia devono poter essere affrontate attraverso la consultazione e il dialogo, che è in corso già dal 2002.
I sostenitori dello scudo atlantista dicono anche che il fatto per cui un buono scudo spingerebbe il nemico a cercare altre tecniche d’attacco, non deve servire quale argomento contro il Missile Difesa.
Ciò perché la NATO cerca anche delle tecnologie di protezione contro i missili da crociera, contro gli aerei con o senza pilota.
Anche perché il controllo dei porti deve essere ugualmente rinforzato.
Solo gli intercettori a breve raggio possono fare qualcosa contro i missili da crociera.
E’ dunque molto importante che i membri della NATO continuino ad investire nei differenti aspetti della difesa antimissile.
Un serio problema risiede nelle limitazioni dei bilanci militari della maggior parte degli Stati europei membri della NATO e nel fatto che altre priorità s’impongono: nei Balcani e in Afghanistan per esempio, con la trasformazione dei loro eserciti, affinché possano agire come forze d’intervento effettive.
Può essere che numerosi tra di loro preferirebbero attendere che i problemi tecnologici posti dallo scudo antimissile venissero innanzitutto regolati in maniera convincente.
La strategia degli Stati Uniti per convincere gli Alleati consiste nel fare una deviazione, realizzando degli accordi bilaterali, supponendo che a un certo momento, un numero sufficiente di paesi sarebbero interessati a trascinare tutta l’Alleanza.
Lavorare direttamente con la NATO non incontrerebbe, probabilmente, il consenso.
Dunque l’approccio “dispersivo” sembra più appropriato.
A la metà del giugno 2007, i ministri della Difesa della Nato si sono messi d’accordo per realizzare uno schema di scudo spaziale che proteggerebbe i paesi membri del sud-est non coperti dagli intercettori statunitensi.
Questo significa un’approvazione implicita degli uni e degli altri, così come la interpreta Washington?
Jaap de Hoop Scheffer si posiziona chiaramente quando afferma: “la strada per la scudo spaziale è tracciata … essa è pratica e tutto il mondo è d’accordo”.
Vi sono alcuni progetti in tal senso.
C’è il programma SAMPT con la Francia e l’Italia; il programma Patriot con la Germania, l’Olanda e gli Stati Uniti; il Medium Extended Air Defence System (MEADS) con la Germania, l’Italia e gli Stati Uniti.
SAMP-T, Patriot e MEADS sono dei sistemi difensivi contro i missili a corta gittata.
E in seguito, l’installazione di un sito per radar in Repubblica Ceca e una base d’intercettori in Polonia.
Nel dibattito intorno agli elementi “europei” dello scudo spaziale, si dimentica spesso il terzo ladrone: la Gran Bretagna.
A Fylingdales l’installazione radar esistente è stata modernizzata ed è attualmente interamente pronta per integrarsi nel sistema.
L’estate passata, il ministro britannico della Difesa Des Browne, ha annunciato che la base statunitense di spionaggio di Menwith Hill sarà utilizzata come elemento del sistema antimissili.
Questo non costituiva una sorpresa, visto che la stazione era già utilizzata per il sistema di ricerca infra-rossi nello spazio.
Con il nuovo governo di Gordon Brown si dice allo stesso modo che la Gran Bretagna potrebbe anch’essa installare dei missili intercettori.


Fonti:
www.nato-int.org
www.cnd.org
Congressional Research Center USA
David S. Yost: Missile Defense in Nato


Articolo estratto dalla rivista VREDE – vredescahier 4/2007
vrede@vrede.be

Traduzione di Stefano Vernole