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Vicenza contro gli Usa?

di Marco Milioni - 28/05/2008

       

 

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Vicenza, nonostante la sua curiale arretratezza culturale, continua ad essere una piazza politica simbolica.
È stata la piazza simbolica della rimonta berlusconiana del 2006. È la sede del sedicente parlamento padano. È, per alcuni big veneti del Pd, uno dei laboratori del cosiddetto Partito Democratico del Nord. Si tratta di simboli vuoti, perché contengono solo il vuoto spinto di una partitocrazia che cambia nomi (tanti), volti (assai pochi), suonatori (pochissimi); ma che soprattutto non cambia mai spartito.
Epperò Vicenza è anche la città della Ederle bis. O del Dal Molin Usa, scegliete voi il nome. Il neo sindaco Achille Variati, il 28 aprile, ha vinto le elezioni municipali contro la favorita del Pdl, Lia Sartori, anche e forse soprattutto perché si è dichiarato sempre contrario al nuovo insediamento Usa.
Ora però sulla testa dell'ex capogruppo in Regione del Pd si materializza uno spettro. La sua persona rischia di trasformarsi in una sorta di "dr.Jekyll & mr.Hide" politico. Con due scenari.
Uno, Variati porta fino in fondo la battaglia politico-amministrativa che lo ha premiato. Ciò significa che il "suo" consiglio comunale vota nel volgere di un mese e mezzo un ordine del giorno che spezza le gambe a quello pro Dal Molin voluto dalla vecchia maggioranza di centrodestra. Di più, lo stesso Variati si impegna in una lotta civile contro una base il cui dislocamento sarebbe nefasto per una serie di ragioni già ben illustrate su questo blog.
Due, Variati (vecchio democristiano rumoriano, uomo del sistema se mai ce n'è) finisce per cedere, volente o nolente, agli ordini della ragion di Stato telegrafata da Whashington via Roma e fatta propria dal suo ducetto Walter Veltroni, per il quale la base americana si deve fare e basta. Ossia ai diktat della globalizzazione sinoamericana, punta di lancia di un sistema che "impazzisce" il mondo e che lo mortifica geneticamente nelle istanze più profonde del vivere e del sentire dei abitanti umani.
Per questo motivo la scelta di Variati è al centro del tavolo politico italiano. Una sua ribellione sarebbe una novità di rilievo assoluto, quand'anche maturata in base ad un calcolo politico. Sarebbe un plateale schiaffo al sistema. Sarebbe l'atto di «violenta ed assoluta autocostrizione» che spesso Massimo Fini cita come unico rimedio alla dilagante deriva consumista del mondo.
Se invece Variati sceglierà i consueti lidi dei poteri forti, allora il suo esempio sarà l'ennesima conferma, urlante conferma, di come i padroni del vapore si insinuino anche nelle scelte di chi formalmente combatte i loro soprusi nei confronti degli uomini delle piccole patrie. In questo caso Variati sarebbe pure quello che ha preso i voti dei contrari alla base per poi infiocchettarli alla democristiana. O alla Democratica. O alla veltroniana. Fate voi.