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Pedofilia, il nuovo allarme. Ogni anno in Italia 41 mila nuovi casi

di Gabriela Jacomella - 28/05/2008



Ogni anno, in Italia, 41mila nuovi casi. Un ragazzo su 6 ne è, o ne è stato, vittima. Bambini molestati dalle stesse persone in cui ripongono una fiducia totale, assoluta. Come Carla (il nome è di fantasia), che si è vista rubare l'infanzia dal «mostro» più subdolo e inaspettato: il nonno. «Stavo per mangiare un ovetto di cioccolato, ma non avevo voglia di cioccolato, volevo la sorpresa! A quel punto mi ha detto che, se volevo che lo mangiasse al posto mio, dovevo fare delle cose con lui...». Oppure Marco, entrato in seminario appena dodicenne, la cui vita è stata segnata dalle «attenzioni» di un giovane diacono: «Mi baciò intensamente... "Quello che abbiamo fatto, non lo devi fare con nessuno", mi disse».
I segni degli abusi
Il «mostro» ha un unico nome: pedofilia. Ma le teste, come quelle dell'idra, sono infinite. E spuntano nei luoghi più inaspettati. «Olocausto bianco», così lo definisce Ferruccio Pinotti, che a questa «epidemia del terzo millennio» ha dedicato un libro d'inchiesta che gronda dolore, vergogna, atrocità inimmaginabili e imperdonabili silenzi.
C'è l'orco che colpisce nella penombra di una cameretta, e soffoca le lacrime con carezze e minacce velate; si chiamano «abusi intrafamiliari», e a commetterli può essere un parente, ma anche il maestro o il bidello, insomma la cerchia «ristretta» delle figure di riferimento per il bambino. C'è, poi, la pedofilia ecclesiastica, un fenomeno ancora in gran parte nascosto, ma che ha spinto la Chiesa (reduce da scandali globali, come quello che nel 2002 ha travolto l'Arcidiocesi di Boston) a creare centri ad hoc
per religiosi con disturbi sessuali e psichici. E ancora, la cosiddetta «pedofilia globale»: il turismo sessuale su minori, con 80mila italiani che ogni anno partono a caccia di prede proibite; la prostituzione minorile, spesso a danno di giovanissimi immigrati; la pedopornografia
online, dove l'età delle vittime è precipitata dai 10 ai 7 anni, quella del cyberpedofilo tra i 20 e i 30. Il fenomeno è ormai così esteso che a novembre, a Rio de Janeiro, si terrà il III congresso mondiale contro lo sfruttamento sessuale dei minori ( www.ecpat.net/World_Congress).
Quale che sia la testa dell'idra da combattere, sconfiggerla è un'impresa titanica. Perché di pedofilia, ancora oggi, non si vuole parlare. Perché il fenomeno è troppo grande, complesso, sfuggente. Perché le armi a disposizione sono insufficienti e, a volte, spuntate. Perché, in una cultura giudiziaria legata alla necessità della prova, il bambino rischia di essere due volte vittima. Secondo gli studi, il 50-90% dei minori vittime di abuso sessuale non presenta anomalie fisiche rilevabili; per Maria Rosa Giolito, ginecologa e perito della Procura di Torino, «addirittura nel 95% dei casi non esiste nessun segno fisico. Il corpo ripara, e gli atti sono fatti in modo abile». I segnali, però, sono visibili per chi sa come e cosa cercare. Primi su tutti: i «comportamenti sessualizzati, inappropriati per l'età». E i comportamenti ossessivi, tra cui la fissazione per la pulizia. La dottoressa Giolito ricorda ancora una bambina di 3 anni che prima di essere visitata «si è messa a lavare tutto, persino il lettino. Poi mi ha detto: "Guardami bene, perché ho della colla bianca che appiccica, toglimela tutta, ti prego..."».
La lotta all'omertà
«Il tribunale ha bisogno della grande prova, ma non l'abbiamo quasi mai — riprende la Giolito —. E dietro c'è anche un pensiero per cui i bambini mentono sempre...». La pedofilia come il grande abuso negato, la voce dei bimbi soffocata da una coltre di autocolpevolizzazione, vergogna e omertà. Per questo è necessario preparare all'ascolto chi con più frequenza ne intercetta la richiesta d'aiuto: la scuola, i servizi sociali. Bisogna, spiega Loredana Signorelli, responsabile del Centro tutela dei minori dell'Asl Milano 3, «aiutare i grandi a "capire" cosa dicono i bambini, perché spesso il loro linguaggio è simbolico, ed è reso tale dalla paura di ritorsioni». «C'è un filone di pensiero nel quale il bambino come tale non è mai credibile», concorda Michele Polleri, avvocato penalista e «curatore speciale» per il tribunale di Torino in casi di pedofilia. È quella che Pinotti chiama «la trappola dei falsi abusi », le violenze inventate e, a volte, strumentali; che esistono, ma sono molto meno numerose di quanto si possa sospettare. E purtroppo, chiude Polleri, sono «più facili da scoprire di quelle vere ».
Il mostro in gabbia
L'inchiesta di Pinotti non fa sconti a nessuno: famiglie omertose, complicità nascoste, ipergarantismo giudiziario, tempi processuali dilatati, scarsa tutela dei minori coinvolti. E lobbies pedofile. Tra gli intervistati, in molti sono convinti dell'esistenza di una «rete di mutuo soccorso», che ad esempio consentirebbe agli indagati meno abbienti di rivolgersi a studi legali molto, troppo costosi.
Ma negli ultimi anni, la giustizia italiana ha iniziato seriamente a fare i conti — grazie anche a nuovi strumenti, come le leggi 269/1998 e 38/2006 — con l'«olocausto bianco». Oggi, dietro le sbarre ci sono 1.342 pedofili, tra cui 262
under 30. Il rischio è che per questa tipologia di detenuto il «reinserimento sociale » sia ancora meno efficace che in altri casi. Perché il pedofilo è all'ultimo gradino del sistema carcerario, emarginato dagli altri detenuti, a rischio di violenze che possono sfociare nell'omicidio (a volte, scrive Pinotti, camuffato da «suicidio»). E perché il pedofilo, di norma, nega ad oltranza di aver commesso il reato: «Dopo 11 anni di questo lavoro — conferma Giovanni Maria Pavarin, magistrato di sorveglianza a Padova — vengo a contatto con pochissimi soggetti che ammettono di aver compiuto un crimine di pedofilia: forse 4 all'anno, nell'intera sezione». Anche per questo, gli esperti sono scettici sulla «castrazione chimica»: la pedofilia, dicono, è soprattutto un fatto mentale. Il pedofilo che si limita a scontare la pena, una volta fuori è pronto a ricominciare.
Nel carcere di Bollate, provincia di Milano, è attivo il primo programma italiano di recupero per pedofili e sex offender.
L'obiettivo: «deprogrammare» la violenza dei pedofili, diminuire le possibilità di recidiva. Una sperimentazione iniziata nel 2005, sotto la guida del criminologo Paolo Giulini. Un'«unità di trattamento intensificato» che intreccia colloqui psicologici e criminologici ad attività motorie, creative ed espressive. Secondo Giulini, «solo il 20% dei detenuti sottoposti al trattamento è recidivante, ma per prudenza preferiamo dare dati meno ottimistici, attorno al 50%». La «deprogrammazione» di un pedofilo, quindi, è possibile. A una condizione: «Che sia lui a dire: "Sì, lo voglio"».

In libreria: «Olocausto bianco» (Bur, 12,50 euro), il libro-inchiesta sulla pedofilia scritto da Ferruccio Pinotti, è da oggi in libreria