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Tempo e tonni stanno finendo

di Manuela Cartosio - 29/05/2008

L'industria del tonno sta distruggendo gli stock pescando troppo e con metodi distruttivi. Per questo «Il tempo e i tonni stanno finendo». E' lo slogan della campagna che Greenpeace sta conducendo da anni in difesa dei tonni minacciati dalle scatolette e dal sushi . L'ultima azione dimostrativa dei «pirati verdi» è stata realizzata ieri in Oceania, al largo delle isole della Repubblica di Kiribati (isole Gilbert).
La Esperanza di Greenpeace, dopo aver tallonato per cinque giorni la spagnola Albatun terza, ha gettato nella rete a strascico del peschereccio uno striscione galleggiante lungo 25 metri con la scritta «No Fish, No Future». Nonostante il grosso ingombro, l'Albatun è riuscita a recuperare la rete a bordo. L'azione quindi è riuscita solo a metà.
Comunque è servita a tener caldo l'argomento dopo l'incursione messa a segno il 23 aprile a Bruxelles alla Fiera europea della pesca. Quel giorno un'ottantina di militanti di Greenpeace avevano coperto con reti da pesca gli stand dei big mondiali del tonno. Erano state bloccate le operazioni di compravendita negli stand della Mitsubishi Corporation (Giappone), il maggior commerciante di tonno al mondo, del gruppo Ricardo Fuentes (Spagna), che controlla il 60% del mercatonno rosso del Mediterraneo, del gruppo Azopardi (Malta), che gestisce il più grande impianto d'ingrasso di tonno del Mediterraneo, del gruppo Moon Marine (Taiwan), che possiede una grossa flotta di pesca con i palamiti in Indonesia, e del gruppo Dongwon Fisheries (Corea), che copre due terzi del mercato coreano. L'elenco fa capire che la filiera del tonno, come qualsiasi altra industria, è concentrata in poche mani.
Secondo Greenpeace in una sola battuta la Albatun riesce a pescare 3 mila tonnellate di tonno, il doppio di quanto pescano in un anno alcuni piccoli stati delle isole del Pacifico. La scorsa settimana i paesi del Sud Pacifico hanno deciso di vietare la caccia al tonno nelle acque internazionali al largo delle loro isole. Il divieto scatterà il 15 giugno. Ma l'Albatun sta pescando grazie a un precedente accordo tra Unione Europea e Repubblica di Kiribati. Greenpeace, pur sapendo che per molti piccoli paesi dell'Oceania le concessioni di pesca sono uno dei pochi introiti, chiede il blocco delle licenze.
Negli ultimi anni, caduti gli stock di tonni nell'Atlantico, l'industria della pesca si è indirizzata nel Pacifico. Pure qui, però, decenni di supersfruttamento del mare hanno già sfoltito del 15% la presenza di tonni.
Per questi ultimi un male - l'aumento del prezzo dei carburanti - potrebbe risolversi in una parentesi di relativa quiete. Un'ottantina di pescherecci giapponesi annunciano che sospenderanno le battute nell'oceano Indiano e Pacifico. E' verosimile che faranno altrettanto Taiwan, Cina e Sud Corea. Si tratterà però di un fermo congiunturale legato al prezzo del petrolio, mentre Greenpeace chiede un rallentamento permanente della pesca del tonno per ragioni ambientali.
L'obiettivo della associazione è decisamente ambizioso: creare una rete di riserve marine che protegga il 40% degli oceani. Nel restante 60%, pesca regolamentata come antidoto al supersfruttamento dei mari e dei pesci.
Ai danni della pesca selvaggia si sono aggiunti quelli causati dal ranching dei tonni. E' una tecnica di allevamento e di ingrasso su scala industriale. I tonni vengono catturati in mare aperto, trasportati in gabbie vicine alle coste e messi all'ingrasso. Per ogni chilo di tonno allevato servono 25 chili di mangime di pesce. Si stima che ogni anno 225 mila tonnellate di mangime, provenienti dall'Africa occidentale e dall'Atlantico, vengano gettate negli allevamenti di tonni del Mediterraneo. Ne consegue uno squilibrio a catena degli ecosistemi. Ad esempio, per fare il mangime si pescano sardelle d'Africa e i delfini che di esse si nutrono restano a bocca asciutta.